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IL PREMIO SALARIALE A DUE LIVELLI

Confindustria e sindacati hanno deciso di rinviare di nuovo la discussione sul modello di determinazione dei salari. E’ un’altra occasione persa. A dispetto dei tanti richiami alla inderogabilità della questione salariale. Permettere a tutti i lavoratori di avere un contratto, alleggerendo al tempo stesso la struttura a più livelli della contrattazione, e rafforzare il legame fra salari e produttività sono gli obiettivi primari della riforma di un sistema che ha ormai mostrato tutti i suoi limiti. Ecco una proposta dai semplici principi e con un “premio a due livelli”.

Con la scelta di votare il 13 aprile, la politica ha certificato il rinvio della riforma elettorale, condannandoci a non poter scegliere i nostri rappresentanti in Parlamento. Ma c’è un’altra riforma, forse ancora più importante, che è stata in questi giorni rinviata dalle parti sociali. Riguarda milioni di lavoratori: è la riforma del sistema contrattuale. Confindustria e sindacati hanno infatti di nuovo deciso di rinviare la discussione sul modello di determinazione dei salari. È un’altra occasione persa. A dispetto dei tanti richiami alla inderogabilità della questione salariale. Siamo così rimasti agli assetti di quindici anni fa, che da tempo hanno mostrato tutti i loro limiti.

COME (NON) FUNZIONA OGGI IL SISTEMA DI CONTRATTAZIONE

Il sistema in essere è ancora quello legato al protocollo del 1993, approvato quando avevamo la lira, la globalizzazione non esisteva quasi e il tasso di inflazione era determinato in larga misura dalla politica monetaria decisa a Roma.. È un sistema basato su due livelli di contrattazione. In ciascun settore produttivo esiste oggi un contratto nazionale di categoria. Questo stabilisce non solo la retribuzione di base (i minimi tabellari), ma anche la retribuzione degli straordinari, il numero di giorni di ferie, i permessi, e la parte normativa (inquadramenti e organizzazione del lavoro). Il secondo livello di contrattazione dovrebbe, invece, avere luogo a livello aziendale e determinare un premio di risultato in base a parametri di produttività stabiliti azienda per azienda. C’è poi un terzo livello, di contrattazione individuale, che determina i superminimi contrattuali, ad personam.
Il sistema ha diverse patologie. Innanzitutto, è basato su un concetto di inflazione programmata totalmente privo di senso dopo l’entrata nell’euro. In secondo luogo, è un sistema troppo complesso che genera più di seicento contratti di categoria. In terzo luogo, è un sistema che non riesce a rinnovare i contratti in tempo. A novembre 2007 quasi due terzi dei lavoratori dipendenti del settore privato aveva il proprio contratto scaduto. La quarta patologia risiede nell’incapacità di attuare davvero la contrattazione di secondo livello. Questa riguarda una percentuale sempre minore di imprese, ormai quasi in tutti i settori inferiore al 10 per cento. Si tratta delle imprese più grandi, quindi la quota di lavoratori che beneficiano della contrattazione di secondo livello è più alta: attorno al 40-45 per cento.

GLI OBIETTIVI DELLA RIFORMA

L’obiettivo primario di una riforma è quello di permettere a tutti i lavoratori di avere un contratto, alleggerendo al tempo stesso la struttura a più livelli della contrattazione. Altro obiettivo fondamentale è il rafforzamento del legame fra salari e produttività. Questo è fondamentale per

i)                    incentivare incrementi di produttività a livello di singola azienda (effetto incentivo)
ii)                  attrarre lavoratori nelle imprese che hanno maggiori potenzialità di crescita (effetto riallocativo)
iii)                 ridurre la disoccupazione nel Mezzogiorno (dovuta a salari più alti che al Centro-Nord in rapporto alla produttività) aumentando la domanda di lavoro in aree depresse (effetto quantità).
iv)                permettere un migliore inserimento nel mondo del lavoro delle nuove tipologie di lavoratori (donne, giovani, immigrati) e un’organizzazione del lavoro in grado di meglio utilizzare le competenze dei lavoratori con più di 60 anni (effetto forza lavoro).

UNA PROPOSTA: UN PREMIO A DUE LIVELLI

I sindacati e le rappresentanze di categoria non riescono a trovare un accordo perché la Cgil si oppone a un rafforzamento del secondo livello di contrattazione. Al di là delle obiezioni della Cgil, lo spostamento del fulcro della contrattazione a livello di azienda deve necessariamente tenere conto del fatto che in molte imprese non ci sono rappresentanze sindacali oppure che queste sono deboli e i datori di lavoro si oppongono ad aprire un secondo livello di contrattazione. Si deve poi fare in modo che la retribuzione di secondo livello contempli davvero premi variabili e non semplici incrementi retributivi in aggiunta a quanto deciso dalla contrattazione di primo livello.
Siamo convinti che esista un modo per preservare la contrattazione nazionale e al tempo stesso legare il salario alla produttività. La nostra proposta di riforma, che si potrebbe chiamare premio a due livelli, segue questi semplici principi.
A livello nazionale si determinano gli incrementi salariali volti a mantenere inalterata la capacità di acquisto. Si tratta di incrementi percentuali, applicabili a tutta la struttura retributiva, prendendo come riferimento gli obiettivi di inflazione della Bce.
Sempre a livello nazionale si stabilisce, settore per settore, una regola che leghi il salario all’andamento della produttività aziendale, da applicare ex-post alle imprese in cui durante il periodo coperto dal contratto nazionale non sia stato possibile sottoscrivere un contratto di secondo livello. Ad esempio nelle imprese industriali, la regola potrebbe consistere nell’aumentare i salari in proporzione del 50 per cento dell’incremento del reddito lordo operativo pro-capite (al netto dell’inflazione). Ovviamente l’aumento varierà da impresa a impresa e finirà per premiare i lavoratori in virtù degli incrementi di produttività aziendali.
Dove invece si svolge la contrattazione aziendale, questa deve contemplare premi di produttività (con regole definite azienda per azienda). I premi vengono definiti ex-ante e vengono immediatamente monetizzati in base ai risultati aziendali. Possono essere sia positivi che negativi, nel qual caso di fatto modificano in peggio (per il lavoratore) il contratto nazionale.
La riforma proposta può essere portata a termine senza alcun intervento dello Stato. In questa prospettiva la mancanza di un Governo nazionale con pieni poteri più’ che un ostacolo potrebbe essere addirittura un’opportunità.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

16 commenti

  1. Sensi

    Chi ha scritto che la cgil è contro la contrattazione di secondo livello? L’analisi che voi fate, sul cattivo funzionamento del sistema, è quella che fa la cgil; questo mi pare di aver capito dai documenti pubblici di quella confederazione. Pensate davvero che (non i lavoratori ma) gli imprenditori italiani siano all’altezza delle cose che proponete? Quella è la vera riforma che dovrebbe essere fatta. Non sanno competere sui mercati internazionali, eppure il gioco sarebbe facile: investimenti tecnologici e riorganizzazione dei cicli produttivi per aumentare la produttività e la qualità dei beni e servizi. Avete mai sentito fare questi ragionamenti dagli imprenditori? Eppure la quota dei profitti è salita robustamente. Hanno investito quei danari gli imprenditori? Grazie

  2. Enrico

    ..e questo è proprio il motivo per cui non potrà mai essere presa in considerazione. In aggiunta inserirei un indice fisso d’incremento retributivo nel caso il contratto non venga rinnovato entro il termine del precedente. Ossia se scade il vecchio e non è stato siglato un nuovo accordo, la base retributiva viene incrementata del 10 % per ogni livello fino al rinnovo ( inoltre l’azienda riscuote i premi d’iscrizione sindacali) così magari si fà pressione ad entrambi gli attori in settori "sensibili".

  3. Gianluca Cocco

    Senza entrare nel merito dei modelli di contrattazione e di quale sia più efficace ed efficiente, ma prendendo per buona la vostra proposta sul piano "teorico", mi chiedo e vi chiedo: sul piano operativo, attraverso quali strumenti tecnici e giuridici verrebbero calcolati gli incrementi di produttività delle singole aziende? Non pensate che la contrattazione aziendale, al di là dell’immobilismo sindacale, incontri serie difficoltà attuative in tutte quelle realtà caratterizzate da un forte nanismo imprenditoriale (ad es. in Sardegna circa l’80% delle aziende ha meno di 5 dipendenti). Inoltre, non pensate che ci siano dei settori in cui i risultati economici di un’azienda siano legati a fattori che prescindono dalla produttività dei lavoratori? Ad es. mi viene difficile pensare che le differenze di produttività tra 2 supermarket siano ascrivibili alla produttività dei suoi lavoratori e, per questo, che possano avere differenze retributive. Diciamo le cose come stanno: l’obiettivo è scaricare su chi lavora il diverso dinamismo territoriale e aziendale, convinti che possa contribuire a colmare gli storici divari. Distinti saluti. Gianluca Cocco.

  4. stefano facchini

    Non è pero chiaro quali saranno i parametri oggettivi dai quali evincere la produttività alla quale legare la parte variabile di salario: poste di bilancio specifiche o valutazioni quantitative di carattere produttivo? Nel primo caso si finirebbe in realtà per agganciarla a concetti maggiormante legati alla redditività aziendale che non alla semplice produttività, e quindi calcolarla in base a voci di bilancio manipolabili (specie in un paese dove il falso in bilancio è stato depenalizzato). Nel secondo caso risulterebbe alquanto arduo calcolare una presunta produttività in imprese dei servizi slegate dalla mera produzione industriale. Paradossale poi proporre tale soluzione per il pubblico impiego. In definitiva l’agognata riforma del ccnl appare sempre più strumentale ad un solo scopo: evitare in futuro di pagare la parte variabile del salario ai lavoratori dipendenti riducendo il compenso ad un salario orario minimo stabilito per tutti a livello nazionale. con buona pace di confindustria e della bce. siete proprio sicuri che tirando troppo la corda questa prima o poi non finisca per spezzarsi?

  5. Roberto A

    "Dove invece si svolge la contrattazione aziendale, questa deve contemplare premi di produttività (con regole definite azienda per azienda). I premi vengono definiti ex-ante e vengono immediatamente monetizzati in base ai risultati aziendali. Possono essere sia positivi che negativi, nel qual caso di fatto modificano in peggio (per il lavoratore) il contratto nazionale." Secondo quanto riportato dall’articolo come si dovrebbe regolare un lavoratore che sà che l’azienda per la quale lavora ha una forte componente "di nero" che non compare in bilancio e quindi non si può certificare la buona salute del bilancio stesso: "falso in bilancio". In altre parole, se il mio datore di lavoro nasconde al fisco tanti soldini, il mio stipendionon accede a nessun premio. Oltretutto, per esempio, anche la defiscalizzazione legata alla produttività, vedi meno tasse sugli straordinari, è destinata ad un buco nell’acqua. Infatti, si sà per certo che la maggior parte delle aziende medio-piccole non pagano straordinari e quando lo fanno, finisco nel fuori busta, cioè a nero. grazie per l’attenzione, buon lavoro Roberto A.

  6. federrico.daniello

    Diciamola tutta e con franchezza. Dietro la gestione della contrattazione collettiva ed i suoi meccanismi si cela, ma non si cela, perchè è sotto gli occhi di tutti, la leva di potere che da sempre il sindacato utilizza, considerato che tutte le altre finalità e funzioni (tutela dei lavorratori, sicurezza etc ) che pure avrebbe potuto avere non hanno rappresentato mai una buona occasione per essere utili alle aziende ed alla società. Con questo non intendo assolutamente misconoscere i ruolo della istituzione sindacato, ma essa fa il paio con il ruolo della politica. Anche la politica quando è seria e corretta , come dice Aristotele nella sua etica Nicomachea, è la funzione e l’arte più nobile per l’uomo cittadino e sapiente. Ma come la politica si è deviata nella gestione del potere, tanto da aver iriitato tutti ed anche gli uomini di buon senso, cosi il sindacato nella sua pletora di strutture, funzioni, ruoli, contributi si è arroccato sul momento di più alta visibilità che è quello del confronto centrale con le azienda trascurando la decentralizzazione e ignorando i benefici che da un livello secondario di confronto può derivare ai prestatori di opera ed alle imprese.

  7. italo

    Il modello del 93 ha portato i salari al livello che tutti sappiamo ,riproporlo usando l’inflazione prevista dalla bce, non cambia la sostanza sempre a perdere per i lavoratori.per quanto riguarda il secondo livello la produttività od altro sappiamo che dipende dagli investimenti che l’imprenditore fà ai lavoratori quale parte pensate di dare e cioè dovrebbe essere un modello partecipativo tipo alla tedesca,o noi ci consegnamo nelle mani dell’imprenditore , non mi pare che si possa essere ottimisti sulla apertura alla partecipazione.

  8. DVD

    Ogni tre per due, ritorna il problema dei salari e dei sindacati, quando da sempre gli imprenditori chiedono semplicemente alla politica di fare il loro lavoro – infrastrutture e poca burocrazia – come nei paese seri. E ogni tre per due si frappone il sindacato che "crede" di interpretare il volere dei lavoratori e rompe i giochi, sì che sempre più imprenditori vanno all’estero e molti decidono scentificamente di rimanere piccoli – almeno in italia – pur di non avere il sindacato in fabbrica. Mi domando quando diventeremo seri e maturi si da premiare i lavoratori seri con maggiori incentivi e salari e smetteremo di trattare in modo uguale chi lavora meno a scapito di altri. Se è vero che chi evade fà un torto a tutti noi è altrettanto vero che anche i lavoratori disonesti fanno lo stesso torto, ma con una differenza, che i lavoratori disonesti sono protetti e se sono poi lavoratori pubblici, apriti cielo…!! Sentro sempre troppo parlare di diritti e mai di doveri da parte dei lavoratori e dei sindacati e la cosa non mi convince. Vorrei sentire da parte dei lavoratori dipendenti frasi di Einaudiana memoria….!

  9. renato di nardo

    La contrattazione di secondo livello, aziendale o di comparto comunque ha sempre coinvolto una minima parte di lavoratori. Con una struttura industriale prevalentemente di piccole dimensioni la contrattazione aziendale è impossibile. Esempi di contrattazione di secondo livello per comparto sono rari o inefficaci, (negli artigiani in lombardia l’ultimo accordo regionale di secondo livello, è del 1996 e il contratto nazionale scaduto nel 2001 è stato rinnovato nel 2008 ,con nel frattempo, solo un riallineamento nel 2005). Gli edili che hanno una esperienza storica,l’ultima tornata di accordi hanno puntato sulla decontribuzione…sic,doveva essere del 5% per il 2008,purtroppo è decaduta. Vale la pena ricordare che il governo Prodi ha ridotto di 5 punti il cuneo fiscale a favore delle aziende,come è stato utilizzato? Scontiamo il fatto di avere una imprenditoria più propensa ad investire con i soldi degli altri che non rischiando i propri e investendo gli utili magari a Vaduz o in qualsiasi altro paradiso fiscale. Con questi presupposti e con questa mentalità la mia preoccupazione è che qualsiasi ipotesi abbia poca applicabilità.

  10. Carla

    Diciamo la verità: se gli aumenti verranno stabiliti in base alla produttività (aziendale o della forza lavoro che sia) moltissimi di noi lavoratori delle piccole aziende private potremo scordarci di avere un incremento in busta paga. L’unico modo per avere un significativo aumento sta nell’incrementare i minimi contrattuali e nell’agganciare nuovamente gli stipendi alla "scala mobile".

  11. The Avenger

    Il problema non è il sistema……. ma le persone ! In Italia la meritoscazia è oramai morta e sepolta, i manager provengono tutti dalla calcinculandia politica ed i lavoratori sono arci-stufi di avere dei capi incapaci e di subire scelte dettate solo da opportunismo personale. E’ ora di cominciare di spiegare alla gente il VERO motivi del declino del Paese Italia… le persone capaci o se ne sono andate o, stufe di combattere contro i mulini a vento, si sono rassegnate ad assistere all’inesorabile declino e poi crollo del Paese Italia… e ve lo posso assicurare… NON c’è proprio più nulla da fare !

  12. Emilio Siletti

    Penso che questo progetto per una piccola azienda porrebbe dei problemi applicativi di non poco conto: come si determina il reddito operativo lordo pro-capite in un’azienda industriale e commerciale al tempo stesso che avendo un ciclo produttivo molto lungo è obbligata a tenere magazzino? Sono calcoli complicati che si aggiungerebbero ai molti adempimenti burocratici e offrirebbe il campo ad un contenzioso a non finire.

  13. Fabrizio Francescone

    Il sistema della doppia contrattazione risulterebbe naturale in un paese come il nostro di forte disomogeneità economica. Abbiamo da poco scoperto che al nord il livello generale dei prezzi è superiore di almeno il 20% rispetto al sud. Purtroppo la rigidità dei sindacati e soprattutto della CGIL rende difficile il progetto. Forse servirebbe un sindacato del nord (non il SINPA per carità) ma un sindacato che dia più attenzione ai problemi dei lavoratori del nord, diversi dai quelli dei lavoratori del sud, in analogia a quanto sta facendo il Partito Democratico a livello politico. Un altro insormontabile problema è il doppio sistema di contrattazione nel pubblico impiego: in alcuni settori (l’Agenzia delle Entrate) si sta attuando con un certo successo ancorando il premio di produttività all’obiettivo monetario raggiunto dagli uffici nel recupero dell’evasione. In altri settori della PA sembra però più difficile, non solo tecnicamente ma anche culturalmente.

  14. claudio negro

    Non riesco ad immaginare chi e come dovrebbe controllare l’incremento del reddito lordo operativo nelle imprese piccole e piccolissime. Ha ragione il lettore che prevede che ciò generi ulteriori carichi burocratici e contabili e, come effetto indotto, ampia evasione da un "ennesimo obbligo". Inoltre: sarebbe forte la tentazione per le imprese medio piccole e medio grandi ad adottare il modello di adeguamento automatico, per evitare contenziosi col sindacato aziendale. Più efficace mi parrebbe individuare un livello negoziale territoriale per le imprese che non contrattino in azienda il premio di risultato; potrebbe essere un livello omogeneo territoriale-settoriale (un distretto industriale, p.es.) o un livello comprensoriale più ampio (oggi nell’artigianato il secondo livello è regionale-settoriale). In ogni caso la media degli indicatori di risultato non dovrebbe scostarsi troppo dal range delle prestazioni di ogni singola impresa. Il vantaggio aggiunto di questo sistema consisterebbe nella sua esigibilità, da far valere p. es. in relazione a richieste di prestazioni dal sistema della bilteralità o dell sistema pubblico.

  15. MARIA PIA

    Ho apprezzato l’articolo del Prof. Boeri circa la contrattazione a due livelli, con garanzie salariali di base a livello nazionale e per settori e contrattazioni di secondo livello che incidano sulla produttività. Vorrei però capire con quale metodo (oggettivo) si calcola la produttività aziendale. Alla produttività aziendale incidono le risorse "precarie", pertanto, quali garanzie verranno offerte a tutti i lavoratori in azienda (sia dipendenti che interinali)? Cosa succede se la produttività è condizionata (in negativo) dalle scelte o non scelte manageriali e non tanto dalla poca applicazione/attenzione da parte dei lavoratori? In Italia gli esempi non scarseggiano (Alitalia, Telecom etc. etc, sono esempi di pessime gestioni manageriali che hanno comportato un danno solo sui lavoratori, oltre, alla comunità).

  16. Andrea Mecchia

    Sono un rappresentante sindacale di una media azienda informatica. Il problema della giusta retribuzione non è legato al contratto nazionale bensì al salario individuale che il datore di lavoro vorrebbe corrispondere a chi vuole, nella misura che vuole, anche a parità di mansioni. L’attacco all’istituo del CCNL è un tentativo estremo di PMI, troppo spesso familiari, in genere, non competitive sui mercati interni ed internazionali che cercano scappatoie di sopravvivenza, prima nel precariato contrattuale e ora nella moderazione salariale, attravesro la "discrezionalità" salariale. Chi assume invece lo fa con riferimento ad una certa posizione organizzativa a cui corrisponde un ruolo ed aspettative in termini di risultato e comportamenti. Risultati e comportamenti che non costituiscono standard "minimi" bensì "necessari". Ne discende quindi che il salario discrezionale e non contrattato va ridotto al minimo perché è un non-senso. La proposta avanzata sul sito è interessante (in termini tecnici) ma i risultati aziendali (negativi) non possono invalidare le conquiste salariali del CCNL, perché gli strumenti per la solidarietà difensiva esistono già, semmai vanno migliorati.

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