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INDAGINI CON OBBLIGO DI RISPOSTA

Norme che assicurino una protezione formale dei dati personali non sono necessarie nelle indagini statistiche, a patto che si garantisca il diritto alla non-risposta o alla risposta mendace. Lo sono invece nel caso dei dati amministrativi. Ma la legislazione Italiana ignora completamente la distinzione tra i due tipi di dati. Impone perciò obblighi di risposta senza precedenti in altri paesi. E un livello eccessivo di protezione, che comporta maggiore burocrazia, aggravio di costi, minore ricerca scientifica e minore conoscenza.

La contestazione rivolta dalla Corte dei conti all’Istat di avere disatteso la norma che prevede sanzioni per chi non risponde alle indagini statistiche è paradossale e contrasta in maniera stridente con quel fondamentale diritto degli individui alla privacy che ha portato, in altra sede, a regolare formalmente l’uso dei dati personali nell’analisi statistica. La vicenda offre dunque l’opportunità di riflettere nuovamente sul tema del rapporto tra protezione dei dati personali e analisi statistica.

OBIETTIVI D’ANALISI

Qual è l’obiettivo di un’analisi statistica? In generale, non è quello di descrivere le caratteristiche individuali di singole unità che compongono una popolazione, ma quello di descrivere o fare inferenza circa caratteristiche di interesse della popolazione, quali la sua media o la sua varianza. Il fatto che le caratteristiche individuali non costituiscano l’oggetto di un’analisi statistica non significa però che esse siano prive di interesse o irrilevanti per un analista. Anzitutto, contengono l’informazione necessaria per descrivere o fare inferenza circa le caratteristiche della popolazione. Inoltre, i risultati di un’analisi statistica possono dipendere in misura determinante dal valore che una o più variabili assumono per un insieme ridotto di unità. In questi casi, è essenziale poter determinare quali unità esercitino un’influenza eccessiva sui risultati ottenuti e perché.
L’analisi statistica non sembra dunque entrare in conflitto con il diritto degli individui alla privacy, e non sembra richiedere una particolare regolamentazione, oltre a quella implicita nei codici professionali di comportamento. In base ai quali un’analisi che avesse come obiettivo lo studio delle caratteristiche di una singola unità della popolazione verrebbe declassata al rango di “analisi non statistica”, con ovvie conseguenze per gli autori.

DALLE INDAGINI CAMPIONARIE AI DATI AMMINISTRATIVI

Se si conviene poi sul fatto che la giurisprudenza fornisce comunque strumenti adeguati per punire abusi compiuti sotto il paravento di finalità statistiche, da quali altri rischi connessi all’analisi statistica nasce allora l’esigenza di protezione formale dei dati personali? Una possibile risposta è legata all’uso crescente di dati amministrativi per scopi statistici.
Tradizionalmente, l’analisi statistica si è basata su dati raccolti tramite indagini, di tipo campionario o censuario, in cui le unità della popolazione sono chiamate a rispondere a una serie di domande relative a fenomeni di interesse statistico. Tali indagini forniscono agli individui due forme efficaci di protezione della privacy. La prima è la possibilità di non rispondere, che si può manifestare nel rifiuto di partecipare all’indagine oppure di rispondere a specifiche domande. L’altra è la possibilità di rispondere in modo evasivo o impreciso, o di non riportare il vero. La sanzione del rifiuto di partecipare a un’indagine è di dubbia efficacia. Anzi, violazioni reali o percepite del diritto alla privacy tendono a tradursi nello scadimento della qualità dei dati raccolti. La possibilità di non rispondere o di mentire rappresenta l’equivalente del comportamento che, nel campo della teoria politica, viene indicato come “votare con i piedi”. Questa forma semplice ma efficace di autoprotezione va difesa, anche perché libera dal bisogno di regolare formalmente l’uso dei dati ottenuti da indagini.
Recentemente, l’analisi statistica ha iniziato a ricorrere in misura crescente a dati di tipo amministrativo. Per i quali, però, vengono meno le due forme di autoprotezione tipiche delle indagini statistiche. Infatti, l’inserimento in un archivio amministrativo è spesso sottratto alla scelta individuale. Inoltre, per gli scopi propri di tali archivi, l’informazione in essi contenuta tende ad avere un elevato grado di accuratezza. Queste due caratteristiche contribuiscono a spiegare il crescente interesse statistico per i dati amministrativi. Il loro utilizzo consente infatti di evitare i problemi connessi alla mancata risposta e agli errori di misura che affliggono invece qualunque analisi basata su indagini statistiche.
L’impossibilità di forme di autoprotezione nel caso dei dati amministrativi costituisce, a mio avviso, la principale giustificazione per norme che assicurino una protezione formale dei dati personali. Queste sono invece assai meno necessarie per i dati ottenuti tramite indagini statistiche, a patto che si garantisca il diritto alla non-risposta, o alla risposta mendace. Purtroppo, la legislazione Italiana sembra ignorare completamente la distinzione tra i due tipi di dati. Questo porta da un lato all’imposizione di obblighi di risposta che non hanno precedenti in altri paesi, dall’altro a un livello eccessivo di protezione, con conseguenze pesanti in termini di maggiore burocrazia, aggravio di costi, minore ricerca scientifica e minore conoscenza.

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LE RAGIONI DI UNA MOSSA A SORPRESA

  1. Annamaria

    Contrariamente a quanto da qualche settimana una, per fortuna, esigua minoranza va sostenendo, in tutti i Paesi europei sono previste sanzioni per chi – cittadini, imprese e istituzioni pubbliche o private – non risponde ai questionari statistici per i quali la legge prevede l’obbligo di risposta. Solo dopo che la Corte dei Conti ha legittimamente contestato ai vertici dell’Istat la non applicazione ai non rispondenti (soprattutto imprese) delle sanzioni previste dagli articoli 7 e 11 del d.lgs. 322/89, c’è chi ha gridato allo scandalo. Quanto al rispetto della privacy, occorre precisare che nessun obbligo di risposta esiste in Italia, come altrove, quando trattasi di indagini sullo stato di salute, sulle convinzioni politiche, religiose et similia.

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