Nicola Persico è il primo vincitore della medaglia Carlo Alberto per il migliore economista italiano sotto i quaranta anni. La lista dei suoi articoli comprende contributi estremamente teorici e altri di carattere empirico. Ma i più recenti sono una intelligente commistione di teoria e analisi empirica per ottenere una migliore interpretazione di interessanti fenomeni economici. Le ricerche sul “racial profiling” della polizia e sul ruolo delle istituzioni politiche nel dare adeguati incentivi all’offerta di beni pubblici.

Nicola Persico è il primo vincitore della medaglia Carlo Alberto per il migliore economista italiano sotto i quaranta anni. Il premio segue le orme della John Bates Clark Medal istituita nel 1947 per il migliore economista sotto i quaranta anni, e spesso una anticipazione del premio Nobel, e il Jahnsson Award inaugurato nel 1993 per il migliore economista sotto i quarantacinque anni in Europa.
Il numero di economisti italiani di ottima qualità è ormai altissimo. Alberto Bisin ha calcolato che costituiscono circa il sette per cento dei migliori dodici dipartimenti di economia negli Stati Uniti. C’è inoltre un gran numero di economisti italiani nelle migliori business school e nei migliori dipartimenti europei.

Chi è Nicola Persico

Criteri “oggettivi” mostrano che Nicola Persico è un economista di grande statura. Sette pubblicazioni nelle riviste più importanti, cattedra a University of Pennsylvania e, trasferitosi a New York University, vincitore di numerosi Nsf grants e della Sloan Fellowship, offerta ogni anno ai migliori otto giovani economisti. Il suo articolo su “racial profiling”, pubblicato nel 2001 sul Journal of Political Economy ha raccolto ben quarantadue citazioni e quello su “provision of public goods in alternative electoral systems” , pubblicato nel 2001 su American Economic Review, ne ha ricevute trentuno. Per articoli pubblicati così di recente, sono ottimi numeri, rivaleggiano con quelli di Susan Athey, ultima vincitrice della John Bates Clark Medal.
La ricerca di Persico è molto varia sia come stile che come argomenti. La lista dei suoi articoli va da contributi estremamente teorici, come quello su “information acquisition” pubblicato su Econometrica, ad altri di natura soprattutto empirica come quello sulle cause delle differenze salariali a seconda della statura. La maggior parte dei suoi contributi più recenti però denota un intelligente, creativo e attento mélange di teoria e analisi empirica per ottenere una migliore comprensione e interpretazione di interessanti fenomeni economici.
La lista di argomenti è ancora più impressionante. Nicola ha contribuito a Mechanism Design, Law and Economics, Political Economy, Economics of Discrimination, History of Democracy.

E le sue idee

A partire dal 2001 Nicola Persico ha scritto una serie di articoli su “racial profiling” ovvero il trattamento diseguale operato dalla polizia dei gruppi etnici diversi. È un argomento molto controverso negli Stati Uniti soprattutto per quanto riguarda le differenze tra bianchi e neri, ma più di recente anche per la maggiore attenzione cui sono sottoposti i gruppi di origine mussulmana. Due sono le domande importanti: il racial profiling significa necessariamente che la polizia è razzista? Il racial profiling è inefficiente? Secondo alcuni commentatori la risposta alla prima domanda è ovvia: se la polizia indaga o arresta un numero maggiore di neri (o arabi) è razzista. Questo approccio è problematico perché (purtroppo) è possibile che esistano per motivi storici o di svantaggio economico differenze tra gruppi etnici nella percezione dei costi di essere criminali (prigione o stigma) o più in generale nella propensione a commettere crimini. Come fare allora a rispondere a questa domanda?
Il contributo più importante degli articoli di Nicola è lo sviluppo, la messa in pratica e l’interpretazione dell’”hit-rate test“: un modo di stimare i pregiudizi razziali della polizia sulla base di dati sui tassi di criminalità (hit rates). Se questi sono uguali in tutti i gruppi, la polizia sta semplicemente massimizzando il numero totale di arresti, senza alcun razzismo anche se, per esempio, arresta molti più neri che bianchi. Se l’hit rate è più alto per un gruppo che per un altro, questo si può interpretare come evidenza di pregiudizio contro questo gruppo.
L’idea è molto semplice. Immaginiamo che la polizia non sia razzista. In questo caso, se gli hit rates fossero diversi per i gruppi diversi, ogni poliziotto avrebbe l’incentivo a concentrare la propria attenzione sul gruppo con hit rate maggiore. Ma se così fosse, l’altro gruppo avrebbe la possibilità di intraprendere attività criminali senza pericolo di arresto. Poiché questo non può essere un equilibrio del sistema, abbiamo mostrato che una forza di polizia senza pregiudizi deve eguagliare gli “hit rates” per tutti i gruppi. È anche facile capire che, se gli hit rates sono diversi tra due gruppi, il minor successo nell’investigare uno dei due deve essere compensato da qualche pregiudizio della polizia. Nel primo articolo, oltre a sviluppare il test, Persico lo applica a dati sui “traffic stops” in Maryland, sulla Route 95, una strada importante per il traffico della droga perché connette Miami a New York City. I dati indicano che gli hit rates sono essenzialmente gli stessi per bianchi e neri, mostrando dunque assenza di razzismo contro i neri. Articoli successivi di Nicola generalizzano l’applicabilità del test ad altri contesti, inclusa la sicurezza aeroportuale, e forniscono un’analisi dettagliata della potenziale inefficienza di una forza di polizia che usa racial profiling.
Un’altra linea di ricerca (alla quale ha partecipato il sottoscritto) si concentra sul ruolo delle istituzioni politiche nel dare adeguati incentivi all’offerta di beni pubblici. Una serie di tre articoli presenta un trade-off tra l’efficienza dei beni pubblici e la loro inefficacia come strumento di campagna elettorale e le conseguenze di questo trade-off per 1) la superiorità di alcuni sistemi di votazione comunemente in uso, 2) le potenziali inefficienze dell’eccessiva competizione tra numerosi partici politici e 3) un’analisi della diffusione del diritto di voto nel diciannovesimo secolo.
Un semplice esempio permette di capire l’essenza del problema. Supponiamo che la popolazione di votanti sia omogenea e che sia possibile usare le risorse derivanti dalla tassazione in due modi alternativi: (a) investimento in un bene pubblico (riduzione di emissioni di carbonio, difesa nazionale, e così via) che dà un beneficio G a tutti i votanti, (b) trasferimenti di reddito da un gruppo di votanti all’altro. Se G è sufficientemente alto, sarebbe efficiente usare le risorse per l’opzione (a), il bene pubblico. Purtroppo l’efficienza non è possibile in equilibrio: l’opzione (b), nota anche come “redistribuzione tattica”, può rivelarsi una strategia superiore per un candidato perché consente di offrire un ammontare maggiore di G a una maggioranza dell’elettorato senza la necessità di offrire alcunché alla sfortunata minoranza. La redistribuzione tattica ha un valore politico derivante dalla flessibilità dell’utilizzo delle risorse nel costruire coalizioni elettorali. A questo valore politico non corrisponde però un valore sociale. Da qui la fonte di questa inefficienza della competizione elettorale. I tre articoli esaminano come gli incentivi dei politici nel gestire il trade-off cambiano al cambiare di diversi aspetti del sistema politico. Per esempio, l’articolo “A Drawback of Electoral Competition” mostra che l’inefficienza del sistema politico peggiora al crescere del numero di candidati. Nell’articolo “Why did the Elites Extend the Suffrage?” si mostra che non solo l’inefficienza si riduce quando il suffragio è più vasto, ma, sorprendentemente, una maggioranza dell’elite può beneficiare dalla sua estensione. L’articolo usa questo risultato per analizzare il processo di democratizzazione dell’Inghilterra del diciannovesimo secolo.

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