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A BALI PER UN CLIMA MIGLIORE

La Conferenza di Bali sul cambiamento climatico è un passaggio che darà i suoi frutti più concreti nei mesi a venire. I paesi che hanno firmato e ratificato il protocollo di Kyoto sono all’alba di una scadenza istituzionale rilevante: il primo gennaio 2008 inizia ufficialmente il primo periodo di impegno. L’Europa a 15 sembra sulla buona strada per rispettare gli impegni. Convincere Stati Uniti, Cina e India a intraprendere una strada negoziale è comunque indispensabile, anche se non semplice, perché richiede di saper guardare al di là del proprio interesse immediato.

Una scadenza istituzionale. Un evento atteso. La pubblicazione di due autorevoli volumi. L’insieme di questi fattori condizionano pesantemente, quindici anni dopo Rio e dieci dopo Kyoto, la Conferenza sul cambiamento climatico che si svolge in questi giorni in Indonesia. Si tratta senza dubbio dell’appuntamento politico-negoziale più importante dell’anno per le questioni legate al cambiamento climatico. La sensazione, diffusa tra i negoziatori, è che si possa trattare di un summit certamente non decisivo come fu Kyoto, ma sicuramente importante per indirizzare con decisione il timone della politica sul clima e le posizioni relative dei diversi paesi. L’approssimarsi delle elezioni negli Stati Uniti, con l’atteso cambiamento di amministrazione, rendono la conferenza di Bali un passaggio che dovrà tuttavia dare i suoi frutti più concreti nei mesi a venire.

Tutti i temi del 2007

Nel 2007 vi sono state altre importanti iniziative sul tema. La Conferenza di Bali ne raccoglie l’eredità e ne fa sintesi perché tutti i temi trattati negli incontri precedenti sono al centro della discussione di questi giorni. Il summit G8 di Heiligendamm, per esempio, ha sottolineato la necessità di un accordo per il post-Kyoto da realizzarsi in ambito Onu, entro il 2009. Mentre il forum Major Economies Meeting on Energy Security and Climate Change, fortemente voluto dall’amministrazione americana in settembre, tra le diverse risoluzioni, si propone un nuovo incontro dopo Bali.
Rimane il fatto che i paesi che hanno firmato e ratificato il protocollo di Kyoto sono oggi all’alba di una scadenza istituzionale rilevante. Il primo gennaio 2008 inizia ufficialmente il “primo periodo di impegno” (first commitment period), che interessa gli anni tra il 2008 e il 2012. Durante il quinquennio, gli Stati firmatari debbono rispettare gli obblighi e i tagli di emissioni che ne scaturiscono. La recente annunciata adesione da parte dell’Australia rende peraltro gli Stati Uniti ancor più isolati nella loro scelta di restare al di fuori delle regole imposte da Kyoto. 

Europa pronta a rispettare gli impegni?

Kyoto in salsa europea presenta luci ed ombre. Dieci anni fa, i 15 paesi che costituivano allora l’Unione Europea fissarono un obiettivo alquanto ambizioso: ridurre entro il 2012 le loro emissioni complessive di gas a effetto serra dell’8 per cento rispetto ai livelli del 1990. L’obiettivo generale si è tramutato in obiettivi specifici, e legalmente vincolanti, per ogni Stato membro in base alle rispettive capacità di ridurre le emissioni. L’Unione Europea si è dotata inoltre di un sistema dei permessi negoziabili delle emissioni di anidride carbonica (1) il cui obiettivo dichiarato è quello di permettere la riduzione delle emissioni in maniera efficace rispetto ai costi. Secondo un rapporto dell’Agenzia europea dell’ambiente pubblicato di recente, gli Stati membri dell’UE a 15 potrebbero riuscire a rispettare, addirittura a superare, l’obiettivo di Kyoto. L’analisi appare decisamente ottimistica, ma certamente l’Europa (almeno quella dei 15) sembrerebbe sulla buona strada.
La conferenza di Bali si trova senza dubbio ad affrontare il tema del cambiamento climatico in una prospettiva differente rispetto al passato. La notizia, diffusa nei mesi passati, è che la Cina ha superato nel 2006 (o sta per superare secondo diverse fonti) gli Stati Uniti per le emissioni di anidride carbonica. Ciò che colpisce ulteriormente è che il sorpasso è avvenuto con dieci anni di anticipo rispetto alle previsioni precedenti. Questo fatto, per quanto semplicemente mediatico, potrà dare ossigeno alle istanze dell’attuale amministrazione statunitense che prosegue da tempo in un’ininterrotta scaramuccia con la Cina alla luce di quella che Christopher Flavin, presidente dell’autorevole Worldwatch Institute, definisce la politica del “you-go-first, no-you-go-first”. È del tutto evidente che una politica di questo genere, astuta forse ma certo miope, non ci porterà molto lontano. E a Bali lo sanno.

Due pubblicazioni per riflettere

A condizionare e indirizzare i lavori della Conferenza troviamo infine la pubblicazione di due autorevoli volumi. Il primo è il quarto Rapporto dell’Ipcc, il Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici. Contiene forse il messaggio più forte che si poteva dare ai governi riuniti a Bali: i cambiamenti climatici sono il prodotto delle attività umane. Per impedire i danni potenzialmente catastrofici dei cambiamenti climatici è necessario ridurre le emissioni di gas climalteranti. Come ha affermato Rajendra Pachauri, presidente del Comitato, “il tempo dei dubbi è passato, ora bisogna agire. Ma dobbiamo agire subito, e se lo facciamo potremo rallentare e, nel lungo periodo, fermare il fenomeno”. Nell’ambito della negoziazione il rapporto ha una duplice valenza. Ne ha una formale poiché l’Ipcc è l’organismo ufficiale che fornisce l’informazione scientifica per le deliberazioni delle convenzioni Onu. Ma, ancor di più, ha una valenza politica perché, a differenza delle passate edizioni, è assai netto nell’individuazione delle responsabilità. Sei anni di lavoro, ottocento autori e oltre duemila revisori per chiedere ai governi impegni più ambiziosi a partire dal 2012.
L’altra pubblicazione che certamente accompagna il dibattito è il recente “World Energy Outlook” dell’Agenzia internazionale dell’energia, interamente dedicato alla Cina e all’India. Il volume pone al centro del negoziato il tema più spinoso. Come fare a ridurre le emissioni di paesi come Cina ed India senza danneggiare il loro sviluppo economico? Le valutazioni dell’Agenzia internazionale dell’energia sono preoccupate. Tra le fonti fossili, il carbone registra il più grande incremento della domanda in termini assoluti, con un aumento del 73 per cento tra il 2005 e il 2030. E i quattro quinti dell’incremento complessivo del consumo derivano dalla Cina e dall’India.
Le emissioni in Cina sono cresciute dell’80 per cento a partire dal 1990 guidate in particolare dall’incremento di domanda elettrica prodotta essenzialmente con il carbone. Questa fonte rappresenta il 65 per cento dei consumi in Cina con una domanda complessiva che è circa il doppio di quella degli Stati Uniti. Tuttavia nel corso dell’ultimo decennio sono stati fatti con successo grandi sforzi per aumentare l’efficienza del sistema economico e industriale. Le emissioni pro capite sono oggi ancora ad di sotto della media mondiale, mentre rispetto agli Stati Uniti valgono addirittura circa un quinto.
Convincere questi paesi, oltreché gli Stati Uniti, a intraprendere una strada negoziale non sarà semplice. Trovare un criterio di ripartizione del peso delle riduzioni sarà un’opera che chiederà uno sforzo impegnativo per guardare al di là del proprio interesse immediato. La strada va percorsa e la comunità politica non ha più scorciatoie possibili.

(1) Emissions Trading Scheme, Ets.

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  1. Bruno Stucchi

    L’Australia ha firmato il protocollo di Kyoto (come gli USA ai tempi di Clinton/Al Gore) ma deve essere ancora ratificato dal parlamento.

  2. Tino

    Ritengo che NON sia più rinviabile un accordo, soprattutto da parte degli USA che hanno sempre fatto "orecchi da mercante"! Ai quali, purtroppo, vedo si associano altre importanti Paesi quali la Cina e l’India. Al bando, quello SI’, gli interessi di parte. Ne va della vita del nostro pianeta e di coloro che l’abitano.

  3. alessandro spanu

    La cd "tesi del riscaldamento climatico" si basa sui seguenti assunti: 1-la temperatura della terra negli ultimi anni sta aumentando progressivamente; 2-questo aumento è dovuto principalmente all’immissione di CO2 nell’atmosfera; 3-le immissioni di cui al punto precedente sono prodotte da attività umane quali le industrie, i trasporti etc etc. 4- è possibile fermare i cambiamenti riducendo le emissioni di "gas serra" Tuttavia, taluni hanno confutato questa tesi, in quanto: 1-il clima è per sua natura mutevole, e, nel nostro caso, dopo una breve glaciazione, la temperatura ha cominciato ad alzarsi nel 1700 (ad esempio la Groenlandia si chiama terra verde perché anticamente era presente vegetazione); 2-l’anidride carbonica non avrebbe un ruolo determinante (ad es si sottovaluta l’impatto del vapore acqueo); 3-non si tiene conto delle attività naturali che producono CO2 (fotosintesi clorofilliana, vulcani…) enfatizzando il ruolo dell’uomo. 4-si tratterebbe in ogni caso di un fenomeno irreversibile. L’impressione è che sia un pretesto dei governi per nuove tasse con conseguenti nuove spese pubbliche da spartirsi.

  4. Franco Zannoner

    Secondo me trascurate alcuni fatti nell’esprimere le vostre opinioni: – Una parte rilevante della comunità scientifica non approva le conclusioni del Ipcc e piu’ in generale l’approccio "ecologicamente corretto". – Anche trascurando il punto precedente, l’efficacia ecologica del protocollo di Kyoto non è scontata. – Anche trascurando i punti precedenti, per certi versi USA, Cina, India e piu’ in generale quelli che pensano che la protezione dell’ambiente debba essere perseguita anche tenendo conto di altri aspetti come il rapporto costo/benefici, pongono delle questioni che non possono essere ridotte ad "interesse immediato".

  5. vito

    Le obiezioni sulle responsabilità dell’uomo secondo me basano su basi infondate, è vero che il clima è sempre mutato ma non cosi in fretta (150anni appena).Il clima reagisce creando nuovi equilibri ma se le perturbazioni sono troppo grosse rispetto alla capacità di assorbirle si va verso il collasso.Il problema del clima è l’aumento di energia dell’atmosfera dovuta al minore emissione di valore a causa dei vari gas serra.Kyoto rispetto ai problemi del clima fa ridere ma da qualche parte bisogna pur cominciare. Oggi investire nella riduzione delle emissioni spesso vuol dire risparmiare molto denaro evendo la produzione di petrolio superato il picco di produzione.

  6. Rinaldo Sorgenti

    A causa della propaganda eco-catastrofista, è diventato ormai un luogo comune il tema del "riscaldamento globale" come pure quello dei cambiamenti climatici sostanzialmente indotti dall’uomo. Nella speranza che infine si voglia dare ascolto ai molti scienziati ed esperti di tali materie e prendendo per il momento per "buoni" i concetti finora proposti, sembra doveroso definire dei parametri che abbiano una valenza proporzionale e comune (es. fissare un valore di emissioni pro-capite oppure, limitando il campo d’applicazione a quello della generazione elettrica, fissare un parametro di efficienza energetica Paese, derivato dal rapporto tra combustibili utilizzati ed E.E. prodotta.). Ovviamente, occorre decidere se il nucleare debba entrare o meno in questo calcolo (Domanda: perchè no ?). Questo quantomeno permetterebbe di limitare effetti distorsivi che, indotti solo da forzature ideologiche tutt’altro che utili, falsano la capacità di competere di alcuni paesi rispetto ad altri, addirittura nella stessa area geografica (EU) ! Se applicassimo questi ragionevoli concetti, anche solo all’interno della EU, l’Italia anzichè essere in "ritardo" sarebbe addirittura in CREDITO!

  7. FRANCESCO COSTANZO

    Non sono molto esperto in questioni ambientali, ma sono portato a ritenere che, se si parla tanto di conseguenze del riscaldamento globale, ci sia qualcosa di vero nelle teorie proposte. Credo che gli stati non riescano a fare nulla di determinante per l’ambiente in quanto sono legati ad un modo di vita ed a tecnologie che oggi stanno segnando il passo. Il petrolio si sta esaurendo, e diventa molto costoso. Sarà ben presto imprescindibile il ricorso a tecnologie innovative, nei PVS in molti casi già si ricorre a carburanti di origine vegetale. Le possibilità tecnologiche esistono, bisogna solo renderle accessibili al mercato. Gli stati potrebbero e dovrebbero impegnarsi a raggiungere questi obiettivi, mediante politiche economiche/fiscali adeguate e sostenendo l’impiego di tecnologie non inquinanti. Ma lo faranno seriamente soltanto quando il loro "vincolo di bilancio" imporrà di abbandonare il petrolio e le altre fonti energetiche tradizionali.

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