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TUTTI I RISCHI DELLA STABILIZZAZIONE

Già la Finanziaria per il 2007 comportava una sanatoria per i precari delle pubbliche amministrazioni. Ora quella per il 2008 amplia i termini per le procedure e include i collaboratori coordinati e continuativi. Evidenti le conseguenze negative, non solo per il bilancio dello Stato. Se si vuole davvero migliorare il rendimento delle istituzioni, non basta modificare il sistema elettorale o la Costituzione. E’ indispensabile garantire che gli addetti ai pubblici uffici siano scelti in base al merito e alle esigenze delle amministrazioni.

I rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni prevedono consistenti garanzie a favore dei dipendenti. Danno luogo a retribuzioni il cui incremento sopravanza sovente l’incremento delle retribuzioni disponibili nel settore privato. Non sorprende, quindi, che siano in molti ad aspirare a diventare dipendenti pubblici.

Il circolo vizioso delle sanatorie

Per riuscirvi, però, secondo la Costituzione, occorre superare un concorso, il quale di rado è bandito con regolarità ed è espletato tempestivamente.
Di qui lo sviluppo dei rapporti di lavoro a termine. Essi hanno un andamento ciclico, ben noto agli studiosi delle pubbliche amministrazioni, per cui la regola del concorso è aggirata dall’instaurazione di rapporti, seguita presto o tardi da una legge di sanatoria. Questa dispone l’avvio delle procedure di stabilizzazione e l’immissione in ruolo, senza concorso o con concorsi riservati. (1) Altrettanto noti sono gli inconvenienti che ne derivano: la violazione del principio di eguaglianza; l’immissione di personale non selezionato; l’incremento delle spese al di fuori d’una logica di programmazione.
Per questi motivi, lasciavano ben sperare gli impegni assunti dal governo nel Documento di programmazione economica e finanziaria. Ma quegli impegni non hanno avuto conferma nel disegno di Legge finanziaria presentato al Senato, nonostante le parole con le quali il ministro dell’Economia e delle finanze ha presentato la manovra di bilancio per il 2007-2010: “si contrastano la proliferazione del precariato e le richieste di successiva stabilizzazione”. (2)
La Legge finanziaria prevede, infatti, una nuova sanatoria, per la quale il governo è stato criticato da più parti. (3)

La “stabilizzazione” nel testo approvato dal Senato

Né quelle critiche né i buoni propositi manifestati da alcuni senatori hanno peraltro ottenuto i risultati attesi. Al contrario, il testo approvato dal Senato comporta ulteriori peggioramenti.
In primo luogo, mentre il testo iniziale si limitava a disporre la stabilizzazione del personale in servizio a tempo determinato, per il quale almeno in alcuni casi sono state svolte procedure selettive, il nuovo testo la estende al personale “già utilizzato con contratti di collaborazione coordinata e continuativa (…) presso la stessa amministrazione” (articolo 93, comma 7). Ne sono esclusi soltanto quanti lavorino negli uffici di diretta collaborazione con gli organi politici: ben poco, rispetto alle centinaia di migliaia di precari interessati dalla nuova sanatoria.
Per quanto concerne il personale utilizzato con collaborazioni coordinate e continuative, la stabilizzazione non ha neppure il limite temporale previsto inizialmente. È sufficiente aver espletato attività lavorativa per tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio precedente.
Inoltre, è attribuita al governo la facoltà di equiparare a queste categorie altre “tipologie di lavoro flessibile” ed è demandato a un successivo decreto del presidente del Consiglio dei ministri il compito di stabilire “modalità di valutazione da applicare in sede di procedure selettive”, comunque riservate (articolo 93, comma 8). La disposizione è redatta in termini così vaghi da far sorgere il dubbio se sia rispettato l’articolo 97 della Costituzione, il quale esige che sia la legge a stabilire le eccezioni alla regola generale del concorso. Il richiamo alla regola effettuato dalla disposizione (al comma 5) non è perciò altro che il formale omaggio che il vizio tributa alla virtù.
E se il disegno di Legge finanziaria predisposto dal governo disponeva, dietro la parvenza d’una semplice facoltà, una riserva del 20 per cento dei posti nei bandi di concorso per le pubbliche amministrazioni a favore dei cosiddetti precari, il Senato vi ha aggiunto del suo. Ha stabilito, sempre a vantaggio del personale utilizzato con collaborazioni coordinate e continuative, che i bandi possano attribuire un “riconoscimento, in termini di punteggio, del servizio prestato” presso le pubbliche amministrazioni (articolo 93, comma 18). Poiché le amministrazioni avrebbero potuto riconoscere l’attività svolta in sede di valutazione dei titoli, nell’esercizio della propria autonomia, l’intento della norma è chiaro: attribuire una priorità.
Insomma, se la Legge finanziaria per il 2007 comportava una nuova sanatoria, quella per il 2008 si spinge ben oltre: ampliando i termini per le procedure di stabilizzazione, ovviamente da svolgersi “sentite le organizzazioni sindacali”, e includendovi il personale utilizzato con collaborazioni coordinate e continuative. Sono evidenti le conseguenze negative per il sistema del merito, indispensabile per garantire l’eguaglianza, oltre che per i conti pubblici. Sono stati infatti stanziati 20 milioni di euro, in aggiunta ai 5 della Legge finanziaria per il 2007.

I rischi per le riforme

Vi è un ulteriore, duplice, rischio che la Legge finanziaria – se approvata nel testo attuale – comporta. Riguarda le politiche di riforma già avviate e quelle da avviare.
Da un lato, la riforma del pubblico impiego intrapresa nel 1993 con i governi Amato e Ciampi consente alle pubbliche amministrazioni di avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego previste dalle norme che disciplinano le imprese. Dunque, le sanatorie costituiscono altrettante deviazioni rispetto a quel modello.
Dall’altro lato, le analisi comparate dei costi e dei rendimenti delle istituzioni pubbliche all’interno dell’Ocse dimostrano che in Italia, sebbene molto si sia fatto con le riforme amministrative effettuate nell’ultimo decennio del XX secolo, molto resta ancora da fare. Per quanti sforzi si possano fare per migliorare le regole vigenti, una massiccia immissione in ruolo di dipendenti non selezionati rischia di frustrarne gli esiti. Non a caso, la Legge finanziaria per il 1994, che perseguiva un ambizioso disegno di riforma, vietava l’assunzione dei dipendenti precari.
Se, quindi, si vuole davvero migliorare il rendimento delle istituzioni pubbliche, non basta modificare il sistema elettorale o la Costituzione. È indispensabile garantire che gli addetti ai pubblici uffici siano scelti in base al merito e in funzione delle esigenze delle amministrazioni.

(1) S. Cassese, Le basi del diritto amministrativo, Milano, Garzanti, 2000, 6° ed., p. 270.
(2) Senato della Repubblica, Intervento del ministro dell’Economia e delle finanze Tommaso Padoa-Schioppa, Roma, 3 ottobre 2007, p. 10.
(3) N. Rossi, “Il governo assume i precari e licenzia lo Stato di diritto”, Il Corriere della sera, 5 novembre 2007; G. della Cananea, “Una scelta nemica del merito e dei conti”, Il Sole-24 Ore, 11 novembre 2007.

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  1. Francesco Cocco

    L’autore parla di stabilizzazione considerandola alla stregua del sinonimo di immissione automatica in ruolo. A parte il requisito temporale – tre anni – la Finanziaria 2007 e quella 2008 introducono diversi criteri: accede ai piani di stabilizzazione chi ha sostenuto prove selettive di natura concorsuale (sull’ambiguità di quest’espressione glisso), e in assenza di tali apposite prove le deve sostenere, anche usufruendo di una riserva di punti in caso di concorso pubblico (vale dire: riconoscimento del servizio prestato, che l’autore vorrebbe gabellarci per grande concessione). Vengono poi introdotti un parametro oggettivo (il patto di stabilità, contro quanti credono che i conti siano fuori controllo a causa dei rapporti flessibili nella PA) ed uno soggettivo (la definizione della pianta organica, frutto della capricciosa volontà politica). Infine, i 20 milioni di euro per anno non sono sufficienti a stabilizzare i 120.000 precari millantati dal governo (al massimo 2000), nè rappresentano il salasso prospettato dall’autore, a cui ricordo che il giornale su cui dispensa le proprie opinioni fonda la propria autorevolezza sull’oggettività e l’incontrovertibilità delle cifre.

  2. Marcello Giberti

    Sono convinto che un periodo di lavoro a tempo determinato permetta una selezione del personale ed un giudizio sulla sua idoneità enormente superiore a qualsiasi concorso sia per titoli che per esami.La facoltà di non rinnovare l’impiego in caso di carenze professionali permette ad un ente assuntore serio di fare una selezione accurata sotto tutti gli aspetti comportamentali. Mi sembra pertanto giusto e vantaggioso per le pubbliche amministrazioni stabilizzare i precari selezionati rispetto ai concorsi. Se l’ente amministrativo è invece mal gestito ed i precari vengono riconfermati senza selezione lo stesso ente sarà disponibile come accade a falsare i concorsi per motivi clientelari o altro. In generale credo che l’unico vero sistema per eliminare il problema dei precari è quello usato in USA che prevede che le assunzioni a termine siano facili ma estremamente costose e parte dell’extra costo serve anche a finanziare casse di categoria che fungono da cassa integrazione per i lavoratori in attesa di chiamata. Le assunzione a termine vengono quindi limitate ai casi di vera temporaneità del esigenza organizzativa. M.Giberti

  3. Roberto

    Faccio riferimento a questo articolo e a quello di Mattarella per metter in evidenza l’assenza, nel dibattito sull’efficienza e sull’efficacia della PA, dell’inquadramento del vero nodo problematico della PA che è la responsabilità della Dirigenza.. La precarietà, per sua stessa natura, rappresenta la modalità di selezione in base al merito più efficace che si possa immaginare. Ma se alla scadenza del contratto di collaborazione o del contratto di dipendente a termine (che tra l’altro prevede un periodo di prova e una dichiarazione del suo superamento da parte di un responsabile) i Dirigenti del comparto pubblico non si assumono la responsabilità di valutare la risorsa umana, la selezione in base al merito è nulla. Mi permetto di dire al pari di un qualsiasi concorso pubblico svolto in Italia. La sanatoria è la conseguenza di un decennio di blocco delle assunzioni, la quale ha determinato il fenomeno delle esternalizzazioni (con poco risparmio e poca qualità). Il problema vero da affrontare è la responsabilità (tra l’altro ampiamente remunerata) dei Dirigenti.

  4. VALERIO

    Le riforme che si sono succedute negli ultimi 15 anni nel mercato del lavoro hanno creato una divisione verticale tra il lavoro a tempo indeterminato e le varie altre forme di lavoro (interinale, a progetto, job on call, etc.). Il problema enorme è quindi quello di una discriminazione tra i due tipi di lavoro. A voler essere liberista, potrei suggerire di introdurre nel pubblico impiego forme di valutazione del personale ogni triennio (ma questo non farebbe male neanche al privato). Ma lo status quo con cui si giustificano forme diffusissime di precariato non ha nessun tipo di criterio, se non quello di limitare i costi del personale. La precarietà pedissequa porta solo a squilibri economici, con scarsità di consumi, e col destinare le poche risorse monetarie in beni rifugio. La sensazione che ha un giovane al giorno d’oggi è quella di essere in tempo di guerra, e che il futuro non desta alcun tipo di certezza o di fiducia. Il conto economico sulla manovra finanziaria che avete considerato mi sembra quindi il minore dei problemi, anche da un punto di vista liberista: ben più grave è la totale mancanza di progettualità che abbiamo nel nostro paese.

  5. Luca Guerra

    ci mancava solo questo! altri pubblici dipendenti da mantenere, come se quelli presenti non fossero già sufficienti. Se esiste un posto ove produttività e modernizzazione non esistono è proprio all’interno della pubblica amministrazione ove sarebbe piuttosto necessario sfoltire i ranghi. I veri privilegiati di questo malmesso paese sono proprio loro, illicenziabili e purtroppo non solo inutili ma spesso dannosi.

  6. sonia di silvestre

    Gentile autore, sono una cococo della p.a. e vorrei dare una lettura diversa dell’utilizzo dei collboratori. Non concordo con la tesi che anche dall’ articolo e putroppo molto diffusa dice che: chi entra con un contratto di cococo nella p.a. è tendenzialmente amico si qualche politico e quindi per questo non "meritevole". Lo dico perchè sui giornali vengono pubblicati come "costi della politica" nomi, contratti di collaboratori, senza mai entrare nel merito delle prestazioni che questi svolgono.I cooco delle p.a. appesi sempre al filo del rinnovo del contratto assicurano all’azione della p.a. risposte adeguate all’aumento della complessità e della differenzione delle attività, alla cresciuta logica di progetto imposta dalla differenziazione delle fonti di finanziamento, alla flessibilizzazione dei servizi erogati, che risponde alle istanze dei territori e dei cittadini, a fronte di risorse decrescenti trasferite e blocco delle assunzioni. Abbiamo investito e messo a disposizione della p.a. talento e competenze assumendoci rischi e pagandoci in proprio tutto il welfare da cui siamo esclusi. Anche noi abbiamo meriti e se ci vengono riconosciuti per le attività svolte ben venga.

  7. gianni cavicchioli

    La stabilizzazione dei precari nella pubblica amministrazione ha un valore etIco e politico che, a mio avviso, dovrebbe superare i "problemi tecnici" della selezione con criteri di meritocrazia, ammesso e non concesso che i concorsi diano adeguate garanzie in tal senso. Questo valore etico e politico si esplica nel buon esempio che lo Stato, come datore di lavoro, conduca per primo la lotta al precariato, senza usare strumenti di flessibilità in modo improprio come è stato fatto finora, alla stregua di quelle parti datoriali che tanto deploriamo per questo. Questo valore etico e politico avrebbe poi una sua ottimizzazione se si adottasse un’altra misura complementare che darebbe ulteriori significativi ritorni: il pensionamento di tutti i dirigenti pubblici alle medesime condizioni di servizio dei privati. Oltre ad immediati benefici di ordine economico, si potrebbe avviare un processo di efficientamento organizzativo che, senza un ricambio generazionale, non ha, a mio avviso, nessuna possibilità di successo. Concludendo, meglio trasformare un vetusto dirigente in un ricco pensionato o un giovane precario in un disoccupato?

  8. erika galeotti

    Le faccio presente che io sono una precaria della P.A. da più di tre anni e che sono stata assunta a tempo determinato con una procedura selettiva. Ad oggi, dopo 3 anni e mezzo di lavoro (da specialista tecnico) ancora non si sa che fine farò, e come me altre 72 persone (sempre a tempo determinato). Tra queste 40 avevano i requisiti previsti nella finanziaria 2007, ma non sono stati assunti! Evidentemente dagli articoli che scrivete non riuscite a capire che cosa significhi essere sfruttati e non avere possibilità di parola! E poi dopo che per 3 anni o più siamo andati bene per tutti i lavori adesso dovremmo essere sottoposti ad una procedura concorsuale, alla quale possono partecipare tutti, anche i co.co.co o pro. che sono stati assunti senza alcuna procedura selettiva!

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