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BANCHIERI SOTTO ACCUSA

La recente lunga fase di turbolenza finanziaria ha messo in evidenza i fallimenti nella conduzione della politica monetaria, nei metodi di gestione delle linee di credito di ultima istanza delle banche centrali e nel sistema di regolazione dei mercati finanziari. I rimedi ci sono, ma non sono semplici da applicare. Si dovrebbero sanzionare, oltre alle banche, i banchieri che, pur non colpevoli di atti illegali, abbiano prodotto gravi danni al sistema finanziario e ai risparmiatori. Con la loro esclusione per lunghi periodi, magari per sempre, dalla comunità finanziaria. Un commento di Guido Tabellini all’articolo.

La lunga fase di turbolenza finanziaria, aperta l’estate scorsa dalla crescenti insolvenze sul mercato dei mutui ipotecari subprime ha esposto importanti fallimenti nella conduzione della politica monetaria, nei metodi di gestione delle linee di credito di ultima istanza delle banche centrali e nel sistema di regolazione dei mercati finanziari. Il problema si origina negli Stati Uniti, i cui mercati finanziari restano dominanti come punto di attrazione della liquidità internazionale e come motore dei processi innovativi nella finanza.

Errori americani

L’errore della politica monetaria americana è presto detto: come documenta in maniera esauriente l’ultimo World Economic Outlook del Fondo monetario (1), la Federal Reserve americana ha condotto una politica monetaria fortemente espansiva dal principio del 2003 fino a quasi tutto il 2006, spingendo i tassi di interesse ben al di sotto dell’inflazione – come non si vedeva dagli anni Settanta. I paesi europei e il Giappone hanno anch’essi adottato una politica monetaria accomodante, ma non fino al punto di spingere i tassi d’interesse sotto l’inflazione. (2)
Non sorprende che il dollaro si sia deprezzato e l’inflazione sia ripartita, sospinta dai rincari delle materie prime, perlopiù denominate in dollari. Questi eventi hanno già intaccato ilpatrimonio di credibilità accumulato dalle banche centrali nei precedenti due decenni; la gravità del danno dipenderà dalla reazione dei lavoratori dipendenti nei paesi importatori, che finora hanno accettato forti perdite di potere d’acquisto.
Ma la Fed non si è accontentata di inondare il mondo di liquidità. Nell’ossessione di evitare una recessione e di spingere la domanda interna, essa si è anche resa responsabile di un grave allentamento degli standard di credito del sistema finanziario, in particolare nel comparto dei mutui fondiari. Tanto per capire, qualcosa come 700 miliardi di dollari di prestiti subprime sono stati accordati (spesso senza documentazione) e collocati “a palla”, secondo il nuovo modello “originate and distribuite” sul mercato finanziario in poco più di tre anni, spesso con condizioni da usura applicate a prenditori che non erano in grado di ripagare neppure un mutuo normale. (3) Direttamente o indirettamente, il processo è stato guidato dalle grandi banche americane, che hanno creato i veicoli per raccogliere il denaro (asset-backed commercial paper) ed erogare i mutui, e ancora altri veicoli per collocare gli stessi mutui tra gli investitori, offrendo rendimenti irragionevolmente elevati (structured investment vehicles e altri conduits). Gli interventi di freno ai mutui allegri annunciati il 18 dicembre confermano che la Fed aveva i poteri e gli strumenti per intervenire.

Banche centrali incerte

Il secondo problema è quello della gestione dei prestiti di ultima istanza. In settembre, e poi in maniera più acuta da novembre, si sono manifestate acute tensioni sul mercato monetario, in particolare nelle scadenze oltre il mese. Il fenomeno nasce per l’accresciuta domanda di liquidità delle grandi banche internazionali, le quali fanno finanziare i veicoli di credito e investimento da esse stesse create, per evitarne il fallimento, e sono anche diventate più riluttanti a farsi credito reciprocamente per l’accresciuta incertezza sui rischi di controparte – come a dire, hanno smesso di fidarsi l’una dell’’altra.
Quando i mercati si spaventano e la liquidità si restringe drasticamente, i banchieri centrali sanno di non avere scelta: lo shock deve essere accomodato, fornendo alle banche liquidità sufficiente per compensare la distruzione di liquidità attraverso i canali privati. Ma le banche centrali al principio hanno esitato: volevano in garanzia carta troppo pregiata e volevano punire le banche, secondo la lezione di Walter Bagehot, facendo pagare loro una forte penalità. Così, all’incertezza dei mercati si è aggiunta quella creata dall’apparente incapacità delle banche centrali di risolvere il problema.
Il cappello dell’asino lo ha guadagnato Mervyn King, il governatore della Banca d’Inghilterra che, prima lesinando il credito e poi cambiando clamorosamente rotta, è riuscito nell’impresa di creare un mini-panico tra i depositanti di Northern Rock, una banca inglese specializzata nei mutui fondiari. La Banca centrale europea, invece, si è guadagnata i galloni diprimo della classe, con una serie di interventi di crescente efficacia sui comparti del mercato monetario in maggior tensione: dimostrando di essere perfettamente in grado di calmare le tensioni, fornendo a rubinetto la liquidità necessaria, laddove si manifesta la domanda, senza far troppo la schifiltosa sul tipo di carta ricevuta in garanzia. La liquidità così creata potrà esser riassorbita appena la domanda tornerà su livelli meno eccezionali: cioè, presumibilmente, quando i mercati avranno le idee più chiare sulla dimensione e la copertura delle perdite accumulate nel sistema finanziario. 

Vigilanza in crisi

Il terzo problema, infine, è quello della crisi dei modelli di vigilanza, che non hanno saputo impedire l’assunzione di rischi sproporzionati. In un contesto di forte innovazione finanziaria, l’approccio generalmente seguito dalle banche centrali e dagli altri regolatori è stato, e non può che continuare ad essere, quello di concentrare gli interventi regolatori sulle banche, che sono la base e le fornitrici di liquidità del sistema di intermediazione. I requisiti di capitale minimo e di adeguati strumenti gestionali per il controllo dei rischi avrebbero dovuto garantire contro l’assunzione di rischi esagerati da parte delle banche. Ciò non è avvenuto: in effetti, le grandi banche internazionali hanno aggirato i paletti posti dai regolatori spostando rischi sempre maggiori fuori dai propri bilanci, attraverso le operazioni di cartolarizzazione, e pensando di potersene disinteressare. Quando il toro ha smesso di correre, anche per la stretta delle condizioni monetarie, il castello di carta è crollato sulla loro testa; è emerso allora evidente anche il massiccio aggiramento dei vincoli regolamentari.
Al di là dei problemi di frammentazione e debole coordinamento dei regolatori – ai quali sul fronte europeo ha dedicato la sua attenzione il ministro Padoa-Schioppa in un documento inviato recentemente al Consiglio Ecofin – l’accaduto rivela la presenza nel sistema di incentivi perversi, che in qualche modo occorre cercare di correggere. Il problema è stato ben descritto in un brillante commento di Martin Wolf sul Financial Times (4): l’assunzione di rischi da parte delle banche è sussidiata dai sistemi pubblici di regolazione, che in effetti assicurano la copertura delle perdite a carico di soggetti terzi – attraverso i meccanismi di assicurazione dei depositi e altre forme esplicite e implicite di garanzia, fino all’intervento diretto dello Stato, come appunto sta accadendo negli Stati Uniti e in Inghilterra. Essendo troppo importanti per fallire, le grandi banche devono essere salvate; poiché si sa che saranno salvate, esse tendono a tenere capitali propri insufficienti e ad assumere rischi esagerati. Le due cose spiegano gli elevatissimi rendimenti sul capitale delle grandi banche inglesi e americane, mediamente più che doppi di quelli di qualunque altro investimento rischioso.
I rimedi ci sono, ma non sono semplici da applicare: ad esempio, tutte le garanzie esplicite e implicite di liquidità fornite dalle banche ad altri intermediari dovrebbero essere considerate ai fini dei requisiti di capitale. Ma l’innovazione finanziaria crea sempre nuovi canali per aggirare tali requisiti; come si è visto, talora nelle fasi di euforia i regolatori americani hanno chiuso un occhio, per non frenare lo sviluppo dell’industria finanziaria. Ora si stringeranno i freni, e per un po’ le cose andranno meglio, ma poi tenderanno a peggiorare di nuovo. Serve un secondo intervento: come suggerito da Lorenzo Bini Smaghi della Bce, oltre alle banche, si dovrebbero sanzionare anche i banchieri che, pur non colpevoli di atti illegali, abbiano prodotto gravi danni al sistema finanziario e ai risparmiatori. Non basta la punizione dei bonus meno generosi: occorre colpirli con sanzioni personali, che li escludano del tutto per lunghi periodi, magari per sempre, dalla comunità finanziaria. Sorgono anche qui seri problemi di disegno istituzionale: ma, se si è d’accordo sull’obbiettivo, le soluzioni si possono trovare.

(1) Vedi in particolare il paragrafo Policy Challenges, pagg. 33 e seguenti.
(2) Si veda la figura a pag. 34 del Weo già citato.
(3) Su questo si veda l’inchiesta su Herald Tribune del 18 dicembre 2007.
(4) Martin Wolf “Why banking remains an accident waiting to happen”, Financial Times del 28 novembre 2007.

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STRATEGIA DI LISBONA E MODELLI DI WELFARE

  1. F. Ballarini

    Subito dopo lo scoppio della crisi dei subprime non ho mai trovato critiche ai gestori della politica monetaria statunitense .
    Alcuni mesi fa, inviai a voi un commento in cui affermavo che questi responsabili avrebbero fatto bene a scegliere un lavoro più adeguato alle loro capacità.
    Era un pò forte e non l’avete pubblicato.
    Dopo l’articolo in oggetto, sto inviando il seguente commento al giornale di lingua inglese che vi giro:
    “The world of business is a jungle of conflicts of interest dominated by the strong business powers ( big banks, large oil companies etc ).
    In periods when these powerful entities earn huge profits, they are like trains without brakes : nobody can stop the run of the train gone crazy and greed is driving the train.
    In this article, people known to be quite brilliant like Greenspan are apparently behaving like sleepwalker, in fact having in mind only one objective: not to disturb the drivers.

  2. michele giardino

    Le ultime, centratissime osservazioni di Stefano Micossi sull’incentivo a comportamenti di "moral hazard" connaturato al "vincolo di protezione" delle banche, specie delle maggiori (anche in Paesi quali GB e USA il principio "too big to fail" risulta ineludibile nella prassi), potrebbero sollecitare un interrogativo. E’ vero che"ratios" patrimoniali severi sono un valido disncentivo a scelte troppo disattente o incuranti del rischio: ma d’altronde troppa severità genera indesiderabili fenomeni di contrazione del credito complessivamente erogato. Questo delicato equilibrio, rileva Micossi, assicura pingui profitti alle banche. Ma allora, è così inconcepibile vietare anche solo temporanemamente a quelle fra esse i cui mezzi propri si presentino complessivamente sproporzionati ai rischi complessivamente assunti, di distribuire utili oltre una soglia rapportata appunto ai mezzi propri, ed obblighi ad accantonare a riserva la parte non distribuibile? La banca e i suoi azionisti non perderebbero nulla e il sistema se ne avvantaggerebbe, moderando almeno un poco le troppe ingordigie di breve periodo. Tecnicamente arduo, certo, ma c’è qualcosa di facile oggi, in questo campo?

  3. Luigi Spaventa

    La Fed non ha "inondato il mondo di liquidità", il cui eccesso ha altre origini. Come tutti i regolatori si è cullata nell’illusione che il >, frazionandoli, riducesse la componente sistemica dei rischi. Nessun regolatore si è accorto che il si risolveva in un round trip alle banche originatrici; e nessuno ha preteso informazioni dalle banche sulle esposizioni fuori bilancio (Basilea I consentiva di non portare a bilancio le linee di credito inferiori a 365 giorni). La concessione dei mutui fondiari infine era del tutto de-regolata negli Stati Uniti. Non si confonda fra provvista indifferenziata di liquidità e funzione di . Comunque è caduto il mito del regolatore unico: la supervisione bancaria deve essere affidata a chi eroga credito di ultima istanza. Il caso inglese (Northern Rock) è effetto della crisi dei subprime americani, ma è diverso nella natura: non debitori insolventi, ma fragilità di prestiti a lungo finanziati a breve sul mercato wholesale (75% del passivo). In Italia una volta tanto non poteva succedere. Si deve ora lavorare a una revisione di Basilea II, che, per ora, migliora solo di poco Basilea1.

  4. eforo

    Lei dice testualmente "si dovrebbero sanzionare anche i banchieri che, pur non colpevoli di atti illegali, abbiano prodotto gravi danni al sistema finanziario e a risparmiatori"; in un economia globale che è caratterizzata per il 75% da economia finanziaria ed per il 25% da economia reale, l’attuazione della sua affermazione (per quando possa essere condivisibile) rende necessarie una riprogettazione degli strumenti finanziari, degli organi di vigilanza nazionale ed transnazionale che per essere tale dovrebbe concretizzarsi in una nuova forma di dirigismo nazionale, coordinata a livello internazionale in una nuova bretton woods. Il fatto stesso che le banche centrali stiano inondando i mercati di liquidità (tipico strumento dirigista) per mantenere a galla gli speculatori (siano essi banche o broker) ed i labili risultati che esse hanno prodotto dimostra che è necessario un coordinamento della crisi da parte degli stati nazionali, anche se sullo sfondo non si riesce ad intravedere una classe politica capace di affrontare le sfide che sono all’orrizonte oramai prossimo, ma questo è un’altro problema.

  5. Giuseppe Caffo

    Essendo troppo importanti per fallire,le grandi banche devono essere salvate……dalle scorrerie di banchieri avidi, truffaldini e dissennati. Costoro devono certamente essere estromessi per sempre dalla comunità finanziaria, e mi meraviglio che questo non sia già accaduto. Il terremoto che hanno messo in atto ha prodotto ingenti danni,dei quali il più grave a mio avviso è la perdita della fiducia nella correttezza dei mercati finanziari. Per ripristinare la fiducia ci vorrà del tempo e molto impegno,ma il primo indispensabile passo sarà cacciare con disonore questi moderni insopportabili pirati.

  6. csepel

    L’articolo solleva problemi importanti, ma da per buona una tesi del tutto non provata e cioè che i “troppi” rischi assunti dalle banche siano state un fallimento per loro e per le banche centrali e gli altri regulators. Ciò presuppone una visione dell’agire di questi signori basata sul benessere sociale di lungo periodo, cosa che ovviamente non è.
    Sapevano benissimo cosa facevano e lo hanno fatto benissimo: i profitti delle banche sono stati colossali per anni. Non appena sono cominciati i problemi i soldi ce li ha messi lo Stato: profitti privati, perdite pubbliche. Così funziona il sistema e chi si beve l’idea del “fallimento” degli strumenti di vigilanza o sottolinea quanto maldestri siano questo o quel banchiere è meglio che lasci perdere l’economia del mondo reale e continui a leggere i manuali universitari. Farà meno danni.

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