La diffusione dell’uso di internet ha portato alla proliferazione di siti di informazione e opinione. Per discriminare le buone fonti da quelle sì gratuite, ma fondamentalmente inutili, il primo consiglio è privilegiare i blog nei quali gli autori firmano con nome e cognome e hanno interesse a mantenere una reputazione. Oppure quelli nei quali esiste un filtro all’ingresso. Da prendere con cautela invece quelli curati da individui che rimangono anonimi o usano pseudonimi, specie se non accettano il contraddittorio con gli altri utenti.

La diffusione dell’uso di internet ha portato alla proliferazione di siti di informazione e opinione. Giornali online, forum di discussione e blog sono cresciuti in maniera esponenziale negli ultimi anni. Secondo Technorati, un motore di ricerca che si occupa di monitorare il mondo dei weblogs, nel web esistono oltre 55 milioni di blog, e ogni giorno ne vengono creati oltre 75mila. Una buona parte di queste iniziative non sono altro che diari personali, destinati alla conversazione a distanza fra gruppi ristretti di amici. Tuttavia, un numero crescente di siti, incluso quello per cui scriviamo questo articolo, si propongono di fornire informazioni e opinioni. Come orientarsi? Come distinguere le informazioni attendibili e le opinioni fondate dalle notizie false e dai pensieri in libertà? In altri termini, ci può essere il rischio di una “eccessiva” quantità di informazioni?

 

Costi di pubblicazione. E di controllo

 

Una delle caratteristiche principali dei blog e i forum informativi in rete è che i “costi” di entrata sono minimi o nulli: chiunque sia dotato di un computer e di una connessione a internet può creare un blog in pochi minuti. Tipicamente, il prezzo nominale pagato dai consumatori per accedere a questi siti è anch’esso nullo. Resta, tuttavia, il problema per gli utenti di come discernere informazioni e opinioni fondate da quelle non fondate, senza incorrere in costi – questa volta positivi – di controllo della veridicità delle notizie. Il mercato in questione, come tanti altri, sembra aver elaborato strumenti che ci consentono, seppur in maniera imperfetta, di fidarci o meno delle informazioni e opinioni che leggiamo.

Facciamo un esempio. Ci sono tre siti che forniscono informazioni e opinioni politiche ed economiche. Uno è gestito da un gruppo di accademici affermati e riconosciuti nella loro comunità, come indicato dal loro record di pubblicazioni in importanti riviste internazionali. Un secondo sito raccoglie opinioni di diversi collaboratori, non necessariamente con una forte reputazione, ma sottopone i contributi a una recensione e al controllo da parte di una redazione, questa composta da persone con reputazione di esperti, che ha il potere di accettarne o rifiutarne la pubblicazione. Un terzo sito è gestito da un individuo o un gruppo di individui, che rimangono anonimi e usano pseudonimi, e pubblica contributi degli stessi.

Di quale informazione ci fideremmo? Quali opinioni prenderemmo più seriamente? È evidente che i primi due siti forniscono garanzie di attendibilità maggiori rispetto al terzo sito. Eppure, la stragrande maggioranza dei blog presenti nel world wide web appartiene proprio alla terza categoria. Perché?

 

L’importanza della reputazione

 

C’è qualcosa che accomuna i blog del primo e del secondo tipo. Nel caso del primo, la reputazione acquistata attraverso altri canali riconosciuti è garanzia di attendibilità. Chi già possiede una reputazione, rischia di perderla se diffonde notizie false o sostiene analisi palesemente infondate o illogiche. Costui avrà pertanto un forte incentivo a fornire informazioni serie e documentate. Non solo, ma questo tipo di blogger raramente sceglie di rimanere anonimo e raramente rifiuta il dibattito. La possibilità per gli utenti di commentare gli articoli, mettendo in luce informazioni imprecise o argomenti incoerenti, è un’ulteriore garanzia della serietà di un blog di informazione. Blog o siti del secondo tipo, d’altro canto, accolgono anche contributi di chi non ha (ancora) una reputazione, ma forniscono una garanzia di attendibilità grazie a forme di controllo all’ingresso. I contributi sono sempre, o quasi sempre, firmati e ammettono commenti e reazioni da parte degli utenti. Per converso, blogger del terzo tipo, oltre a rimanere anonimi, spesso decidono di non consentire agli altri utenti di commentare i loro interventi.

A questo punto, dovrebbe essere chiaro perché i blog del terzo tipo, i meno attendibili, sono anche quelli più diffusi: il costo di apertura e di pubblicazione è praticamente uguale a zero. All’autore non costa nulla scrivere ogni giorno ciò che gli passa per la testa. Costui non teme di perdere la reputazione, o perché non ne ha una, o perché si nasconde dietro uno pseudonimo. Ciò che accomuna i blog del primo e del secondo tipo, invece, è che pubblicare un articolo comporta un costo per l’autore. Nel primo caso, il costo è rappresentato dalla reputazione dell’autore e dal rischio di perderla, nel secondo il costo consiste nella possibilità che un articolo venga rigettato dal comitato di redazione del blog (come è accaduto qualche volta in passato anche a noi). I blog del primo e secondo tipo lasciano al lettore un onere ben più lieve di assicurarsi solo indirettamente della affidabilità e serietà di un sito.

Riassumendo, per discriminare le buone fonti da quelle sì gratuite, ma fondamentalmente inutili, consigliamo di privilegiare i blog i cui autori firmano con nome e cognome, abbiano interesse a mantenere una reputazione o presentino qualche filtro all’ingresso. Suggeriamo pertanto di prendere con cautela i blog curati da individui che rimangono anonimi o usano pseudonimi, specie se non accettano il contraddittorio con gli altri utenti.

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