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TRE MOTIVI PER TEMERE L’INFLAZIONE

Sempre più insistenti in molti paesi i segnali di una ripresa inflazionistica. Con Stati Uniti e Fed accusati di soffiare sul fuoco. Ci sono almeno tre argomenti per ritenere che l’attuale fiammata sia potenzialmente pericolosa: rivendicazioni salariali, prezzi delle commodities, crisi finanziaria e reddito potenziale. In ogni caso, però, il ruolo che le banche centrali possono svolgere, nel bene e nel male, è fondamentale: per la loro capacità o imperizia nell’influenzare la relazione tra inflazione corrente e aspettative di inflazione.

In quasi tutti i paesi del mondo si fanno sempre più insistenti i segnali di una ripresa inflazionistica. In molti accusano gli Stati Uniti e la sua banca centrale di soffiare sul fuoco dell’inflazione mondiale. Vediamo qui almeno tre argomenti che inducono a pensare che la fiammata inflazionistica che stiamo vivendo sia potenzialmente pericolosa. In ogni caso, il ruolo che le banche centrali possono svolgere, nel bene e nel male, è fondamentale: per la loro capacità, o altresì imperizia, nell’influenzare la relazione tra inflazione corrente e aspettative di inflazione.

PRIMO ARGOMENTO: LE RIVENDICAZIONI SALARIALI

Se l’inflazione di oggi aumenta, indipendentemente dalla causa, è importante evitare che si rifletta (sempre oggi) in aumenti salariali. Perché questo spinge al rialzo i costi delle imprese e finisce per generare ulteriore inflazione. Un circolo vizioso, quindi: una maggiore inflazione oggi che tende ad autoalimentarsi. È subito chiaro che un sindacato che si siede al tavolo a ri-contrattare un salario nominale per i prossimi (ad esempio) due anni, ragiona in base alle sue aspettative di inflazione in quell’orizzonte temporale. Supponiamo che l’inflazione oggi sia al 3 per cento, al di sopra dell’obiettivo del 2 per cento fissato della banca centrale. Se il sindacato si aspetta (leggi: ha fiducia) che la banca centrale farà di tutto per riportare l’inflazione al 2 per cento in tempi ragionevoli, non chiederà oggi un aumento di salario, o comunque lo chiederà limitato. In altre parole, se la banca centrale è credibile quando declama il suo obiettivo di inflazione al 2 per cento, è anche in grado di orientare al meglio le aspettative di inflazione futura. Ma non solo: inducendo moderazione salariale, genera oggi minore inflazione. Questa è una lezione dei decenni passati che le banche centrali dovrebbero aver ampiamente assorbito, ma fa comunque bene la Bce a non abbassare la guardia sul punto.

SECONDO ARGOMENTO: I PREZZI DELLE COMMODITIES

È chiaro a molti che la forte ascesa del prezzo dei beni alimentari e delle materie prime (in genere commodities) sia uno dei fattori che sta alimentando la ripresa inflazionistica corrente.
Perché questa pericolosa euforia nei prezzi delle commodities? Almeno due ragioni, una strutturale e una ciclica. La prima è di lungo periodo: c’è un eccesso di domanda di materie prime (ferro, zinco, rame, alluminio, eccetera) che da tempo proviene dai paesi emergenti (Cina, India, Brasile). La seconda ragione si lega alla condotta della politica monetaria. Tassi di interesse nominali che scendono, quantomeno negli Usa, e aspettative di inflazione che salgono producono una forte spinta al ribasso dei tassi di interesse reali. Infatti, negli Stati Uniti, i rendimenti reali sui titoli obbligazionari pubblici sono oggi negativi. Rendimenti reali negativi, però, rendono relativamente più attraente detenere commodities. Per capirci, ragioniamo su un caso estremo. Supponiamo che la commodity sia il rame, e che per semplicità sia un bene perfettamente conservabile nel tempo. Se compro 100 Kg di rame oggi, e li posso conservare senza danno, domani mi troverò con esattamente 100 Kg di rame nelle stesse condizioni. Qual è il rendimento reale di questo investimento? Zero. Ma comunque sempre meglio del rendimento reale negativo offerto dall’investimento in titoli di Stato. Tra questi ultimi e il rame, quindi, preferirò sempre il rame. Questo, ovviamente, spinge il prezzo del rame al rialzo.
Quanto più la Fed, quindi, insiste nell’abbassare i tassi di interesse nominali, tanto più alimenta l’euforia dei prezzi delle commodities. Non solo: c’è il rischio di un altro circolo vizioso. Se una maggiore inflazione oggi spinge al rialzo le aspettative di inflazione, questo spinge al ribasso i rendimenti reali, alimenta la domanda di commodities, e quindi il loro prezzo. Ma ciò a sua volta si riflette in maggiore inflazione. Ancora un circolo vizioso: una spinta inflazionistica oggi tende ad autoalimentarsi, e sempre tramite il canale delle aspettative. Un ulteriore argomento per richiamare le banche centrali a un forte controllo delle aspettative di inflazione.

TERZO ARGOMENTO: LA CRISI FINANZIARIA E IL REDDITO POTENZIALE.

Nella pletora di commenti e analisi sugli effetti reali dello shock finanziario, e potenzialmente creditizio, sembra esservi un po’ di strabismo sulle possibili conseguenze inflazionistiche. Un argomento ricorrente di critica della Bce invita a non preoccuparsi così tanto dell’inflazione. Se stiamo entrando in una fase recessiva, sarà il rallentamento dell’economia in quanto tale a far sì che le pressioni inflazionistiche rimangano contenute. Preoccupiamoci piuttosto di cercare, per quanto possibile, di sostenere la già debole crescita in Europa. Come a dire: lo shock finanziario è per sua natura deflazionistico.
Difficilmente un argomento potrebbe essere più fallace, e per due motivi. In primo luogo, non accettare un rallentamento dell’economia oggi potrebbe portare a spinte inflazionistiche così forti da indurre domani un cambio di rotta radicale della politica monetaria, con incrementi futuri dei tassi potenzialmente anche molto dolorosi.
Ma c’è di più. Per capirlo, è necessario ricordare il concetto di curva di Phillips. In due parole, l’inflazione corrente dipende da due determinanti: (i) l’inflazione attesa per il futuro; (ii) la deviazione del prodotto reale dal suo valore potenziale, detta anche output gap. Che cos’è il reddito potenziale? È quel livello del reddito che un’economia è in grado di raggiungere in caso di piena occupazione dei fattori produttivi e/o nell’ipotesi che prezzi e salari si muovano in modo efficiente a equilibrare i mercati. In sostanza, è il livello di reddito in cui una economia tende a trovarsi mediamente, al termine di fisiologiche espansioni o recessioni.
Il livello potenziale del reddito risponde però a mutamenti strutturali dell’economia, in genere nel grado di competitività dei suoi mercati. Inclusi, si noti bene, i mercati finanziari. Ecco quindi il punto. Non è ancora chiaro se il tipo di shock finanziario e creditizio degli ultimi mesi sia in grado di comprimere il livello potenziale del reddito, sia negli Usa che in Europa. In altre parole, non sappiamo ancora se questo sia uno shock capace di alterare il grado di efficienza dei nostri mercati finanziari. Se così fosse, ciò porterebbe l’output gap a salire: saremmo quindi di fronte a uno shock di tipo inflazionistico, e non deflazionistico come molti amano ripetere. Le implicazioni? Se questo fosse lo scenario, la risposta della politica monetaria dovrebbe essere quella di aumentare i tassi, non di diminuirli. Sono pronti i governi europei a una prospettiva del genere?
In realtà basterebbe ripensare alla lezione degli anni Settanta. Allora la caduta del reddito potenziale era dovuta al cosiddetto productivity slowdown: un rallentamento nel tasso di crescita della produttività, e quindi del livello potenziale del reddito, che le banche centrali fecero molta fatica a individuare, portando a misurazioni talvolta completamente erronee del reddito potenziale stesso, e quindi degli effetti di variazioni dell’output gap sull’inflazione. Oggi potremmo trovarci di nuovo di fronte a un problema simile, senza contare il contemporaneo materializzarsi, come allora, di uno shock petrolifero. Un ulteriore motivo per vigilare con forza sull’inflazione.

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AZIONI PER IL LUNGO PERIODO

16 commenti

  1. matteo

    Ritengo che oggi gli economisti debbano tenere la mente sveglia e libera più che mai per non farsi irretire da ricette che sembrano scolpite nella pietra. La questione degli aumenti salariali in italia deve essere sostenuta ed evidenziata non come il tentativo di re-instaurare automatismi tra salari e prezzi diffondendo second round effects, ma deve essere posta per quello che è: un’emergenza sociale. E’ un’emergenza. Una emergenza, questo è chiaro a tutti o no? E’ necessario almeno un adeguamento lump-sum verso l’alto dei salari che restituisca potere d’acquisto. Gli effetti sulla dinamica dei prezzi di un aumento in somma fissa dei salari dovrebbe essere temporaneo. E’ questo, il punto su cui gli economisti che tengono al paese devono sottolineare: non ritengo che sia il momento di assopirsi su frasi preconfezionate che non hanno applicabilità universale. Bene gli agganci alla produttività, ma prima si risolva la questione dei livelli.

    • La redazione

      grazie del suo commento. Per abbandonare una ricetta "scritta nella pietra" bisognerebbe prima averne un’altra, possibilmente altrettanto fondata, seppur diversa. E la ricetta di aumentare i salari tout court, indipendentemente dalla produttività, ha una sola conseguenza: maggiore inflazione.

  2. DVD

    Credo che sia arduo per tutti scommettere se sia più grave l’inflazione o la recessione, ma sicuramente, saremo costretti ad una riduzione dei tassi sulla scia Americana, per cui spinta sui prezzi. Questo perchè tra due fuochi, America da un lato e Cina e India dall’altro. In tale situazione per non ridurre i consumi interni è benefico a tutti ridurre la spesa pubblica, corrente ed alleggerire in modo sostanzioso le imposte. Mi pare che gli esperti si concentrano troppo sul rischio inflazione e ciò potrebbe essere giusto per un’europa efficiente ma per l’italia la ricetta è una sola: meno sprechi e privilegi, recupero del denaro dalla miriade di prebende, ivi comprese le pensioni d’oro e politiche fiscali premianti e non "dittatoriali" come quelle attuali fondanti su presunzioni di presunzioni. Certo siamo in europa ma dobbiamo continuare a tenere presente i problemi "Italici" che sono molto diversi dagli altri paesi europei più evoluti.

  3. alice kappa

    Ad essere più penalizzati dall’inflazione sono i lavoratori a reddito fisso, e poichè alzare i salari potrebbe far aumentare ancora di più l’inflazione c’è solo una soluzione: ridurre la tassazione sui redditi più bassi, finanziandola con il recupero dell’evasione fiscale e la riduzione degli sprechi nella spesa pubblica.

  4. Fabio

    L’inflazione, la crisi economica, la depressione, sono tutti sintomi di un sistema malato, dove chi la fa da padrone è il sistema bancario che decide lei stesso quanto deve guadagnare a spese nostre. Putroppo il giocattolo si sta rompendo e sono le stesse banche che ci hanno messo del loro, creando denaro dal nulla e facendo aumentare la massa di denaro in circolazione con conseguente scandaloso aumento dei prezzi ai livelli attuali. Volete cercare di capirne di più? E’ molto semplice: cercate in internet la parola signoraggio bancario e scoprirete che intendo dire e sopratutto leggete una interessantissima lettura: "Euroschiavi e i segreti del signoraggio bancario" – Della Luna/Miclavez. Poi vi renderete conto che tutto quello detto in TV e sui giornali sono fesserie. Buona lettura!

  5. fernanda

    Come è possibile continuare a sostenere l’argomento del contenimento dei salari, se ormai non è più possibile nascondere a nessuno che in Italia i salari dei lavoratori sono rimasti al palo e sono i più bassi di europa!! L’inflazione sarà al al 2% nel resto d’Europa, non certo in Italia, dove i prezzi continuano a salire per effetto dell’inflazione importata dagli USA e con buona pace del paniere ISTAT. E perchè non si parla degli extraprofitti delle imprese realizzati grazie alla delocalizzazione delle aziende (in Cina ed in India) e al minor costo della manodopera conseguito? altrimenti non si capisce perchè queste aziende virtuose vadano all’estero e perchè non si parla correttamente di produttività del lavoro calcolata sul valore della produzione e non sui pezzi prodotti?

  6. Rapisarda Salvatore

    Il processo di globalizzazione in atto da un lato riduce il valore del lavoro che viene delocalizzato in luoghi ove il suo costo deve tendere ad annullarsi sia per gli operai sia per le altre classi sociali che sono soggette ad attacchi perchè si vuole tendere ad annullare l’idea che il lavoro possa avere un costo (ritorno alle società schiavistiche). Perchè se chi delocalizza riduce i costi di produzione assistiamo in questi anni ad un processo inflazionistico? Non sarebbe il caso di attenzionare i meccanismi della grande distribuzione, dell’importazione e del branding per vedere se negli stessi vi siano delle "strozzature"? Se con un pizzico di onestà intellettuale disaggreghiamo inflazione da costi e da domanda, e ragionevolmente pensiamo che sussista la prima e non la seconda potremmo giungere a soluzioni opposte a quelle pietrificate in materia di costo del lavoro e tasso di interesse. Tuttavia il problema dell’insufficienza del salario non può essere affrontato come si suole affermare semplicisticamente tramite un suo aumento in termini nominali che verrebbero erosi dal processo in atto (assorbiti dagli oligopoli) e non si traducono nell’aumento della domanda interna.

  7. Diego Marchiolè

    L’incertezza nel futuro e i bassissimi rendimenti dei titoli di stato hanno fatto aumentare i prezzi delle case. Chi può ha comprato immobili che come il Rame nell’esempio sono beni scarsamente deperibili, nella certezza storica che i prezzi delle case aumenteranno. Si è posta una solida base per la futura crescita dell’inflazione, infatti l’affitto di casa incide fortemente sulla richiesta di reddito dei lavoratori. Urge detassazione totale della prima casa. Tassazione come oggi per le case affittate, e un’imposozione fortissima sui patrimoni immobiliari conservati in maniera speculativa. Tale imposizione potrà essere contrastata dai proprietari beneficiando di misure incentivanti la ristrutturazione degli immobili stessi, senza tetti. Il mio concetto è: se riesco efficacemente a colpire la speculazione al rialzo dei prezzi contenuta negli accumulatori di inflazione avrò buone probabilità di essere credibile nel chiedere aumenti salariali contenuti e ottenere un tasso di inflazione contenuto.

  8. Valerio

    In Europa, per 20 anni, abbiamo perseguito politiche virtuose di contenimento della crescita della domanda aggregata, coerentemente con dinamiche inflazionistiche moderate, con la disciplina fiscale e una politica monetaria tutto sommato relativamente restrittiva e certamente poco anticiclica. Nei paesi anglosassoni, invece, la politica monetaria e’ stata spesso espansiva e la disciplina di bilancio, presso le unia’ familiari o pressi i governi, blanda. Ora, pero’, di fronte al rischio di crisi sistemiche, e’ chiaro a tutti che la BCE non si e’ tirata indietro dal dare una mano a istituti e mercati finanziari in difficolta’. E’ possibile che parte del differenziale di crescita tra Europa continentale e paesi anglosassoni si spiegi col fatto che forse siamo stati un po’ troppo virtuosi (‘too much of a good thing’) e che forse dovremmo farci un po’ piu’ furbi?

  9. Lucio Tamagno

    Lo scoppio dello scandalo ENRON ha tolto dalla scena il n.1 dei revisori USA, Arthur Andersen. Vista la dimensione ed il prestigio della vittima (A.A.), ho sempre avuto il dubbio che la malagestione "certificata" riguardasse molti altri casi analoghi. Niente di tutto questo è al tempo emerso. Mi chiedo oggi quanto l’attuale crisi finanziaria USA dipenda dai crediti fatti al signor Smith e quanto da crediti ugualmente inesigibili o comunque in profonda sofferenza che hanno un’origine "industriale", più antica e quindi probabilmente dimensioni molto più estese. Se così fosse la cura FED, molto improntata sul breve termine, non sembra adeguata. Alimentando la svalutazione dell’US$ rende gli asset finanziari ed industriali in crisi inevitabilmente e più facilmente oggetto di acquisizione. Queste acquisizioni, vista la carenza di liquidità interna, facilmente saranno fatte da attori provenienti da paesi con forte surplus commerciale (fra l’altro spesso in valuta forte come l’euro). Gradirei un commento a quanto sopra.

  10. mario

    Penso si dovrebbe cominciare a spiegare cosa sia veramente l’inflazione, ovvero la crescita della massa monetaria. In mancanza di uno standard aurifero, sono le banche centrali a creare l’inflazione, su richiesta più o meno diretta del potere politico, con l’intenzione di influenzare il ciclo economico, con l’effetto opposto, ovvero di accentuarne la salita (boom) e ad amplificarne la discesa (bust). Tutte le banche centrali stanno facendo girare le rotative a mille in questo periodo (M3 cresce in Europa del 12%, fonti private riportano il 16 % negli USA, in Cina siamo intorno al 19 %, in Russia sopra il 50 %, e la lista può continuare). La moneta creata negli ultimi decenni ha provocato l’inflazione del mercato mobiliare prima, di quello immobiliare poi e finalmente si sta manifestando nei beni di consumo. Si dovrebbe fare uno sforzo per far conoscere agli italiani Rothbard e von Mises, sporattutto perchè, di questo passo, infondo al tunnel c’è l’iperinflazione stile Zimbawe su scala globale, con il collasso dell dollaro e del Bretton Woods 2. In questo drammatico scenario, l’italia sarebbe tra i primi paesi a soccombere.

  11. Fabio

    Signori a questo punto visto che gira attorno al problema, ecco una soluzione interessante da un punto di vista di un nuovo modello economico: l’economia dell’isola di Guernsey, nella Manica. Si tratta di un’isola dove in circolazione c’è una propria moneta, emessa in maniera indipendente rispetto alla Banca d’Inghilterra. la moneta viene emessa direttamente dallo Stato e serve fondamentalmente per pagare sia la spesa corrente che le opere pubbliche. Esiste tra le altre cose solo una Flat-tax del 20% che tutti pagano indiscriminatamente e che serve solo per controllare la massa monetaria circolante. Conseguenza: il livello dei prezzi è sempre lo stesso da oltre 30 anni; non esiste il debito pubblico, poichè il denaro non viene prestato da una Banca centrale allo Stato in cambio di titoli di debito e soprattutto non si pagano gli interessi sul debito pubblico che a livello macroeconomico non fa altro che far aumentare lo stock del debito e a livello micro economico fa aumentare i prezzi in maniera scandalosa per via degli oneri f. Aumentare i salari non basta, piuttosto bisognerebbe aumentare la liquidità in circolazione iniettando sangue in un corpo dissanguato come l’Italia.

  12. biagio di lernia TRANI ex BAT

    La mia pensione del 2001, tradotta in euro nel 2002, e l’inflazione di questi anni, me l’hammo ridotta in potere d acquisto del 50-60%. Che fare? Ritornare a lavorare a 65 anni per poter tenere un tenore di vita decoroso? E chi me lo da il lavoro a quest’età? Gli altri redditi non sono colpiti dall’inflazione come quello della pensione, che mette in pista ogni anno una perequazione “peregrina” intorno all’1%. Quest’anno poi nemmeno questa perequazione ho preso, in quanto con gli aumenti delle addizionali comunali regionali e le mancate detrazioni hanno fatto “arretrare” la mia pensione. Voi economisti di larga fama e di grandi discussioni…mai una parola sull’argomento. E’ mai possibile un arretramento di reddito? Tutti dico tutti si beccano gli aumenti reali di reddito in Italia. Persino il presidente della repubblica. E noi pensionati a reddito fisso? Tutti i lavoratori rinnovano i contratti; i bancari recuperano addirittura il 20%. Scandalo, vero scandalo. E Voi grandi Economisti della lavoce.info fate discorsi ad alto livello di economia. Ma a Padoa Schioppa, vostro collega che suggerirete al riguardo? Vi leggo sempre, ma ogni tanto mi incavolo per le cose che dite.

  13. Giancarlo

    Secondo il modello dei salari vischiosi l’inflazione riduce il salario reale (nno potendo ridursi quello nominale), la dimuinizione del salario porta ad un aumento l’occupazione e la produzione e quindi il reddito. Secondo la curva di Phillips similarmente, c’è una relazione inversa tra disoccupazione e inflazione. Più inflazione meno disoccupazione e viceversa. A mio onesto parere, credo che il bene primario per l’Italia sia aumentare l’occupazione.

  14. Eric Fapom

    I dati macroeconomici dal lunedi 23/06 mostrano un bolletino quasi di guerra. Il dato retail sales Italiano mostra preoccupazione sul fronte interno (nonche’ in germania e francia) dopo i consumer confidence negativi in eurozone. Mi viene in mente un bellissimo grafico Core/Non Core eurozone Inflation che mostrava il Non Core scattare e tendente a superare il 2%. Ma sono un po’ scettico che la BCE abbia ragione alla fine di preoccuparsi troppo e credere di poter combattere efficacemente le aspettative d’inflazione interna, temo che stia provando di riscrivere il modo di fare politica monetaria e magari con l’obiettivo di ottimizzare la sua credibilita’ vs il mercato globale. Il mio dubbio sta nel fatto che il shock è pienamente esterno e strutturale e che il mercato mondiale dovrebbe imparare a convivere con prezzi di commodity molto alti rispetto a 3-4 anni fa. In questo senso, i cinesi hanno dovuto prendere o lasciare il raddoppio unilaterale dei prezzi di ferro dagli australiani. Se cosi fosse, non e’ che l’attuale tendenza della politica della BCE, che contrasta ancora con quella della Fed, potrebbe avere effetti dramatici e piombare l’europa in stagflazione?

  15. Eric Fapom

    Trichet ha mantenuto la promessa di una aumento di 0.25% dei tassi, mostrando durante la conferenza fermezza sul ruolo dell BCE di garantire la stabilità dei prezzi e sull’indipendenza della banca dalla politica. Credo che la sua credibilità abbia toccato l’apice dalla sua creazione e che Trichet rimarrà a lungo nella mente degli operatori del mercato come un bravo banchiere centrale. Mentre la BCE realizzerà l’obiettivo a breve di ancorare le aspettative d’inflazione a medio al 2/3% nella mente degli operativi europei, mi chiedo sul serio se le imprese accetteranno volentieri una riduzione piena dei loro margini a fronte di un aumento fuori controllo dei costi degli input produttivi. Trichet sembra non credere che l’economia eurozone sia entrata in una fase di raffreddamento i cui effetti avrebbero fatto il lavoro sul fronte dell’inflazione, quindi non crede sostanzialmente nei rischi di stagflazione. Alla fine, il mercato ha reagito molto bene con sollievo, leggendo nei Q&A una lunga fase di pausa e di wait and see dal banchiere centrale che comunque ha laciato aperto ogni ipotesi.

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