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LA RISPOSTA AI COMMENTI

Lorenzini dice che non è vero che gli insegnanti in Italia siano tanti una volta che si tenga conto di alcune caratteristiche fisiche del nostro paese – la frammentazione del territorio e la necessità di offrire il servizio anche in zone "periferiche" – e di alcune scelte di civiltà – il sostegno, superando la ghettizzazione di una volta, agli alunni portatori di handicap. Sul piano dei numeri questa affermazione è però forzata: un semplice esame econometrico descrittivo (cfr. G.Barbieri, P. Cipollone e P. Sestito, Il mercato del lavoro degli insegnati in Italia, maggio 2007) evidenzia come caratteristiche del Comune e incidenza degli alunni portatori di handicap spiegano solo in piccola parte le differenze tra scuole nel numero degli insegnanti (in rapporto agli alunni). Soprattutto, il quesito rilevante è se la modalità di determinazione del fabbisogno di insegnanti impiegata in Italia sia o meno efficiente, non solo in generale (e qui sappiamo che i risultati della scuola italiana sono in media poco lusinghieri e spaventosamente variabili tra scuole) ma anche per il raggiungimento di quegli obiettivi specifici che Lorenzini cita. In altri termini, riusciamo ad integrare gli alunni portatori di handicap meglio di quanto non facciano altri paesi? Ricorrere a figure di sostegno con uno status di insegnante a tutti gli effetti – in Italia spesso si tratta di precari ai loro primi passi nella carriera di insegnante e che usano questa come una strada di accesso alla professione tout court – è meglio o peggio di avere scuole con figure di sostegno in posizione di staff e non riferite alle singole classi? Purtroppo non vi sono, a mia conoscenza, valutazioni precise dei risultati della via italiana al sostegno ed all’integrazione degli alunni con handicap (l’unico studio che conosco, che non può peraltro considerarsi una valutazione vera e propria ma solo un’azione di monitoraggio sul rispetto delle norme di legge, è un documento Invalsi del 2007, a 15 anni di distanza dalla legge 104/1992!). La poca evidenza aneddotica che conosco suggerisce che i risultati italiani non sono così soddisfacenti. Spesso, le scuole finiscono per sollecitare le famiglie a richiedere un insegnante di sostegno proprio perché prive di modalità alternative di attenzione al disagio. Questo, non affrontato da un sistema organizzativamente centrato sulla classe e sull’insegnate e non sulla scuola, viene così trasformato in handicap: nella scuola italiana (elementare e media inferiore) così gli alunni portatori di handicap crescono (come incidenza sul totale) con l’età, laddove le statistiche sulla popolazione complessiva prodotte dall’Istat farebbero predire l’esatto contrario.
Caruselli descrive, in maniera ben più nitida di quanto non possa aver fatto io sulla base di numeri e statistiche, la giostra degli insegnanti. Concordo con lui che quanto accade non è "colpa" di chi alla giostra prende parte. Il punto che però rileva, nel valutare l’efficacia del sistema, è se le regole che sottendono a questa giostra stimolano l’impegno degli insegnanti o meno. La mia tesi è che accade esattamente il contrario. Lo stare in una giostra riduce la motivazione e l’impegno nel delineare e portare avanti un progetto educativo in una data scuola e con un dato gruppo di alunni (questa e quelli saranno presto abbandonati). La mancanza di vaglio da parte della scuola a cui si viene assegnati impedisce a questa di essere parte attiva di quel processo di matching tra lavoratori e posti di lavoro che tanta parte ha, nel resto dell’economia, al fine di migliorare la qualità del servizio lavorativo prestato. Laddove in altre attività (del mercato del lavoro privato) il precario è magari poco motivato – perché pensa al prossimo lavoro più che a quello corrente, con un orizzonte limitato – ma anche costretto a darsi da fare perché si sente sempre a rischio di essere ritenuto non all’altezza – una sensazione umanamente spiacevole ma di forte stimolo all’efficienza – nella scuola si rischia di avere il peggio della precarietà (l’orizzonte troppo breve) ed il peggio della inamovibilità (la sicumera di chi si sente al riparo dai giudizi del datore di lavoro). Ciò che semmai deve stupire è che con simili regole di ingaggio e senza quasi sostegno da parte delle scuole e del sistema nel suo complesso vi siano tantissimi insegnanti che si danno da fare con impegno e dedizione!

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  1. Giorgio Asquini

    Circa la via italiana al sostegno nel Quaderno bianco (pag.42, anche nota 104) viene citato un rapporto OCSE del 1999 (Inclusive Education at Work) che “… dava un giudizio decisamente positivo della situazione italiana, non solo sul piano dell’impianto normativo, ma anche della sua concreta applicazione.”
    Avendo frequentato per anni il livello più critico dell’integrazione (scuola media) ho vissuto direttamente i problemi operativi di una scelta “politica” costosa (l’assistenza la fanno i docenti), ma posso assicurare che la differenza fra presenza/assenza di insegnante di sostegno è notevole. Naturalmente cambia molto anche il fattore motivazione/preparazione del docente, ma ho incontrato passione (e buoni risultati) anche con docenti “di risulta” di altre discipline.
    Probabilmente esistono altri sistemi meno costosi e più efficienti, ma credo si basino anche su reti sociali di sostegno più ampie rispetto alla scuola: il messaggio che ho sempre colto dai genitori di bambini in difficoltà è che oltre la scuola è molto difficile trovare un supporto.

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