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QUANTO PUO’ RISCHIARE UN FONDO PENSIONE

Criteri, divieti e limiti agli investimenti dei fondi pensione sono regolati da un decreto di dieci anni fa. Nel frattempo molto è cambiato nei mercati finanziari per la deregolamentazione, la globalizzazione e l’innovazione finanziaria. Ecco perché il ministero dell’Economia ha pubblicato un documento di consultazione con le possibili linee guida di una nuova regolamentazione, da emanare entro la metà del 2008. Numerosi i temi caldi, dal controllo e gestione dei rischi all’estensione delle possibilità di investimento, alle regole contabili.

Il decreto n. 703/1996 del ministero del Tesoro, tuttora in vigore, ha regolato per oltre dieci anni i criteri, i divieti e i limiti agli investimenti dei fondi pensione. Dopo un decennio di fortissima deregolamentazione, globalizzazione e innovazione finanziaria, è convinzione unanime che si debba procedere a un completo aggiornamento della materia all’interno di un “nuovo 703”, da emanarsi “con decreto del ministero dell’Economia, di concerto col ministero del Lavoro, sentita la Covip”. (1)
Il ministero dell’Economia ha appena pubblicato un documento di consultazione contenente possibili linee guida del nuovo decreto, con l’obiettivo di emanare la nuova regolamentazione entro la metà del 2008. (2)
I temi caldi sono numerosi.

Il controllo dei rischi

L’intento del nuovo decreto è quello di fornire una regolamentazione che consenta ai fondi pensione il perseguimento efficiente degli interessi degli iscritti in condizioni di pieno controllo dei rischi e dei costi.
Il benchmark del fondo o del comparto, inteso come indice oggettivo di misurazione dell’andamento dei mercati finanziari di riferimento, ha svolto finora egregiamente il ruolo di indicatore di rischio per gli iscritti attuali e potenziali dei fondi.
Le sue caratteristiche di oggettività, trasparenza, comparabilità e diffusione (nei fondi comuni, negli Etf eccetera) lo rendono tuttora un elemento insostituibile nel processo di controllo del rischio, con la sola eccezione delle gestioni strutturalmente prive di una prefissata composizione allocativa di riferimento (per esempio, gestioni flessibili e a capitale protetto).
Naturalmente, accanto al benchmark, che è di facile comprensione anche grafica, i fondi da tempo calcolano misure “complementari” di rischio (VaR, Conditional VaR, beta, volatilità, Tev, omega e così via) che aiutano a leggere, sia ex post (su un arco di tempo passato) sia ex ante (in previsione) il grado di rischio della gestione.
Come è stato detto autorevolmente (da William Sharpe) “risk is one word but not one number” e la nuova regolamentazione, accanto al sempre valido benchmark, può utilmente indicare ai fondi pensione non una misura di rischio, che può diventare obsoleta molto più in fretta del vecchio 703 (3), bensì la necessità di disporre di un valido sistema di monitoraggio.

L’estensione delle possibilità di investimento

Il vecchio 703 imponeva due vincoli significativi alla gestione: divieto di vendite allo scoperto; limiti quantitativi agli investimenti. Col senno di poi, è difficile biasimare queste limitazioni. Se hanno ridotto alcune opportunità di rendimento, certamente non sono state un problema in termini di gestione del rischio in quanto
a) i rischi assunti dai fondi pensione sono stati di regola sensibilmente inferiori ai margini consentiti dal decreto e dalle stesse convenzioni di gestione;
b) l’uso dei derivati è stato sempre consentito sia a fini di copertura sia a fini di strumento alternativo di esposizione al rischio rispetto al sottostante;
c) fondi chiusi mobiliari e immobiliari sono stati accessibili fino al 20 per cento del patrimonio del fondo pensione (e al 25 per cento del patrimonio del fondo chiuso).
L’investimento nelle aree emergenti e lo sfruttamento di strumenti che possono contenere “posizioni corte” (vendite allo scoperto, per esempio hedge fund di tipo long/short e market neutral) sembrano le principali estensioni verso cui indirizzare il “nuovo 703”.
Finora questi veicoli hanno sofferto di un grave deficit di trasparenza e regolamentazione che ha contribuito, anche nel 2007, a trasformare episodi di crisi in disastri globali (crisi dei mutui subprime).
Peraltro, l’esperienza dei cosiddetti fondi pensione preesistenti, non soggetti al vecchio 703 e da tempo investiti, per quote significative, in hedge fund, può fornire preziose indicazioni sugli effettivi vantaggi e svantaggi degli investimenti alternativi.  
È vero che l’opacità dei portafogli protegge il fondamentale valore intellettuale di cui sono espressione, in modo non dissimile dalla ricetta di una bevanda o dal codice di un software. Tuttavia, almeno nel primo caso, ci deve essere qualcuno che garantisca che gli ingredienti non sono nocivi alla salute.

Le regole contabili

I fondi pensione negoziali e aperti, tipicamente a contribuzione definita, seguono la regola contabile del mark-to-market, valorizzando ai prezzi di mercato le attività in portafoglio.
Un principio di parità (same risks, same rules) vorrebbe che le stesse regole valessero per tutti gli strumenti previdenziali ad essi paragonabili, inclusi quindi i piani individuali pensionistici (Pip) che, al contrario, come prodotti assicurativi di ramo I, sono soggetti alla contabilità a costo storico tipica delle polizze. Ciò ha rilevanza soprattutto per il calcolo dei valori di liquidazione e dei rendimenti conseguiti, soggetti, nel caso delle polizze, a effetti di compensazione e mutualità tra aderenti del tutto estranei ai fondi pensione.
La crescente competizione tra forme pensionistiche suggerisce di accrescere la loro confrontabilità ad esempio affiancando nei Pip la contabilità mark-to-market a quella tradizionale. (4)

Dal controllo del rischio alla gestione del rischio

Un efficace sistema di risk monitoring, articolato e puntuale, è la premessa per il passaggio dal controllo alla gestione del rischio (risk management).
Mentre il primo aspetto deve trovare nel nuovo 703 una chiara legittimazione e un fermo supporto per tutte le forme pensionistiche, il tema della gestione del rischio non può non essere demandato al “prudente apprezzamento” dei singoli fondi pensione, purché dotati di dimensioni e strutture interne adeguate e validate dalle autorità preposte.
La distinzione classica tra asset allocation strategica, in capo al fondo, e asset allocation tattica, demandata al gestore, se è chiara in linea di principio, lo è molto meno nella realtà pratica. Di conseguenza, i fondi possono avvertire l’esigenza di modifiche strategiche più frequenti dei rinnovi delle convenzioni di gestione, mentre gli aderenti, nelle ormai numerose realtà multicomparto, possono essere interessati a modifiche delle scelte iniziali.
Tuttavia, l’esperienza internazionale mostra che, di regola a) i gestori professionisti sono molti più forti nell’asset picking che nel market timing; e b) i soggetti inesperti (lavoratori, amministratori) che cercano di “anticipare il mercato” distruggono valore.
Ne discende un ruolo specifico di supervisione e controllo da inserire nel nuovo decreto per consentire attività più avanzate di gestione diretta solo ai fondi pensione specificamente preparati, favorendo così la crescita dimensionale dei fondi, la formazione finanziaria interna, la separatezza tra controllo e gestione, l’assunzione consapevole dei rischi, non ultimi quelli operativi.

(1) Così recita il Dlgs 28/2007 che modifica la disciplina sui fondi pensione (Dlgs.252/2005) in attuazione della Direttiva europea 2003/41/Ce. Una sintesi del decreto 703/1996 è contenuta nell’intervento di Mangiatordi su lavoce.info .
(2) Il documento è disponibile a questo link.
(3) Ad esempio il VaR è ormai sommerso da una letteratura teorica ed empirica assai critica.
(4) Vedi le regole Ias (principi contabili internazionali).

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

  1. simone

    Il decreto in oggetto disciplina i divieti e i limiti agli investimenti dei fondi pensione. Questa è la teoria. Faccio subito l’esempio concreto (i dati sono consultabili dal sito di Fonchim). Nel 2008 il comparto moneta ha realizzato sul patrimonio investito -8,26% contro un benchmark di +5,86%. Come è stato possibile? Semplice: il fondo aveve la quasi totalità impiegata in titoli corporate di banche o società finanziarie. Alla faccia dell’art. 2 del decreto in oggetto. E stiamo parlando di un fondo negoziale chiuso, sottoposto alla vigilanza della Covip. Tutto questo per dire che non esistono controlli preventivi seri (il caso riportato è storia, non teoria). Per chi fosse interessato ho dedicato un piccolo sito a questo esempio da manuale di perfetta gestione del rischio.

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