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I MUSULMANI E L’INTEGRAZIONE

Un’indagine ha raccolto dati su attitudini religiose, caratteristiche socioeconomiche e luogo di residenza delle minoranze etniche nel Regno Unito negli anni Novanta. Anche se occorre molta cautela, appare evidente una spiccata specificità dei musulmani nel processo di integrazione. Che non si accorda con i principi alla base della maggior parte delle politiche di immigrazione in Europa, focalizzate sull’innalzamento del livello di istruzione e soprattutto sull’integrazione geografica.

I tumulti etnici a Parigi, le violente reazioni alla pubblicazione di vignette sul profeta Maometto e naturalmente gli attacchi terroristici a Madrid e a Londra hanno contribuito a portare l’opinione pubblica europea a considerare gli immigrati musulmani come ostili e particolarmente restii all’integrazione culturale. Ma è davvero così?

L’indagine

La Fourth NationalSurvey of Ethnic Minorities consente di ottenere evidenza empirica in merito. L’indagine, infatti, raccoglie dati su attitudini religiose, caratteristiche socio-economiche e luogo di residenza delle minoranze etniche nel Regno Unito negli anni Novanta. Le statistiche descrittive mostrano chiaramente una spiccata identità religiosa dei musulmani: circa l’80 per cento, ad esempio, considera la religione fattore estremamente importante del proprio sistema di vita, contro il 42 per cento registrato negli altri gruppi religiosi. Inoltre, circa il 70 per cento dei musulmani confessa che sarebbe contrariato se un parente stretto dovesse sposarsi con una persona di razza bianca (contro il 37 per cento per gli altri gruppi). L’analisi descrittiva mostra però anche chiare differenze fra musulmani e non-musulmani in termini delle caratteristiche socio-economiche osservate. In media, i musulmani presentano un più basso livello di istruzione, hanno un reddito più basso, una probabilità più che doppia di essere disoccupati e vivono in aree più segregate, ossia con una maggiore densità di individui del proprio gruppo etnico. Tali differenze potrebbero in linea di principio spiegare le differenze negli atteggiamenti religiosi.

Sentimento religioso e livello di istruzione

Tuttavia, un confronto fra le determinanti di un forte sentimento religioso fra musulmani e non-musulmani configura uno scenario diverso. Per i non-musulmani, un alto livello di educazione e un’alta qualifica professionale sono fra i più importanti fattori che attenuano l’attaccamento alle tradizioni religiose. Per i musulmani, invece, il livello di educazione non mostra alcun effetto significativo e, al contrario, alte qualifiche professionali e alti redditi sembrano accentuare la fede religiosa. La fede religiosa appare inoltre più intensa in aree con bassi livelli di disoccupazione. Il quadro che emerge, quindi, è che sebbene i musulmani siano più poveri e con minore probabilità di ottenere qualifiche importanti, coloro che hanno successo mostrano un sentimento religioso più forte.
La velocità di integrazione dei musulmani, poi, è di gran lunga minore rispetto a quella mostrata dagli altri gruppi, e il tempo trascorso nel Regno Unito non mostra alcun effetto sostanziale sulla loro capacità di integrarsi. La figura 1 riporta gli effetti marginali, ossia le variazioni nella probabilità di mostrare una forte identità religiosa a seguito di un aumento di un anno nel tempo trascorso nel Regno Unito. L’attaccamento alla fede religiosa descresce sia per i musulmani che per i non-musulmani, ma l’effetto marginale medio è pari al 3 per cento per i non-musulmani e solo all’1 per cento per i musulmani. La figura 1 mostra anche che essere nati nel Regno Unito ha un effetto negativo sull’intensità della fede religiosa per tutti i gruppi, ma tale effetto per i non-musulmani è più del doppio di quello stimato per i musulmani.

Se al lavoro si parla inglese

Infine, un altro risultato interessante riguarda la relazione fra identità religiosa e composizione etnica dell’area di residenza: vivere in aree più integrate (con una più bassa densità di individui del proprio gruppo etnico) e parlare inglese sul posto di lavoro sono entrambi associati a una più intensa fede religiosa. L’associazione vale per tutti i gruppi, ma è più marcata per i musulmani. Più forti sentimenti religiosi sembrano svilupparsi in contesti sociali in cui la minoranza etnica o religiosa è più esposta all’interazione con le norme di comportamento della maggioranza. È possibile che questo sia dovuto proprio a una forma di reazione culturale ai comportamenti della maggioranza. Nei nostri dati, episodi di molestia razziale e discriminazione sono infatti molto più frequenti in ambienti più integrati e mostrano un effetto positivo sull’intensità delle fede religiosa, molto marcato per i musulmani.

Nel Regno Unito, quindi, appare evidente una spiccata specificità dei musulmani nel processo di integrazione. Ma tale specificità non si accorda con i principi alla base della maggior parte delle politiche di immigrazione in Europa, focalizzate sull’innalzamento del livello di istruzione e soprattutto sull’integrazione geografica: la più forte resistenza dei musulmani all’integrazione culturale sembra provenire proprio dagli individui più istruiti, che hanno successo nel lavoro, e da aree meno segregate e più ricche.
Occorre grande cautela, tuttavia, prima di poter trarre indicazioni di politica economica dalla nostra analisi. I dati si riferiscono alla metà degli anni Novanta e soprattutto l’analisi documenta semplicemente differenze nel comportamento fra gruppi religiosi piuttosto che relazioni di causalità. Ciononostante i dati suggeriscono una nota di scetticismo sulla validità di politiche in favore dell’integrazione geografica e sociale degli immigrati (come ad esempio dell’integrazione nella scuola) guidate dalla convinzione che integrazione geografica e sociale induca integrazione culturale.

Figura 1: Velocità di integrazione

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

10 commenti

  1. Giuseppe Caffo

    Questa indagine molto interessante conferma una mia ipotesi:l’integrazione di popoli e culture diverse è auspicabile e vantaggiosa quando costoro mostrano qualche affinità all’origine ma soprattutto la esplicita volontà delle minoranze ad integrarsi. Molti Europei emigrati in America volevano integrarsi e diventare Americani. Attualmente in Europa si dovrebbero attuare politiche di governo dell’immigrazione, tenendo conto di questi principi.

  2. Maurizio Ambrosini

    Mi permetto di dissentire sull’impostazione dell’articolo: si presuppone che l’integrazione sociale degli immigrati dipenda dall’abbandono delle convinzioni e pratiche religiose. Esiste un’ampia letteratura nord-americana, purtroppo poco nota in Europa, che sostiene il contrario: la conservazione e rielaborazione dell’identità religiosa può essere una modalità di integrazione in una società pluralista. Nella tradizione sociologica e politologica, d’altronde, la religiosità si correla con il rispetto delle norme e con comportamenti socialmente apprezzati (v., per es., il noto libro di Putnam). cordiali saluti maurizio ambrosini, docente di sociologia dei processi migratori, università di Milano

  3. U.G.

    La ricerca conferma che un margine di rigorismo è connaturato alla popolazione di religione musulmana residente in occidente. Ciò ritengo sia dovuto oltre che al dettato della religione stessa anche alla sostanziale mancanza di significativi innesti di cultura laica nella loro storia. Nonostante ciò la necessità di un’integrazione è un obiettivo irrinunciabile che si può cercare di perseguire mantenendo ben salda l’esigenza di aderire ai principi fondanti della cultura del Paese ospitante. E’ tra questi ci dovrebbe essere l’abitudine a vivere liberamente ma anche laicamente la propria fede religiosa. Credo che,nel caso specifico,questa sia la premessa pressochè esaustiva per poter costituire una Società sufficientemente omogenea e pacifica. L’accettazione indiscriminata di usi contrari alla cultura del Paese ospitante,in nome di un malinteso liberismo culturale, produce un multiculturalismo il cui dato connotativo per eccellenza finisce per essere una rischiosa separatezza.

  4. marco lodi

    la ricerca sembra ridimensionare le opinioni di Inglehart sul rapporto religiosità-povertà. Bisogna dire, però, che la ricerca appena pubblicata in Italia non differenzia il campione per tipo di religione ma utilizza la categoria “la religione é importante per te” usando una scala simil Likert per la risposta. Userò il lavoro inglese nel lavoro di consulenza alla scuola secondaria superiore a obiettivo integrazione degli allievi immigrati di seconda generazione. Grazie. M.L. (Psicologo di Consultoriogiovani-Consultorio Familiare ASLMantova)

  5. Angelo Danio

    Non riesco a capire perchè i mussulmani in particolare ma a più grande respiro tutti i migranti, che per la maggior parte vengono nel mondo occidentale per cercare lavoro, debbano integrarsi alla nostra cultura, modo di vita e perchè no anche religione. È necessario che rispettino leggi, regolamenti, usi e costumi in pubblico, ma con questi limiti a mio avviso dovrebbero rimanere liberi di aderire ai loro valori. Questo è il mio concetto di libertà. Tra l’altro molti di loro considerano l’espatrio una fase temporanea necessaria per realizzare progetti nella loro patria, quindi a maggior ragione non sentono il bisogno di integrarsi.
    Angelo

  6. mirco

    L’articolo e l’indagine su cui l’articolo si basa, dimostra che l’occidente ha ancora più di ora, bisogno di una organizzazione e di una mentalità laica che consideri le religioni pure esigenze strettamente personali.E questo per tutte le religioni.Se non si capisce questo non si risolverà mai il problema dell’integrazione fra culture in cui la religione è così importante.In Italia la classe politica questo non lo ha capito.In Italia rimangono atteggiamenti della politica confessionali di favore per la religione cattolica per giungere ad atti come quello di sporcare con sterco di maiale aree in cui dovrebbero sorgere moschee. Siamo al medioevo complimenti ai vari Borghezio, ai Casini sui pacs e via compagnia cantando.

  7. Andrei

    Faccio notare che le dinamiche di immigrazione italiana negli usa hanno portato ad assimilazione, ad una rinuncia delle tradizioni e lingua del paese d’origine, si voleva appunto diventar americani…ma questo non è auspicabile… il vero fulcro su cui è efficace agire è come detto sotto in un altro commento, la colonta di vivere laicamente la propria religiosità. Utopica è la visione di un integrazione totale in una società pacifica, ma è anche l’unica strada percorribile, non si possono bloccare le frontiere e inalzare i muri della Fortezza Europa, è antistorico e controproducente. Personalmente ammiro la devozione mussulmana, il suo grado di intensità e la freddezza (a volte eccessiva è vero) verso le ricchezze terrene: è indice di tenacia e convinzione, fattori scarsi soprattutto nelle nuove generazioni di cui io faccio parte.

  8. Alex

    Sono in disaccordo con la maggior parte dei commenti qui riportati. E’ vero che non è strettamente necessaria l’integrazione nè tantomeno auspicabile in alcuni casi, ma per quanto riguarda i musulmani bisogna tenere conto del fatto che per loro la laicità è un concetto totalmente alieno. In un commento ho letto che secondo l’autore l’importante è che vengano rispettate le regole del paese ospitante. Qui sta il nocciolo della questione. Un musulmano praticante e strettamente aderente alla propria fede non riconosce leggi che non siano quelle del corano. Questo aspetto viene spesso sottovalutato o sottostimato dai sostenitori della non necessità di integrazione. Non è accettabile per un paese laico l’idea che i precetti religiosi vengano prima delle norme comportamentali imposte dallo stato, mentre questo è assolutamente normale per un musulmano. Dovremmo quindi rinunciare alla laicità che abbiamo guadagnato in 500 anni di faticose (e spesso sanguinose) rivoluzioni culturali per accogliere questi migranti?

  9. Vittorio Tauber

    L’osservanza delle leggi di uno stato da parte dei nuovi arrivati è un principio irrinunciabile di ogni stato di diritto, e dove un determinato costume degli immigrati confligga con le leggi non c’è spazio per questo costume, fino alla sanzione, ove necessaria. L’integrazione alla francese funziona molto meglio complessivamente della comunità di comunità (stato tribale) anglosassone, peraltro ormai sconfessata dallo stesso governo britannico. Nessuno chiede ai francesi di origine maghrebina di abbandonare la propria religione. Ma il patriottismo repubblicano li trasforma in quello che già sono, cittadini francese, al di là della religione, non nostalgici di luoghi che non hanno mai visto e dove presumibilmente non torneranno mai, nè lo faranno i loro figli. Se invece si ritiene che un’attiva pratica religiosa sia la conditio sine qua non per socializzare un buon cittadino, poi i conti non tornano e non noi riusciamo a spiegare come mai certe comunità alloctone restino ghettizzate o si autoghettizzino. Di più, se riteniamo imprescindibile per alcune minoranze religiose l’attaccamento tradizionalistico, potenzialmente antagonista dello stato di diritto, è impossibile, sia a livello di buoni argomenti che nella prassi, negare la stessa potenziale prevaricazione alla maggioranza religiosa dello stato.

  10. Alessandro

    Condivido in pieno quanto esposta da Vittorio Tauber nel suo commento

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