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L’Opa e la direttiva da buttare

Il mercato unico degli strumenti finanziari in Europa è in grave pericolo e solo un’iniziativa politica di alto livello lo può salvare. Le minacce alla concorrenza arrivano dalla direttiva sull’Opa del 2004, che l’Italia si accinge a recepire. Preoccupano in particolare le norme sull’applicazione della regola di passività e sulla caduta, a certe condizioni, delle difese preventive anti-Opa. Ma soprattutto la possibilità di invocare la reciprocità. Il nostro paese deve farsi promotore di una immediata revisione, che porti a un compromesso ragionevole.

Il mercato unico degli strumenti finanziari in Europa è in grave pericolo e solo un’iniziativa politica di alto livello lo può salvare. Questo è quanto risulta da un interessante rapporto della Commissione Unione Europea sullo stato di attuazione della direttiva europea sull’Opa. (1)
La direttiva, approvata sotto la presidenza italiana nel 2004, tanto per chiudere in qualche modo una storia infinita, costituisce un pericolo ben più grave, per la concorrenza “libera e non distorta” sul mercato azionario, del “colpo” battuto da Nicolas Sarkozy levando il famoso riferimento dalla bozza dei trattati europei. Non è allora un caso se il rapporto della Commissione si chiude domandandosi, retoricamente, se non sia il caso di anticipare la data della “manutenzione” della direttiva, rispetto al 2011, cioè a sette anni dall’approvazione, come di norma si fa nella Unione Europea. Giusto, solo che questa manutenzione deve essere, come vedremo, straordinaria. Sarebbe bene, inoltre, che l’iniziativa venisse dal nostro paese, che porta la responsabilità politica dell’accordo-beffa del 2004.

La direttiva che non dirige nulla

La direttiva, infatti, non dirige un bel nulla su alcuni temi-chiave: in particolare sull’applicazione della regola di passività durante l’Opa (passivity rule) e sulla caduta, a certe condizioni, delle difese preventive anti-Opa (breakthrough rule). Per la precisione, la direttiva-burla dichiara baldanzosa all’articolo 9 che il management non può compiere atti contrari agli scopi dell’offerta senza l’assenso preventivo degli azionisti; all’articolo 11, poi, dichiara la decadenza di alcune difese anti-Opa, in particolare la caduta di ogni tetto ai voti quando un socio abbia raggiunto il 75 per cento dei diritti di voto. Basta arrivare all’articolo 12, però, per scoprire che gli Stati membri possono sfuggire a questi obblighi. Inoltre, cosa ancor più grave, anche chi abbia deciso di assoggettare le “proprie” imprese a tali obblighi può esentarle se, con una scelta di natura generale, consente loro di invocare la reciprocità (reciprocity rule). In sostanza, alle prime due regole potrebbe sfuggire chi potesse sostenere che esse non devono vincolare l’impresa sotto Opa perché ad esse non è soggetta, invece, l’impresa che formula l’Opa.
Ora l’Italia deve recepire, con i consueti ritardi (ma stavolta i ritardatari sono tanti), la direttiva; è venuto il tempo delle scelte. Vogliamo anche noi la passivity rule e la breakthrough rule? E se le vogliamo, daremo alle nostre imprese la possibilità di sfuggire a esse e invocare la reciprocity rule se appena ne avranno la possibilità? Il ministro Padoa-Schioppa ha detto che il governo vuol lasciare immutata la nostra ottima legge su due punti importanti, e cioè sulla regola di passività e sullo scioglimento dei patti sotto Opa. Gli altri Stati sembra convergano accettabilmente sulla prima scelta, mentre la caduta delle difese anti-Opa sarebbe avversata, secondo il rapporto della Commissione , dalla quasi totalità. (2)
La scelta italiana è contestata da alcuni come astratta e ideologica; in realtà si basa sul presupposto che un efficace mercato dei capitali e la contendibilità nel controllo delle grandi imprese giovino al paese. Certo, è importante che la testa delle poche nostre residue grandi imprese resti qui, ma l’obiettivo va perseguito aumentando l’efficienza e quindi la capitalizzazione delle imprese, non con sbarramenti destinati a cadere come altrettante linee Maginot al primo serio urto. L’abolizione della regola di passività e la blindatura dei patti anche sotto Opa ci regalerebbero un mondo di manager inefficienti, protetti dagli eventi a spese degli azionisti e della collettività. Ma c’è anche la scelta da fare sulla reciprocity rule, e qui le cose si complicano. Dovremmo o no consentire alle nostre imprese che saranno soggette alla passivity rule e alla breakthrough rule, di invocare la reciprocity rule, sottraendosi a esse se l’offerente, a sua volta, non le applica?
Tommaso Padoa-Schioppa ha annunciato che l’Italia intende cogliere questa possibilità, e osservando le cose dal livello degli Stati membri non gli si può dare torto, tenuto conto che la maggioranza fa la stessa scelta. Così hanno fatto, sempre secondo il rapporto, Stati che rappresentano il 62 per cento della capitalizzazione combinata delle borse dell’Unione Europea. Solo Austria, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Malta, Lettonia, Lituania, Regno Unito, Slovacchia e Svezia hanno escluso di avvalersi della clausola di reciprocità.
Quali sarebbero, però, le conseguenze al livello dell’Unione Europea? Le liti derivanti dalla ricca casistica prevedibile non finirebbero mai, e nemmeno si sa chi dovrebbe dirimerle. Abbiamo ventisette Stati membri, ognuno con le proprie leggi e le proprie autorità di regolazione. Si pensi alle mille possibili combinazioni, e conseguenti complicazioni, derivanti dai regimi giuridici degli offerenti, delle società sotto Opa, delle autorità di regolazione e delle società di gestione dei mercati.
Un’impresa che compete sul mercato è un organismo vivo, che non può restare per lunghi anni nell’incertezza: l’Europa vuole davvero divenire il paradiso degli avvocati e l’inferno degli investitori? Consentire a tutti di invocare la reciprocità decreterebbe la condanna a morte di uno dei pochi obiettivi ancora perseguibili nell’Unione Europea, il mercato finanziario unico: lo testimonia la vicenda della holding energetica spagnola Endesa, durata oltre un anno e finita solo per una pax energetica siglata dagli eserciti contrapposti, e accettata da tutti, per sfinimento.

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Serve un’iniziativa politica

Bisogna tornare al tavolo da disegno e, come suggerisce la Commissione, rivedere subito la direttiva, senza attendere il 2011. Solo così si uscirà dall’impasse, portando la cosa dal livello degli Stati, dove ognuno non può che invocare la reciprocità, a quello dell’Unione, ove dovrebbe essere chiaro che essa non funziona. Per questo vanno distinti i due piani: il governo invochi pure, nell’attuale fase di recepimento, la reciprocità, ma al contempo promuova, insieme ad almeno un altro grande Stato (forse il Regno Unito, forse la Germania), l’iniziativa politica di un’immediata revisione della direttiva. Questa deve basarsi su un compromesso realistico e ragionevole, i cui termini emergono evidenti dalla lettura del rapporto delle Commissione.
Si levino gli “obblighi opzionali“, un ossimoro che non fa bene al mercato, lasciando in vigore quelli generalmente condivisi e buttando a mare, ahimé, quelli che a evidenza nessuno vuole. Per questa ragione si porti a casa il buono, consistente nel generale favore per la regola di passività, rendendola davvero obbligatoria, senza se e senza ma. Al tempo stesso si deve purtroppo accettare il cattivo, abbandonando la pretesa di imporre a tutti una breakthrough rule che nessuno vuole. Particolarmente accanita è la contrarietà scandinava allo smantellamento delle difese una volta che l’offerente abbia sfondato il muro del 75 per cento. Ciò non impedirà all’Italia – se, come è auspicabile, lo vorrà ancora – di mantenere in vigore la sua norma, che fa decadere sotto Opa i patti di sindacato; l’occasione sarà anzi opportuna per chiarire che i patti cadono, ovviamente, anche (soprattutto) davanti a Opa preventive volontarie, e non solo a Opa obbligatorie successive, come alcuni qualificati esperti invece sostengono. Se altri vogliono continuare a proteggere il management dagli azionisti, facciano pure, non è necessario accodarsi ai lemming che si buttano dalle scogliere dei mari del nord.
Si chiuda invece, e subito, la grande e pericolosa falla della clausola di reciprocità. Se non lo si facesse, e in fretta, sarebbe come decretare la morte ufficiale del mercato unico europeo, cioè di quasi tutto quanto resta delle speranze di unità europea di una generazione che, avendo vissuto sotto i bombardamenti e fra le macerie di una guerra insensata, è ormai al capolinea. Per chi si sia nutrito di quelle speranze, restare inerti sarebbe una colpa grave, imperdonabile.

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(1)
Commission Staff Working Document “Report on the implementation of the directive on takeover bids”. Sec (2007) 268;
(2) Il rapporto fotografa la situazione a febbraio 2007; contiene quindi alcuni elementi superati da fatti successivi. La posizione italiana là illustrata su passivity rule e breakthrough rule è infatti diversa da quella esposta dal ministro Padoa-Schioppa e riferita in questo articolo.

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  1. Stefano Verde

    Gent. Dottore,
    condividendo pressochè appieno le sue considerazioni sull’inefficacia della famosa Tredicesima Direttiva, mi permeto solo di segnalarle che ai tempi dell’approvazione della Direttiva non era l’Italia alla Presidenza del Consiglio UE (nel secondo semestre 2003 fu il nostro turno), ma se non ricordo male i Paesi Bassi. Forse per stavolta non è stata del tutto colpa nostra la trattativa poco proficua e poco utile sul tema!
    Cordialmente

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