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Cina, l’insostenibile figlio unico

La politica del figlio unico è stata confermata dai dirigenti cinesi. Ma gli obiettivi di sostenibilità della crescita economica che la animano sono stati smentiti. I più abbienti la aggirano. Ha esasperato la disparità tra i sessi e nel 2020 almeno 40 milioni di uomini cinesi non riusciranno a trovare moglie. Preoccupa poi il progressivo invecchiamento della popolazione. Conseguenze importanti anche sul mercato del lavoro dove si prevede un blocco nell’aumento della forza lavoro, e un declino a partire dal 2013. Determinerà forti squilibri sul sistema pensionistico.

Le ragioni di sostenibilità economica e ambientale fornite da Pechino a giustificazione delle politica del figlio unico, hanno di recente attirato crescenti critiche e subito smentite.
La norma sembra infatti destinata, secondo alcuni, a causare nel lungo termine problemi e tensioni sociali invece che agevolare la crescita economica e la stabilità del paese, come sostenuto dal governo.

L’evoluzione della politica demografica cinese

La norma che vieta di fatto di procreare più di un erede per nucleo familiare ha da sempre costituito uno dei punti di forza delle politiche demografiche del governo cinese, benché ne costituisca solo l’apice. Rappresenta l’apogeo di una serie di misure rivolte ad accrescere l’ingerenza della politica nella pianificazione famigliare. Si possono individuare diverse fasi che si sono succedute nel tempo. La prima, avviata dallo stesso Mao negli anni Cinquanta, con l’obiettivo di favorire la crescita economica del paese, incoraggiava la procreazione con il motto: “the more babies the mother has, the more glorious she is. Già a partire dai primi anni Sessanta, si verificò un parziale cambio di rotta: il governo iniziò a diffondere campagne educative che incoraggiavano le famiglie a pianificare gravidanze tardive, agevolando anche la diffusione della contraccezione. La terza e ultima fase, si trascinò per tutti gli anni Settanta e finì con l’emanazione della legge sul figlio unico nel 1979. Nata come una misura temporanea, voluta da Deng Xiaoping, per facilitare il decollo economico del paese, senza esaurirne le risorse naturali, la norma è stata ufficialmente codificata come “Law on Population and Family Planning, in occasione del nono congresso nazionale del Partito comunista nel dicembre 2001,” ed è entrata in vigore nel settembre del 2002. (1)
Il richiamo della norma alla sostenibilità è evidente fin dal primo capitolo delle General Provisions che recitano: “Questa legge è finalizzata, in accordo con la Costituzione, a bilanciare la crescita demografica con lo sviluppo sociale, economico e le risorse ambientali e a contribuire alla ricchezza della famiglia e alla prosperità e al progresso sociale della nazione”.

La norma sul figlio unico

Inizialmente il sistema di pianificazione famigliare è stato incoraggiato solo a livello delle Township (2), in seguito però è stato esteso all’intero paese, demandandone l’implementazione ai governi locali provinciali. La parcellizzazione delle competenze ha permesso una diversificazione dei metodi utilizzati per assicurarsi il rispetto della norma, rendendo difficile il controllo delle autorità centrali e dando via libera a soprusi, coercizioni, spesso degenerati fino al controllo sulle gravidanze e all’aborto forzato da parte delle autorità locali.
Nel 1980 la norma è divenuta parte integrante della legge sul matrimonio che deliberava la pianificazione familiare come un obbligo per le nuove coppie. Per assicurarne il rispetto, veniva richiesto agli sposi di sottoscrivere un “One Child Policy Certificate”, che riportava la lista dei benefici a loro riservati in cambio della fedeltà alle disposizioni di legge.
Ma in cosa consiste la norma?
Di fatto viene imposto alle coppie cinesi che risiedono nelle zone urbane del paese di avere solo un figlio, che diventano due nella maggior parte delle aree rurali. Numerose sono le deroghe. Le principali sono quelle che esonerano i cinesi nati e residenti fuori dalla Repubblica Popolare e che non ne richiedano la nazionalità o le coppie che siano a loro volta figli unici. I gemelli naturalmente rappresentano un’eccezione e a essere dispensate sono anche le coppie che non fanno parte dell’etnia maggioritaria Han, ma appartengono a uno dei gruppi etnici minoritari. Nel caso in cui una coppia perda un figlio in tenera età, viene loro permesso di avere un altro figlio. Nella sola isola di Hainan e nella regione del Guandong, le famiglie che hanno avuto come primogenito una femmina, sono autorizzate ad avere un altro figlio.
Gli incentivi invece si sostanziano in una serie di agevolazioni per l’educazione, l’assistenza sanitaria e l’assegnazione di case. I trasgressori si vedono imporre multe salate (circa 15 mila euro, per intenderci più dello stipendio annuo di un professionista ad esempio un avvocato) e negato l’accesso ai sistemi educativi statali.
Tutto ciò non ha fatto che alimentare, tra i più abbienti, una diaspora delle nascite, che vede le future madri preferire un trasferimento temporaneo all’estero, Hong Kong in testa. Per disincentivare le crescenti violazioni della norma da parte dei ceti abbienti dei centri urbani o di personaggi pubblici, nelle province più popolose del paese (Zhejiang e Henan) si è introdotta la pratica di pubblicare una lista della vergogna, che condanna apertamente chi viola la legge. Per il momento, a essere pienamente perseguibili sono solo i membri del governo. (3) Una circolare emanata lo scorso settembre, stabilisce, che: “Obbedire alle leggi di pianificazione famigliare, è da considerarsi un elemento fondamentale nel decidere la promozione dei membri del governo e degli uomini politici in generale” che si vedranno bloccare qualsiasi tentativo di avanzamento di carriera nel caso abbiano violato la legge. È stato previsto un meccanismo di controllo per valutare lo stato di famiglia della nomenclatura comunista e incoraggiata la delazione..

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Efficacia e limiti

Sulla reale efficacia della norma, i giudizi sono contrastanti. La ricerca da poco conclusa dall’università della California a Irvine rappresenta il primo tentativo sistematico di analizzare gli effetti della politica del figlio unico. (4) Basandosi su dati raccolti in oltre 450 prefetture cinesi, lo studio rivela che la legge sembra aver sortito i suoi effetti solo sul 63 per cento delle coppie cinesi. Si stima, inoltre, che abbia diminuito di 250-400 milioni di unità nei suoi primi 25 anni di attività, abbassando il tasso di crescita della popolazione cinese a 1,6 per cento, tra i più contenuti nei paesi in via di sviluppo.
Gli obiettivi di sostenibilità della crescita economica che la animano sono di recente stati sottoposti a serie smentite. Primo effetto che la politica del figlio unico sembra aver sortito è quello di esasperare la disparità tra i sessi. Le cifre parlano chiaro, nel solo 2004 sono nati 121 maschi su 100 femmine. La preferenza per i figli maschi, che portano il nome di famiglia e rappresentano la fonte di sostentamento per il futuro dei genitori, è confermata da un rapporto dell’Accademia cinese per le scienze sociali. Per controbilanciare la tendenza nei confronti delle femmine sono state prese una serie di misure, tra le quali il divieto di rivelare il sesso del nascituro ai genitori, che però vengono facilmente aggirate. Tra le conseguenze, si teme una progressiva diminuzione delle donne in età da marito che rischia di creare squilibri sociali significativi. Fonti governative prevedono che nel 2020 almeno 40 milioni di uomini cinesi non riusciranno a trovare moglie, con effetti importanti sull’ordine sociale e con il rischio di alimentare il mercato dei matrimoni combinati all’estero o addirittura la tratta delle spose. Da qui l’aumento della tensione sociale, giacché sembra dimostrato che in una società con meno donne i conflitti siano potenzialmente più numerosi.
Altro elemento di forte preoccupazione consiste nel progressivo invecchiamento della popolazione cinese. Sono il 10 per cento della popolazione, pari a 130 milioni di persone, gli over sessanta in Cina, cifra destinata a crescere del 3 per cento l’anno. Le conseguenze per l’esercito di figli unici sono chiare: le coppie si trovano a dover sostenere da soli il peso di quattro genitori e di otto nonni complessivamente.
Conseguenze importanti anche sul mercato del lavoro dove si prevede un blocco nell’aumento della forza lavoro, con un periodo di declino a partire dal 2013. L’Accademia di scienze sociali di Pechino prospetta che con il diminuire della popolazione attiva, si creeranno forti squilibri sul sistema pensionistico.
Il clima sociale potrebbe venire avvelenato dall’ineguale applicazione della legge che esonera le minoranze etniche cinesi e che potrebbe portare a un aumento dei gruppi minoritari, specie musulmani, gli Hui, per fare un esempio.
Infine, a preoccupare è la cosiddetta “sindrome del piccolo imperatore“, su cui si concentra oggi il lavoro di molti psicologi cinesi. Il surplus di figli unici, insieme al benessere economico, ha creato a partire dalla fine degli anni Settanta un esercito di 100 milioni di figli unici, viziati e vezzeggiati dalle famiglie. Un meccanismo perverso che secondo il sociologo Sun Yunxiao, porta a concentrare sui figli unici le aspettative di genitori e nonni, alimentando una competizione già notevole fin dalla più tenera età e che rischia di avere riflessi importanti sulla crescita.

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Il futuro

L’Assemblea nazionale del popolo nel presentare l’undicesimo piano quinquennale (2006-2011) nell’ottobre 2006, ha ribadito la centralità della politica del figlio unico per accompagnare lo sviluppo economico del paese. Zhang Weiqing, ministro della Popolazione nazionale e membro della Family Planning Commission ha affermato che l’obiettivo immediato di questa estrema forma di pianificazione famigliare è di mantenere la popolazione “sotto il tetto di 1,36 miliardi entro il 2010 e 1,45 miliardi entro il 2020”. Voci di dissenso politico si sono alzate, quando un gruppo composto da trenta delegati della Conferenza consultiva politica del popolo cinese (Ccppc) ha chiesto al governo di abolire la norma, perché considerata pericolosa per la stabilità sociale e causa di disturbi alla personalità nei giovani. A questi moniti sono seguiti, nel giugno scorso, gravi disordini che hanno avuto come epicentro la contea di Bobai, appartenente alla provincia autonoma del Guangxi (5): migliaia di dimostranti hanno attaccato gli uffici governativi perché esasperati dalle continue vessazioni subite dalle autorità locali per fare rispettare la legge del figlio unico. L’avvicinarsi delle Olimpiadi del 2008, porta alla ribalta il tema. Molti sono gli attivisti per il rispetto dei diritti umani che hanno lanciato appelli per l’abolizione della norma. Voci che sembrano però rimanere inascoltate giacché la diciassettesima Assemblea nazionale del popolo, appena conclusasi a Pechino, ha visto il premier Hu Jintao insistere sulla creazione di un mondo armonioso e la promozione di una “democrazia socialista” (6), evitando di fatto di affrontare la questione del figlio unico.

(1) Population and Family Planning Law of the People’s Republic of China (Order of the President No.63 disponibile on line http://www.gov.cn/english/laws/2005-10/11/content_75954.htm
(2) La Township rappresenta in Cina il livello più basso di rappresentanza politica locale. Le vengono demandate ben poche responsabilità politiche, a eccezione della Birth Planning Commission ( 计划生育委员会).
(3) Sharon Lee, 2007, “Officials breaching one-child policy denied promotion”, 新 华网.
(4) Gu Baochang, Wang Feng, Guo Zhigang, Zhang Erli, “China’s Local and National Fertility Policies at the End of the Twentieth Century” in Population and Development Review 33 (1 ): 1 2 9 – 1 4 7, march 2007.
(5) Laura Robertson, “One Child Policy Ignites Riots in Guangxi”, CBN News, May 23, 2007.
(6)Le Tian, “Socialist democracy to be promoted”, China Daily October 27, 2007.

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  1. FRANCESCO COSTANZO

    Ammetto di non essere molto informato sull’argomento: mi interessa sapere quali sono i motivi economici che giustificano una simile pianificazione delle nascite ad opera del governo centrale. L’unica ragione che mi viene in mente è che forse il governo cinese non riesce ad adeguare gli investimenti e la produzione alla crescita della popolazione, che è troppo rapida. Di conseguenza, il governo non è in grado di fronteggiare l’aumento della domanda aggregata di beni di consumo e servizi. E’ così?
    Allora il modello economico cinese, tanto decantato per la fortissima crescita economica degli ultimi anni, in realtà dimostra già di avere un punto debole, esatto?
    Se è così, forse è venuto il momento per la Cina di rinunciare definitivamente all’economia pianificata, superando la fase di transizione verso la completa economia di mercato, è d’accordo?

    • La redazione

      Di punti deboli il modello di sviluppo economico della Cina, a mio parere ne ha numerosi. I motivi economici forniti da Pechino a giustificazione della politica del figlio unico sembrano essere animati dal timore di innescare una
      bomba demografica difficile da gestire sia a livello produttivo sia sociale. La legge del figlio unico, è infatti oggi motivo di potenziale instabilità sociale in un paese dove il 20% della popolazione controlla l’80% delle ricchezze
      e si può permettere di evadere le disposizioni di legge grazie alle proprie disponibilità economiche.
      Quanto alla transizione da un’economia pianificata a una di mercato, penso che la Cina stia attualmente operando la propria versione di capitalismo caratterizzato da un’economia pianificata di mercato. Che si tratti dello
      stesso ossimoro di quando si sentono i leader cinesi parlare di democrazia comunista è facile capirlo.

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