I costi della politica non sono solo e non sono tanto nelle remunerazioni di parlamentari, ministri, sottosegretari e amministratori pubblici, quanto negli scarsi rendimenti della loro attività di legislatori e di governanti. A poco più di un anno dall’insediamento del Governo Prodi, lavoce.info traccia un bilancio di quel (poco) che è stato fatto in materie ritenute prioritarie a Caserta o inserite nel dodecalogo post-crisi. Ecco le schede preparate dai redattori del sito in vista dell’incontro-intervista con il Presidente del Consiglio che si è svolto in un affollato auditorium di Trento l’ultimo giorno del Festival dell’Economia. Le schede sono dedicate ai seguenti temi: innovazione, politica del lavoro, fisco, giustizia, energia e ambiente, mercati finanziari, federalismo fiscale.

Incentivi più stabili all’innovazione. Ma serviranno?

Il programma

Il programma del centrosinistra parlava in modo ampio delle misure necessarie a far ripartire la crescita. E ancora di recente il presidente del Consiglio ha messo l’accelerazione della crescita al centro dell’agenda del secondo anno.

Le misure approvate dal governo includono sia misure orizzontali (incentivi alla ricerca per tutte le imprese) che selettive (incentivi e regimi di aiuto ad alcuni settori, uniti a controversi pronunciamenti selettivi come quelli nel caso Telecom e Autostrade Abertis di cui si discute altrove).

Spese in ricerca e sviluppo: il credito di imposta

Le principali misure volte a favorire l’innovazione e la ricerca nella Finanziaria 2007 sono l’introduzione del credito d’imposta in favore delle spese in ricerca e sviluppo (art. 19) e per i contributi delle imprese all’attività di centri di ricerca e università. Si possono definire misure orizzontali perché riguardano tutte le imprese che investono in R&S.

Commenti

1) È una buona idea dare maggiore stabilità alle varie forme di incentivazione all’attività innovativa delle imprese – un’esigenza fortemente sentita dagli imprenditori. Si deve però ricordare che, come indica l’evidenza empirica disponibile per gli altri paesi, l’efficacia degli strumenti di incentivazione e di detassazione per rilanciare l’attività innovativa è incerta. Se la domanda di innovazione è poco elastica rispetto al costo dell’innovazione (perché contano altri elementi diversi dal costo di innovare, come il grado di concorrenzialità dei mercati o il livello di istruzione dei lavoratori), allora è meglio non aspettarsi un forte effetto addizionale di rilancio dell’innovazione nemmeno dalla predisposizione di incentivi permanenti, almeno fino a che le riforme strutturali non producano effetti. E siccome le riforme strutturali hanno faticato ad attuarsi in questo primo anno, è presumibile aspettarsi un effetto limitato di questi incentivi all’attività innovativa
2) La R&S non è l’unico strumento di innovazione. Le piccole imprese distrettuali del Made in Italy innovano senza bisogno di attività formale di R&S. Misure di questo tipo sono dunque presumibilmente poco efficaci a raggiungere questo tipo di imprese. Si può però argomentare che le Regioni o gli enti locali posseggono strumenti migliori del governo centrale per favorire l’attività innovativa delle piccole imprese.

Settori strategici

La Finanziaria 2007 vede anche il ritorno della politica industriale, cioè l’individuazione di alcuni settori strategici (e “aree sottoutilizzate”) cui sono stati destinati specifici regimi di aiuto (settori ad alta tecnologia, la difesa e i settori interessati dai progetti di innovazione industriale per l’efficienza energetica) oltre alla creazione e al finanziamento di un’Agenzia nazionale per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione, dedicata all’”individuazione, valorizzazione e diffusione di nuove conoscenze,tecnologie, brevetti ed applicazioni industriali prodotti su scala nazionale e internazionale”, con sede a Milano e soggetta alla diretta vigilanza della presidenza del Consiglio.

Commento

I settori ad alta tecnologia sono quelli nei quali la produttività dovrebbe crescere più rapidamente. Proprio in questi settori, invece, i dati erano stati particolarmente negativi dopo il 2001. Ma già nel 2006, le cose sono andate molto meglio almeno in alcuni di questi settori, dunque prima che i regimi di aiuto della Finanziaria entrassero in vigore. C’era bisogno di destinare soldi pubblici a questo scopo? Inoltre, è dubbio che un’Agenzia, anche se localizzata nella capitale economica d’Italia, possa fare da meccanismo catalizzatore delle attività innovative.

Le molte ombre della politica del lavoro

Lotta al precariato

1. Il programma dell’Unione si propone in primo luogo di combattere il lavoro precario favorendo il lavoro stabile a tempo indeterminato; e indica come passaggio legislativo cruciale per il conseguimento di questo obbiettivo il “superamento” della legge Biagi (Dlgs n. 276/2003), cui si imputa di avere invece favorito il lavoro precario. Su questo terreno, però, la prima misura efficace del governo è consistita in un giro di vite contro l’abuso delle collaborazioni autonome “a progetto” nei call centre, dato mediante l’emanazione della circolare del ministro del Lavoro n. 17/2006, che è essenzialmente fondata su di una applicazione rigorosa di quanto disposto su questa materia dalla stessa legge Biagi.
Non è il caso di riconoscere onestamente che quella legge non ha favorito e non favorisce affatto il lavoro precario e che il dualismo del nostro mercato del lavoro affonda le sue radici nell’assetto istituzionale che il mercato stesso è venuto assumendo molto prima della XIV legislatura, lungo l’arco dell’ultimo quarantennio?
2. La stabilizzazione ope legis di molte decine di migliaia di lavoratori precari nel settore pubblico, che si sta preparando in questi giorni, non accompagnata da alcuna misura volta a rimuovere le cause strutturali di quel dualismo – che nel settore statale è particolarmente marcato per la maggiore rigidità e amovibilità degli addetti – non rischia di rendere ancora più difficile l’accesso al lavoro stabile in questo settore per le generazioni future?

“Amministrazione pubblica di qualità” e “rilancio dell’impiego pubblico”

1. Sul piano della negoziazione collettiva delle condizioni di lavoro nel settore pubblico il primo anno del nuovo governo non è stato particolarmente brillante, né coerente con queste due enunciazioni contenute nel programma elettorale. Come intende il governo assicurare che una parte consistente dell’aumento di spesa preventivato per il rinnovo dei contratti degli statali sia destinato davvero a premiare l’efficienza e la produttività individuali e collettive?
2. Quali iniziative il governo intende adottare per favorire il radicamento della cultura della valutazione e della misurazione dell’efficienza e della produttività nelle amministrazioni pubbliche?
3. Uno dei mali peggiori delle nostre amministrazioni pubbliche consiste nell’obliterazione di fatto delle prerogative della dirigenza: in particolare, del potere di organizzazione e trasferimento del personale e del potere disciplinare (le sanzioni disciplinari sono ridotte a improbabili pene accessorie che scattano soltanto in seguito alle condanne penali). Non è il caso di restituire alle amministrazioni pubbliche la necessaria reattività, sul piano organizzativo ma anche su quello disciplinare, rispetto alle disfunzioni gravissime che vengono denunciate ormai quotidianamente?

3.1. Può considerarsi congruo con questo obbiettivo il riconoscimento del carattere necessariamente “consensuale” del trasferimento del dipendente pubblico, contenuto nel Memorandum firmato da governo e sindacati il 18 gennaio scorso?
3.2. – Può considerarsi congrua l’unica iniziativa adottata dal governo in materia di ripristino della necessaria severità disciplinare nei confronti dei dipendenti, consistente nel ridurre da tre a due anni l’entità della condanna penale del dipendente pubblico cui può conseguire il licenziamento disciplinare? È giusto che un impiegato pubblico conservi il posto anche se condannato (purché a meno di due anni) per reati contro l’amministrazione pubblica?

Sistema delle relazioni sindacali

Nel programma dell’Unione si prevede che siano imprenditori e sindacati a decidere i contenuti della riforma della struttura della contrattazione collettiva e la corrispondente riforma della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro. Senonché da ormai tre anni la trattativa fra le parti sociali su questo terreno è totalmente bloccata. Nel frattempo si è aggravata la crisi del sistema delle relazioni sindacali: è ormai normale che un contratto collettivo nazionale venga rinnovato con mesi o anni di ritardo rispetto alla scadenza, soprattutto (ma non solo) nel settore pubblico e nei vari comparti dei servizi pubblici, anche a causa dell’evidente sovraccarico di funzioni determinatosi sulla contrattazione di livello nazionale. Il governo è intenzionato a svolgere un ruolo propulsivo nei confronti delle parti sociali, come lo fece nel 1992 e nel 1993? Se sì, quali sono le linee essenziali della riforma che intende promuovere? Oppure il governo intende astenersi da qualsiasi iniziativa su questo terreno?

Aspettando la riforma organica delle imposte dirette

Lotta all’evasione

Il programma di governo del centrosinistra, per la parte relativa al fisco, indicava come priorità “la lotta all’evasione, all’elusione e all’erosione”. Coerentemente, è stato attuato, con il decreto di luglio 2006 e con la Finanziaria 2007, un ampio insieme di norme volte, ad esempio, ad ampliare le informazioni messe a disposizione dell’amministrazione finanziaria, a rafforzare la potestà e l’attività di controllo, di accertamento e di sanzione da parte dell’Amministrazione finanziaria, a prevenire o contrastare specifiche attività finalizzate all’evasione fiscale, soprattutto nel campo dell’Iva, a potenziare gli studi di settore. Si tratta di norme tecnicamente complesse, la cui efficacia e proporzionalità, tenendo conto degli oneri di adempimento posti a carico dei contribuenti e di soggetti terzi, non sempre è stata adeguatamente valutata, tanto che in alcuni casi sono stati necessari aggiustamenti e correttivi. I risultati di queste azioni andranno attentamente monitorati.

Il cuneo fiscale per le aziende

L’ipotizzata riduzione del cuneo fiscale sul costo del lavoro è stata effettuata, per la componente a carico del datore di lavoro, operando sull’Irap e articolando la misura in modo coerente con gli obiettivi indicati dal programma: incoraggiare l’assunzione di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, favorire l’occupazione nelle zone depresse del paese, sostenere i livelli salariali delle fasce più deboli. L’esclusione di banche, assicurazioni e public utilities ha concentrato l’intervento sulle imprese maggiormente esposte alla concorrenza internazionale, ma ha aperto un contenzioso con la Commissione europea non ancora risolto.

Riforma Irpef

La volontà di ridurre anche la componente del cuneo a carico dei lavoratori ha portato a un intervento di riforma dell’Irpef, che ha interessato il disegno delle aliquote, la trasformazione delle deduzioni per carichi di famiglia e redditi di lavoro in detrazioni, e il ridisegno degli assegni familiari. Si è trattato di un intervento redistributivo, che ha modificato di poco il peso complessivo dell’Irpef, in aggregato.
Nonostante sia molto più numerosa la platea dei contribuenti avvantaggiati dalla riforma rispetto a quelli che pagheranno di più (stando ai dati delle dichiarazioni circa il 5 per cento, con redditi superiori ai 40mila euro), la riforma ha prodotto una diffusa insoddisfazione, che ne ha adombrato i lati positivi. Soprattutto, non ha risolto il problema degli incapienti (ossia di coloro che hanno redditi così bassi da non poter beneficiare delle detrazioni) e non ha aggredito, se non marginalmente, il nodo, sottolineato dal programma “della universalità del diritto a ricevere contributi alle responsabilità familiari, anche se in modo selettivo rispetto al reddito e alle condizioni economiche”. Gli assegni familiari continuano a essere riconosciuti ai soli lavoratori dipendenti, è ancora scarso il coordinamento fra detrazioni fiscali per carichi di famiglia e trasferimenti monetari alle famiglie, non è a regime un’adeguata prova dei mezzi, con riferimento al nucleo familiare. Le questioni più importanti restano pertanto aperte.

Tassazione delle rendite finanziarie

Il programma del centrosinistra prevedeva la riforma della tassazione delle rendite finanziarie e la revisione del prelievo sul reddito di impresa, opportunamente coordinate fra di loro. Entrambi i terreni sono stati oggetto di studio di apposite commissioni ministeriali. La proposta di uniformare le aliquote della tassazione dei redditi finanziari a un livello intermedio fra le attuali aliquote del 12,5 e del 27 percento, promossa dal governo, ha però subito una battuta d’arresto in sede parlamentare, per divergenze anche all’interno della maggioranza, portando a una riformulazione del disegno di legge delega che si occupa ora di rendere il prelievo più omogeneo, sia pure senza, in prima istanza, intervenire sulle aliquote. Le proposte sulla tassazione del reddito di impresa sono al momento ancora in fase di elaborazione. Esse dovrebbero comunque basarsi su quanto è emerso dall’ampio lavoro di consultazione delle categorie interessate effettuato dalla commissione ministeriale, e che ha costituito una importante innovazione di metodo ai fini di impostare ipotesi di riforma.

Tassazione redditi immobiliari

Un altro terreno aperto è quello della tassazione dei redditi immobiliari.
Il programma prevedeva “una rivisitazione complessiva del sistema delle detrazioni fiscali, rivedendo le agevolazioni fiscali a favore del libero mercato e, contemporaneamente, incrementando la detassazione degli affitti a canone concordato” e “un intervento sulla fiscalità della casa che penalizzi lo sfitto, anche ai fini di un vero contrasto al canone nero e di una diversa modulazione dell’Ici”, da attuarsi congiuntamente alla revisione degli estimi catastali.
Queste proposte, originariamente inserite in un ampio piano di intervento per risolvere il problema “casa”, posto anche di recente fra le priorità di governo, non si sono ancora concretizzate in un disegno normativo, se non per quanto riguarda la revisione degli estimi catastali contenuta in un disegno di legge delega presentato dal governo. Permangono invece visioni diverse all’interno della maggioranza, anche in contrasto con gli impegni del programma, come la proposta di portare gli affitti percepiti anche sul libero mercato fuori dall’Irpef, assoggettandoli a un’aliquota del solo 20 per cento e di abolire o ridurre fortemente l’aliquota dell’Ici sulla “prima casa”.

Commento

Nel complesso il governo si è fino ad ora mosso in linea con il programma, ma alcune scelte particolarmente importanti, soprattutto per quanto riguarda il disegno delle imposte dirette, restano ancora da compiere. Il rischio è che la forte crescita delle entrate, in parte imprevista, alimenti, prima ancora di consolidarsi, le più disparate promesse di sgravi fiscali, portando a provvedimenti non sufficientemente meditati. È invece necessario che i margini di intervento che si aprono vengano prioritariamente utilizzati per portare a termine una riforma organica e compiuta, e quindi auspicabilmente più stabile, dell’imposizione diretta.

Giustizia, lo scoglio di una maggioranza risicata

Il programma

Il programma elettorale dell’Unione dedicava ampio spazio alla giustizia preannunciando riforme radicali, con l’obiettivo di intervenire sull’organizzazione della giustizia e di ridurre i tempi dei processi. Dopo i primi 12 mesi, che cosa è stato fatto?

Sospensione riforma Castelli

In una prima fase il ministro Mastella si è dedicato, peraltro con discreto successo, a migliorare le relazioni con la magistratura, piuttosto tese con la precedente maggioranza di centro-destra. È una strategia che si cerca di perseguire anche con gli altri protagonisti del sistema giudiziario: per il prossimo ottobre è annunziata un’assemblea nazionale sulla Giustizia.
In termini di politica legislativa, come promesso nel programma, il governo si è mosso innanzitutto per modificare la riforma dell’ordinamento giudiziario varata dalla precedente maggioranza alla vigilia delle elezioni politiche. Si è così arrivati, nell’ottobre dell’anno scorso, alla sospensione della parti più controverse della riforma Castelli, quelle sulla carriera. Si è dovuto però aspettare marzo 2007 perché il governo presentasse un disegno di legge di riforma alternativo, attualmente in discussione alla commissione Giustizia del Senato.

Riforma per una giustizia più rapida

Negli ultimi mesi, il vigore riformista del governo si è sviluppato anche su altri fronti. Sempre in marzo, è stato approvato un Ddl di riforma del processo civile che rafforza i poteri del giudice e semplifica alcune procedure, il tutto per cercare di migliorare l’efficienza, accorciando i tempi. In aprile, un analogo Ddl è stato varato in campo penale, con misure che vanno dall’allungamento dei termini di prescrizione – che il precedente governo aveva accorciato – a una riforma dei ricorsi per cassazione: anche in questo caso si tratta di misure volte ad accelerare il funzionamento della macchina giudiziaria.
Infine, pochi giorni fa il consiglio dei ministri ha approvato un altro Ddl che istituisce “l’ufficio per il processo” e che rende obbligatorio il processo civile telematico a partire dal 2010. Si tratta di misure che intendono rafforzare l’organizzazione degli uffici giudiziari, anche attraverso l’assunzione di nuovo personale, e che puntano molto sulla diffusione dell’informatica, anche in questo caso per rendere più rapido il processo. L’obiettivo del governo è quello di arrivare, in campo civile, a garantire una durata massima del processo, in tutte le sue fasi, di cinque anni.

Commento

Diversi progetti di riforma sono dunque in cantiere, bisogna però tenere conto del fatto che si tratta di iniziative avanzate in forma di Ddl e che perciò devono essere tutte approvate dal Parlamento, dove il governo non dispone oggi di una solida maggioranza. Quale risultato concreto produrranno perciò è difficile prevedere. Ad esempio, è molto difficile che l’approvazione della riforma dell’ordinamento giudiziario non incontri difficoltà e possa perciò essere definitivamente approvata prima del 31 luglio, che è la data limite della sospensione della riforma Castelli. In tal caso si renderebbe necessaria una nuova sospensione, oppure una soluzione attraverso il compromesso con l’opposizione, cosa non facile dati gli orientamenti piuttosto differenti di centrosinistra e centrodestra in tema di giustizia.
In altre parole, le riforme sono sulla carta, ma tempi e contenuti di quanto verrà effettivamente varato sono ancora incerti.

Disciplina dei mercati finanziari, manca il disegno generale

Il programma di governo della coalizione di centrosinistra prevede numerosi interventi nel campo della disciplina dei mercati finanziari con l’obiettivo di rafforzare la fiducia dei risparmiatori “nei mercati in cui investono i loro risparmi”. Questi interventi si intrecciano con alcune proposte di modifica del diritto societario nell’ambito di “una politica industriale per far crescere le imprese”.

Riassetto delle Autorità

La proposta più importante è, tuttavia, contenuta nella parte generale del programma dedicata al “valore delle istituzioni repubblicane” e riguarda la riorganizzazione e semplificazione dell’assetto delle Autorità preposte al controllo del sistema finanziario.
Il governo ha presentato in Parlamento un disegno di legge che effettivamente razionalizza le competenze in materia, suddividendole in base alle finalità che le singole Autorità perseguono, e concentrando tutti i poteri di vigilanza sulla stabilità in capo alla Banca d’Italia e sulla trasparenza in capo alla Consob. Tuttavia il progetto, che al momento sembra fermo in Parlamento anche per resistenze interne alla maggioranza, presenta alcuni aspetti critici, ad esempio con riferimento al ruolo del ministero del Tesoro, che dovrebbero essere chiariti.

Regolamentazione operatori

Per quanto riguarda la regolamentazione degli operatori si fanno numerose e specifiche proposte tra le quali:

a) imporre agli amministratori delle società quotate criteri di professionalità
b) limitare i patti di sindacato a questioni proprietarie e non gestionali
c) aumentare la trasparenza nell’offerta dei servizi finanziari
d) imporre una rigorosa separazione societaria, anche nell’ambito dei gruppi bancari, per la fornitura dei vari servizi finanziari non tradizionali
e) vietare agli analisti finanziari di gruppi bancari di offrire un servizio di valutazione sui titoli dai gruppi posseduti
f) vietare per il periodo di un anno al gruppo bancario di vendere all’investitore non professionale azioni di società delle quali ha curato la ristrutturazione o la collocazione di titoli sul mercato
g) definire più rigorosi limiti quantitativi ai finanziamenti delle banche ai propri azionisti
h) quotare la Borsa Italiana
i) ridurre lo scalino normativo tra società quotate e non quotate.

Commento

Di alcune di queste proposte (quella sui sindacati azionari) si è persa traccia, altre (ad esempio l’incremento della trasparenza nei servizi finanziari o i limiti più stringenti al finanziamento di azionisti delle banche) hanno in parte trovato accoglienza in alcuni provvedimenti già approvati (la legge sul risparmio e il successivo decreto correttivo) o in corso di approvazione (le norme di recepimento sulla Mifid).
Quello che comunque e con tutta evidenza, manca, è un disegno generale di riforma della disciplina del mercato finanziario che anche alla luce degli obblighi comunitari, si pensi soltanto al recepimento della direttiva sulle Opa, conduca ad un riordino complessivo di una normativa che corre il rischio di apparire eccessivamente frammentata e al continuo “inseguimento” dell’attualità.
In questo contesto, potrebbe trovare spazio anche una seria e non estemporanea riflessione su tutte le misure necessarie per, sono sempre parole del programma di governo, “incidere sulle forme di chiusura proprietaria come gruppi piramidali, accordi e patti di sindacato”.
Infine, si segnala un altro provvedimento proposto, quello relativo all’introduzione nel nostro ordinamento dell’azione collettiva risarcitoria (la class action) tuttora all’esame del Parlamento.

Il codice delle autonomie non basta

Federalismo fiscale e riforme istituzionali

Il programma di governo del centrosinistra poneva tra i suoi punti qualificanti la introduzione del federalismo fiscale, cioe’ la attuazione dell art. 119 della costituzione, e il completamento delle riforme istituzionali degli anni 90, con la riduzione del numero dei parlamentari e la specializzazione funzionale delle due camere, con la trasformazione del Senato in una camera regionale, o una camera delle regioni. A tutt’oggi si e’ visto pochissimo, nonostante le varie promesse. E se per le riforme istituzionali, correttamente, il programma rimandava ad un rapporto con l’opposizione e a riforme bipartisan, per cui la responsabilita’ puo’ essere condivisa con l’opposizione, non cosi’ per il federalismo fiscale e l’attuazione dell’art.119. Questo e‘ tanto piu’ preoccupante e sorprendente, quanto la manovra di bilancio per il 2007, di successo in merito al controllo dei conti, si e’ largamente basata sull’apporto degli enti locali, a cui sono stati richiesti i maggiori sacrifici.

Riorganizzazione dei governi

Il governo ha varato una legge delega sulla riorganizzazione dei rapporti dei governi, con il cosiddetto codice dell’autonomie, e ha iniziato un processo di revisione dei rapporti finanziari tra governi, con la previsione di una legge delega sul federalismo fiscale. La legge delega sull-art.119, promessa piu’ volte dal governo, non ha pero’ mai visto la luce e se ne sono perse le tracce. Per quanto riguarda il codice delle autonomie, un punto qualificante di questo doveva essere rappresentato da una riorganizzazione delle funzioni per livello di governo, allo scopo di semplificare e rendere piu’ efficiente l’azione dei governi locali superando la frammentazione eccessiva che caratterizza gli attuali enti locali. A questo fine una delle previsioni del codice era il blocco dell’introduzione di nuovi livelli di governo finche’ non fosse stata chiara la soluzione definitiva ai problemi di allocazione di funzioni e risorse. Eppure, nuove province sono state introdotte anche con la recente finanziaria, in contrasto con i principi della stessa legge delega e le dichiarazioni dei ministri responsabili.

Federalismo fiscale

La nostra Costituzione prevede esplicitamente un coinvolgimento dei governi locali nella determinazione della manovra finanziaria per l’anno, in particolare per le funzioni sotto il loro diretto controllo. Il coordinamento della finanza pubblica, non a caso, e’ attribuito dalla costituzione vigente, al regime delle funzioni concorrenti tra Stato e Regioni. Sul piano del metodo, questo non e’ avvenuto: ancora una volta gli enti locali sono stati trattati come controparti dello stato, cosi’ come le organizzazioni private, piuttosto che come una parte dello stato. Sul piano del merito, i nuovi patti di stabilita interna, in linea con quello europeo, sono passati da controlli sulla spesa a controlli sui saldi, ma non sono stati rivisti in modo sistematico gli strumenti finanziari offerti a livello locale per svolgere questa funzione, creanda non pochi problemi allo stessa governo.
Questo e’ preoccupante anche alla luce dei fenomeni di soft budget constraint che ancora influenzano i comportamenti locali. I debiti finanziari del Lazio, per una cifra complessiva attorni ai 10 mld di euro, sono stati di fatto ripianati dal governo centrale. Quali meccanismi si prevedono per evitare nel futuro comportamenti simili? Cosa impedisce l’innescarsi di nuovi meccanismi di irresponsabilita’ finanziaria per gli enti locali in futuro?

Riforme istituzionali

Il programma di governo prevedeva la modifica del bicameralismo perfetto e la specializzazione funzionale delle due camere. Si tratta di un punto essenziale per la stabilita’ dei governi futuri: il governo Prodi non avrebbe i problemi che ha se questa operazione fosse gia’ stata fatta in passato. Paradossalmente, centro destra e centro sinistra sono perfettamente d’accordo su questo punto; la riforma costituzionale del centro destra, criticabile su molti altri aspetti, gia’ questo esplicitamente prevedeva. Eppure, nessun percorso e’ iniziato su questo punto. La materia e’ in discussione alla Commissione affari istituzionale e sembra li’ bloccata. Un’azione politica seria da parte del governo su questo fronte e’ interamente mancata. Cosa intende fare il governo in futuro su questo tema?

Lavori in corso su energia e ambiente

Quello dell’energia e dell’ambiente è un fronte molto ampio e assai variegato che abbraccia molti ambiti. Il programma elettorale del centrosinistra rifletteva questo fatto: dedicava molto spazio a tali temi e assumeva di conseguenza importanti impegni.

Il programma era centrato su tre principi: l’impatto sul clima, la sicurezza degli approvvigionamenti, l’assetto istituzionale.
Per attenuare l’impatto sul clima dell’utilizzo dell’energia, il governo di centrosinistra si proponeva di ridurre l’impiego di combustibili fossili e comunque di incidere sul loro mix, privilegiando il gas naturale nella generazione elettrica. Nei trasporti l’obiettivo del clima doveva essere raggiunto con un riequilibrio delle modalità di trasporto (a favore della rotaia e del trasporto collettivo), l’uso dei biocarburanti e l’incremento degli standard di efficienza dei mezzi di trasporto. Nell’industria e nei servizi si sottolineava l’incentivazione dell’innovazione tecnologica in direzione dell’efficienza energetica. Nel settore civile infine si attirava l’attenzione sugli standard energetici degli edifici, sui sistemi di riscaldamento e raffreddamento, sui sistemi di illuminazione e sugli elettrodomestici.
Per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti si puntava su un maggior ricorso alle fonti rinnovabili e all’uso efficiente dell’energia, la realizzazione dei rigassificatori già autorizzati, la costruzione di nuovi gasdotti. Si intendeva anche operare un rafforzamento della rete di distribuzione interna e una maggiore concorrenza sui mercati di elettricità e gas.|
Quanto all’assetto istituzionale si prometteva un revisione dei poteri dell’Autorità per l’energia, una riforma della tariffa sociale dell’elettricità, una revisione del sistema di incentivazione delle fonti rinnovabili, un rinnovato impulso all’attività di ricerca, dell’Enea, ma anche di centri di eccellenza, da istituire, per studi nel settore energetico e ambientale, la realizzazione di un programma energetico-ambientale con la costituzione di un consiglio superiore per l’energia e un’Agenzia nazionale per l’energia e per l’ambiente.

La Finanziaria e le misure per l’ambiente

Non tutte le promesse sono state finora realizzate, ma molto ha fatto il governo in questo primo periodo di attività. La legge Finanziaria 2007 ha previsto un’ampia serie di misure che spaziano dalla riqualificazione degli edifici all’efficienza dei motori elettrici impiegati nell’industria, a provvedimenti sul parco automobilistico, agli incentivi al sistema agroenergetico (biocarburanti) fino all’istituzione di un fondo “Kyoto” per favorire misure di riduzione delle emissioni di gas-serra. In aggiunta a queste norme, si incentiva il solare fotovoltaico, si potenziano i certificati bianchi (i cosiddetti titoli di efficienza energetica), si rafforza il meccanismo di incentivazione delle fonti rinnovabili rivedendo i cosiddetti certificati verdi e modificando il famigerato meccanismo Cip6 della bolletta elettrica, si incentiva la cogenerazione e si dà impulso alla bioedilizia.
Il governo ha poi lanciato il “primo progetto di innovazione industriale sull’efficienza energetica” volto a fare nascere e prosperare una ecoindustria nazionale attraverso il finanziamento di progetti di innovazione in campo energetico-ambientale. È stato rivisto il cosiddetto codice ambientale, si stanno prendendo provvedimenti di tutela delle fasce deboli in vista della prossima apertura del mercato elettrico, si sono assunti obiettivi di raccolta differenziata dei rifiuti. Ed altro.

Le emergenze: rifiuti e approvvigionamento gas

Se è vero che, in linea di principio, vi è ancora parecchio tempo fino alla scadenza della legislatura, e quindi vi è ancora ampia possibilità per realizzare il programma elettorale, sussistono tuttavia delle emergenze che ci accompagnano e rispetto alle quali un segnale di forte discontinuità non appare essere stato dato. Una di queste è l’emergenza rifiuti: vi è chiaramente qualcosa che non funziona, non può essere solo il risultato della sindrome Nimby, rispetto alla quale le attuali regole istituzionali vanno forse ripensate, un intervento strutturale organico è necessario.
Un’altra emergenza che quest’anno non è stata tale, ma potrebbe esserlo di nuovo il prossimo inverno, è la sicurezza degli approvvigionamenti di gas (prima ancora che di petrolio). Ora che il presidente russo Putin appare alzare il livello della contrapposizione con l’occidente, ora che una Opec del gas è un’eventualità meno vaga che in passato, ci vogliono più di prima provvedimenti decisi a favore di una diversificazione geografica delle forniture. I promessi incentivi ai rigassificatori non sembrano ancora avere sortito granché ed entrano in gioco problematiche simili a quelle dei rifiuti, dal meccanismo perverso delle opposizioni locali agli episodi di malcostume e di criminalità.

In ritardo sul clima

Ma soprattutto incombe su di noi l’emergenza clima. Qui va dato un segnale forte, che ancora dal governo non è venuto. È arrivata invece una bocciatura del piano di allocazione per il secondo periodo dello schema europeo di scambio dei permessi di emissione, l’Eu-Ets, in quanto troppo generoso. Siamo in buona compagnia: la Commissione europea ha respinto i piani di una ventina di paesi membri. Ma non è stato un buon segnale il disaccordo tra i due ministri competenti, con uno dei due smentito dalla Commissione e che è finito per passare per il sostenitore degli interessi dell’industria energivora ed emittiva.|
Il programma dell’Unione affermava testualmente che l’80 per cento della prevista riduzione di emissioni proverrà da misure domestiche. Conteneva inoltre l’obiettivo di raddoppiare, durante la legislatura, la quota di impiego di fonti rinnovabili nella produzione di elettricità. Nel frattempo, si sono aggiunti gli impegni assunti nel Consiglio europeo dell’8-9 marzo scorso, con il famoso “20-20-20”. Si sono dunque sommati a promesse elettorali impegni vincolanti che già oggi molti bollano come assai difficili, se non impossibili, da mantenere. Un recente studio dell’istituto tedesco di statistica (1) avanza un’ipotesi di burden sharing, su come ripartire cioè l’onere europeo di riduzione del 20 per cento entro il 2020 delle emissioni di gas-serra rispetto al 1990: sostiene che una ripartizione equa richiederebbe che l’Italia riducesse le proprie emissioni del 23 per cento.

Commento

Appare chiaro che il governo italiano deve al più presto mostrare una determinazione senza precedenti nell’affrontare il problema, in mancanza della quale si prospetta il rischio di uno sforzo finanziario massiccio a carico del bilancio pubblico o direttamente delle tasche dei cittadini quando la cambiale europea o quella di Kyoto saranno giunte a scadenza.

(1) DIW Wochenbericht n. 18/2007.

I nodi della concentrazione

Il programma

Il programma dell’Unione dedicava ampio spazio ai problemi del pluralismo e dell’informazione, con particolare attenzione al settore cruciale della televisione. Riguardo agli assetti complessivi di questo comparto, il programma auspicava un superamento della legge Gasparri con il varo di misure in grado di ridurre la concentrazione nei singoli mercati, e in primo luogo in quello della raccolta pubblicitaria, e di contrastare l’emergere di posizioni dominanti tra i diversi segmenti dei media. Meno esplicito era il programma con riferimento alla situazione della Rai, dove affermando l’importanza di rafforzare in una logica di gruppo la missione di servizio pubblico non veniva affrontato il problema della privatizzazione di una parte delle reti, e di una netta distinzione tra attività finanziate dal canone e attività finanziate dai proventi pubblicitari.

 

Le attività del governo

 

Il governo ha affrontato il riassetto del settore televisivo principalmente attraverso due disegni di legge a firma del Ministro Gentiloni. Nel primo viene affrontata la situazione dei mercati televisivi e della loro transizione al digitale. Due sono le novità più importanti nella proposta del governo. La migrazione anticipata (2009) di due canali, uno Rai e uno Mediaset, in tecnica digitale prima del passaggio completo (2012) delle trasmissioni al digitale terrestre; la fissazione di un limite del 45% alla raccolta pubblicitaria in capo a un singolo soggetto, misura che andrà ad incidere sulla posizione dominante di Mediaset in questo settore.
Riguardo alla governance della Rai il Ministro Gentiloni ha presentato un disegno di legge che prevede, su modello della BBC inglese, la creazione di una Fondazione con compiti di indirizzo e impulso, inclusa la nomina degli amministratori, nei confronti della holding Rai Spa, cui è demandata la gestione operativa. L’articolazione della holding prevede tra le altre la separazione in società diverse delle attività finanziate con il canone e quelle finanziate con pubblicità, senza tuttavia identificare queste diverse attività in canali distinti.

 

Commenti

 

Abbiamo commentato a suo tempo come queste due misure vadano ad incidere sul problema cruciale della concentrazione degli ascolti che caratterizza la situazione italiana, riducendo direttamente (tetti antitrust) e indirettamente (minore audience potenziale del digitale) la capacità di raccolta pubblicitaria e quindi le possibilità di investire nei palinsesti dei due gruppi maggiori, liberando risorse per i nuovi entranti. Pur condivisibile nella sua impostazione, questo disegno di legge appare tuttavia poco incisivo, dal momento che la migrazione anticipata al digitale di due reti crea una finestra temporale di un triennio, troppo breve perché nuovi gruppi televisivi trovino conveniente investireprima del ritorno al dominio dei gruppi multicanale che si ricostituirà con il passaggio completo al digitale. Gli stessi strumenti per applicare concretamente il divieto di superare la soglia del 45% nella raccolta pubblicitaria appaiono poco incisivi vista la situazione di partenza. Nel disegno di legge Gentiloni sul riassetto del settore televisivo si riscontra quindi una impostazione condivisibile ma soluzioni timide e poco incisive rispetto, ad esempio, all’opzione di cedere una rete a testa da parte di Rai e Mediaset.
Per quanto riguarda la Rai, il modello di governance appare potenzialmente in grado di allentare i forti condizionamenti politici nella gestione del servizio pubblico. Rimane tuttavia confermata la logica unitaria che non distingue canali di servizio pubblico e canali commerciali ma solamente tra attività di diversa natura all’interno di una programmazione unitaria. Questa reticenza rende quindi arduo il percorso che potrebbe portare al mantenimento in mano pubblica della/e sola rete con contenuti di servizio pubblico privatizzando le altre.
In conclusione, il Governo ha presentato disegni di legge coerenti con il programma annunciato e in tempi complessivamente ragionevoli. Le luci e ombre che segnalavamo nel programma dell’Unione in materia televisiva sembrano in gran parte riproporsi anche guardando ai disegni di legge del Governo.

Conflitto di interessi: la strada è quella

Il Programma

Il programma dell’Unione (p.18) indicava le linee guida su cui intervenire per modificare radicalmente la normativa introdotta nella precedente legislatura: revisione del regime di incompatibilità, istituzione di un’apposita autorità garante, obbligo di trasferire le attività patrimoniali ad un blind trust.

L’attività del Governo

Il testo del disegno di legge attualmente in discussione in Commissione Affari Costituzionali della Camera risulta coerente con queste indicazioni. Si applica ai componenti di governo, ai commissari straordinari e anche agli amministratori locali. In linea generale prevede un regime di incompatibilità con le cariche di governo (ma non di ineleggibilità al Parlamento), il dovere di astensione e separazione degli interessi attraverso la vendita o l’istituzione di un trust (gruppo di imprese soggette ad unità di direzione). E’ prevista inoltre l’istituzione di un’apposita Autorità composta da 5 componenti indicati dalle due Camere e in carica per 7 anni, a cui i soggetti sottoposti a controllo dovranno inviare dettagliate informazioni sul proprio patrimonio e la propria posizione nelle attività economiche. I soggetti sottoposti a questa disciplina e con un patrimonio superiore ai 15 milioni di euro dovrà affidare il proprio patrimonio in gestione a un blind trust senza la possibilità di conoscere come questo venga investito.

Commento

Il testo del disegno di legge appare sicuramente più incisivo rispetto alla precedente legge. Nella regolazione del conflitto di interessi sono possibili due strade: il controllo ex-post degli atti del governo e i vincoli di incompatibilità ex-ante tra cariche di governo e posizione economica. La legge precedente aveva seguito sostanzialmente il primo approccio definendo un quadro di controlli inefficace e coinvolgendo nell’attività di verifica una autorità, l’Autorità Antitrust, per sua natura estranea alle problematiche trattate. Il disegno del Governo si pone in linea con la gravità del problema nel contesto italiano e, se giungerà in questa forma all’approvazione finale, assicura un intervento più efficace.

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