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AMMINISTRATORI IN CONDOMINIO *

Nel periodo 1998-2006 la grande maggioranza delle società quotate italiane è stata collegata in un’unica rete attraverso una piccola minoranza di amministratori. Un gruppo, questo, che mostra grande stabilità nel tempo e con componenti che spesso appartengono alle stesse famiglie. Assai alto il grado di connettività per le blue chips e in particolare per quasi tutte le principali società bancarie e finanziarie. Negli ultimi anni tende a ridursi il numero dei collegamenti, ma non delle società coinvolte, con una maggiore centralità di Mediobanca. E la concorrenza?

Le due teorie principali sulla condivisione degli amministratori nelle società quotate italiane sostengono che questa serva a permettere ai creditori di sorvegliare i propri debitori oppure che la condivisione sia veicolo di collusione. Dalle conclusioni di un nostro recente studio sulla composizione dei consigli di amministrazione delle società quotate italiane dal 1998 al 2006 emergono elementi a sostegno dell’ipotesi della collusione, in particolare per quanto riguarda le nostre principali banche e assicurazioni. (1)

Lord e peones

Il primo dato significativo è che è possibile identificare due categorie di amministratori, che per brevità definiamo “peones” e “lord”. Circa il 94 per cento di tutti gli amministratori occupano uno o due consigli di amministrazione in ognuno degli anni del periodo 1998 – 2006 e che nell’intero periodo considerato è difficile per costoro passare a più di due incarichi l’anno successivo.
La prima conclusione è quindi che la stragrande maggioranza degli amministratori a prima vista ha un ruolo nullo o modesto nell’assicurare la connettività tra le nostre società quotate e che se si appartiene a tale categoria è difficile uscirne. Esaminando poi il profilo degli amministratori che hanno più di due incarichi, e che quindi assicurano la parte principale della connettività delle nostre società quotate, troviamo un ristretto gruppo di amministratori i quali siedono in almeno ventitre cda in nove anni (in media 2,5 ogni anno). Sono per la stragrande maggioranza uomini (soltanto tre le donne) e in un numero importante di casi ricoprono le cariche di presidente o di amministratore delegato. Un terzo è anche azionista rilevante in una o più società del listino. Osserviamo inoltre che i lord tendono ad appartenere a tale categoria a vita, a essere sostituiti dai propri figli e in generale ad appartenere a famiglie di amministratori.

La rete

Se andiamo poi a esaminare quali sono le società connesse attraverso amministratori in comune, troviamo che la grande maggioranza delle quotate (circa il 75 per cento nei nove anni considerati) appartiene a un’unica componente, il che significa che è possibile andare da una qualsiasi società a un’altra per il tramite di amministratori in comune.
Cerchiamo di individuare le società che hanno un maggior numero di connessioni con altre e quelle che hanno una posizione di centralità nella rete. Troviamo, cosa che in principio non è affatto scontata, che le società che hanno un alto numero di connessioni tendono a essere anche quelle che hanno una posizione centrale nella rete. Tendono a essere le società che appartengono all’indice Mib 30/S&P Mib 40, vale a dire le nostre blue chips. Ancora una volta, tali caratteristiche permangono nel corso dei nove anni considerati. Infine, andiamo a esaminare le connessioni tra le società finanziarie che nei nove anni appartengono allo stesso indice, ovvero le principali società finanziarie. A parte una o due eccezioni ogni anno, tutte sono collegate tra loro attraverso un numero di amministratori in comune che arriva fino a sei. Anche tali legami persistono nel corso dei nove anni.

Cosa cambia

Il principale aspetto evolutivo riguarda il numero di incarichi dei lord, che nel corso degli anni diminuiscono. Ne troviamo riscontro nella diminuzione della densità dei collegamenti tra le blue chips, le società maggiormente connesse. Tuttavia, per le blue chips finanziarie, troviamo pure che alla riduzione nella densità dei collegamenti non si accompagna una riduzione del numero delle società collegate, che invece resta invariato. Semplicemente, le nostre principali società finanziarie nel corso degli ultimi anni tendono a collegarsi mediante un minor numero di collegamenti multipli con una crescente centralità di Mediobanca.

Tirando le somme

Dal 1998 al 2006 la grande maggioranza delle società quotate italiane è collegata in un’unica rete principalmente attraverso una piccola minoranza di amministratori. Questo gruppo di amministratori mostra una grande stabilità nel tempo e i suoi componenti tendono a far parte di famiglie, le quali assicurano una ancor maggiore stabilità nel tempo ai legami societari. Un grado particolarmente alto di connettività caratterizza le nostre blue chips. In particolare, quasi tutte le principali società bancarie e finanziarie sono collegate senza interruzione dal 1998 al 2006 attraverso un gran numero di amministratori in comune. Negli ultimi anni osserviamo una tendenza alla riduzione del numero dei collegamenti, ma non delle società coinvolte, con una maggiore centralità di Mediobanca. La nostra conclusione è che l’estensione, la profondità e la stabilità dei collegamenti tra le società italiane quotate, e in particolare tra le più importanti società finanziarie, solleva dubbi sul loro comportamento competitivo.

*Le posizioni espresso nell’articolo sono attribuibili esclusivamente agli autori e non coinvolgono in nessun modo la Commissione Europea o la Banca d’Italia.

(1) Paolo Santella, Carlo Drago e Andrea Polo, “The Italian Chamber of Lords Sits on Listed Company Boards. An Empirical Analysis of Italian Listed Company Boards from 1998 to 2006”, disponibile a http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1027947

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  1. Augusto Aldeghi

    Questo studio quantitativo non fa altro che confermare l’evidenza anedottica del comportamento delle aziende italiane che è sotto gli occhi di tutti.
    Il vero problema è che esiste il fondato sospetto che anche tra gruppi geograficamente o settorialmente affini di medie imprese italiane si verifichi lo stesso fenomeno.

  2. michele giardino

    Ottima conferma empirica di una debole concorrenza, fenomeno d’altronde ben noto. Ma occorre andare oltre, puntare alle cause. Una traccia la offre un ambiente caratterizzato da concentrazione del comando e scarsa contendibilità delle imprese, che rende ovvio scegliere su base essenzialmente fiduciaria, in seno ad uno stesso gruppo sociale o magari familiare, cementato da solide amicizie, incroci di parentela antichi e recenti, da regolari frequentazioni e simili. Tra l’altro, ciò concorre a mantenere la condizione di non scalabilità. E la risposta dei prescelti non può non essere a sua volta fiduciaria: mi hai scelto, ti conosco e ti vedo di continuo, non servono severità e rigore, perchè "so" di potermi fidare. Da un punto di vista diverso, che sembra tentare gli stessi Autori della nota, ci si può chiedere se in effetti i Cda non contino nulla. Se cioè il comando concentrato escluda di per sé la scelta di persone motivate e competenti. Ecco il punto: il problema non è "chi" c’é in Consiglio, e tanto meno se è "indipendente" in senso normativo. ma le regole di governance, questione molto più ampia e difficile, non risolvibile purtroppo nel breve periodo

  3. Giacomo Dorigo

    In fondo se l’allenatore della squadra A fosse anche allenatore della squadra B credo ci sarebbero forti dubbi che l’incontro tra le due potesse essere competitivo…

  4. luigi_zoppoli

    L’articolo conferisce dignità scientifica alle osservazioni che empiricamente pure erano riscontrabili attraverso una costante lettura della stampa specializzata. Volendo semplificare pur senza allontanarsi dalla realtà, si tratta di un’altra casta dalla quale, una volta cooptati, non si esce più determinando quella che può definirsi “stabilità” o,con maggior precisione terminologica “immobilismo”. Aggiungo anche che le tristi vicende delle scalate bancarie sono state obiettivamente facilitate dalle “connessioni” personali, economiche e finanziarie di alcuni componenti del network (si fa per dire).
    E’ una ulteriore prova dell’insufficienza di cultura liberale che attanaglia questo paese. Purtroppo.

  5. Stefano Martemucci

    Tutti i lettori concordano sugli esiti degli studi degli autori ma sarebbe necessario aprire una finestra sui possibili rimedi e cio’ a tutela dei soci di minoranza (risparmiatori) che vedono ridursi i dividendi percepiti dovendo corrispondere lauti compensi a membri dei diversi CDA che aggiungono poca o nulla utilità e professionalità alla società.

    Se si vuole una oggettiva misura della mole di compensi corrisposti a tal proposito ci si puo’ rifare al rapporto annuale di Milano Finanza sui compensi ai manager.

    Penso che la cura debba trovarsi in una normativa di maggiore tutela dei risparmiatori che imponga un controllo della professionalità delle diverse nomine e del tempo effettivamente dedicato alle attivita’ dell’azienda considerata

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