Molti contratti collettivi prevedono che la contribuzione del datore di lavoro sia vincolata all’adesione del lavoratore ad un fondo chiuso. E che sia interrotta se il lavoratore decide di trasferire i capitali accumulati o il Tfr a un fondo diverso. E’ auspicabile che il legislatore intervenga per vietare clausole simili. Si dovrebbe anche imporre ai gestori dei fondi chiusi di accettare adesioni dalla generalità dei lavoratori e non solo dagli appartenenti alla categoria. Crescerebbe la possibilità di scelta e la concorrenzialità del sistema. La normativa sulla previdenza complementare garantisce ai lavoratori la possibilità di scegliere diverse forme di investimento di somme da accantonare a scopo previdenziale. Il legislatore ha previsto la possibilità di aderire a fondi comuni d’investimento istituiti dagli operatori finanziari, i cosiddetti “fondi aperti”, e ha permesso a gruppi di lavoratori (per esempio, quelli di unazienda o di una determinata categoria) di accordarsi mutualisticamente per destinare le somme a fondi creati appositamente, i fondi “chiusi”, o “negoziali”. Inoltre, la legge contempla una (limitata) libertà di trasferire fondi, esercitabile a due anni dall’adesione, oppure dopo il trasferimento a un diverso impiego. Gli accordi negoziali limitano la scelta del lavoratore La libertà di scelta è stata però in parte limitata dalla maggioranza degli accordi collettivi di lavoro, che hanno introdotto importanti restrizioni al contributo versato dai datori di lavoro. Il contributo è, a tutti gli effetti, una forma di compensazione che tutti i lavoratori vincolati dal contratto devono poter ricevere. I contratti lo prevedono allo scopo di sfruttare un vantaggio fiscale indicato dalla legge. Chi vince e chi perde con queste clausole? Gli esempi citati rispecchiano la generalità degli accordi negoziali (3), che non sempre sembrano essere stipulati a vantaggio del lavoratore. Da un lato, gli accordi sfruttano i vantaggi fiscali della previdenza complementare prevedendo che parte della compensazione avvenga sotto forma di contributo del datore di lavoro al fondo pensione. Dall’altro, limitano considerevolmente la possibilità di scelta del lavoratore, rendendo conveniente in certi casi la rinuncia al contributo del datore di lavoro. E il lavoratore si trova così di fronte a un dilemma di difficile soluzione. Alcune semplici riforme Si noti che la legge non esclude che il datore di lavoro possa contribuire anche a versamenti a fondi aperti. Prevede anzi una varietà di destinazioni possibili per le somme destinate al Tfr. Tuttavia, in tutti gli accordi collettivi che conosco, il contributo del datore di lavoro viene conferito solo se il Tfr viene destinato al fondo chiuso. (1) Contratto collettivo nazionale di lavoro per i lavoratori addetti all’industria metalmeccanica dell’8 giugno 1999 art. 40 http://www.fiom.cgil.it/ccnl/industria/1999/Ccnl_industria_1999.pdf.
La possibilità di scegliere fra diverse forme di investimento e la libertà di trasferire fra esse i capitali accumulati è importante perché garantisce, in linea di principio, la concorrenzialità del sistema e, con essa, minori costi di gestione dei fondi e maggiori rendimenti per i lavoratori.
In particolare, la generalità degli accordi collettivi include: 1) clausole che vincolano la corresponsione del contributo del datore di lavoro alladesione del lavoratore al fondo chiuso, e al versamento ulteriore di una percentuale minima del salario oltre che dellintera somma destinata al trattamento di fine rapporto (Tfr); 2) clausole che obbligano il datore di lavoro a interrompere il versamento nel caso in cui il lavoratore decidesse di trasferire i capitali accumulati a un fondo aperto.
Il linguaggio usato da alcuni accordi collettivi non lascia dubbi sull’intento delle parti negoziali. Per esempio, il contratto collettivo dei lavoratori metalmeccanici prevede che il datore di lavoro contribuisca alla previdenza complementare l’1,2 per cento dello stipendio lordo, purché il lavoratore aderisca al fondo chiuso appositamente istituito, il fondo Cometa, e vi contribuisca un uguale importo, oltre al Tfr. L’articolo 40 del contratto (1) prevede quanto segue (in questa, e nelle citazioni che seguono, l’enfasi è mia):
“Lobbligo contributivo e di devoluzione del trattamento di fine rapporto, così come disciplinato ai commi precedenti, è assunto dalle imprese solo ed esclusivamente nei confronti dei lavoratori iscritti al Fondo“.
Ecco quanto stabilisce invece il contratto dei lavoratori delle imprese esercenti servizi di telecomunicazioni nell’istituire il fondo negoziale Telemaco (2):
“L’obbligo contributivo nei confronti del Fondo è assunto dalle aziende esclusivamente a favore dei lavoratori che abbiano la qualità di soci del Fondo stesso; la corrispondente contribuzione, pertanto, non sarà dovuta né si convertirà in alcun trattamento sostitutivo o alternativo anche di diversa natura, sia collettivo che individuale, a favore dei lavoratori che per effetto della mancata adesione non conseguano la qualità di soci del Fondo, ovvero la perdano successivamente“.
Lesistenza di queste clausole non è tuttavia difficile da spiegare. Implicano per le parti negoziali vantaggi che non corrispondono esattamente allinteresse dei lavoratori. La gerarchia sindacale, per esempio, partecipando alla gestione dei fondi negoziali, si assicura maggiori rendite proprio nei casi in cui i fondi possiedono un maggiore potere monopolistico, come quello implicitamente garantito dalle clausole che ho citato. È spiacevole notare come l’interesse dei lavoratori venga disatteso proprio dalle parti che dovrebbero rappresentarli. Il vantaggio dei datori di lavoro è facile da intuire: sono esentati dalla contribuzione nei casi in cui i lavoratori scelgano di aderire a una forma previdenziale complementare diversa dal fondo chiuso.
Anche il legislatore è, almeno in parte, responsabile dellesito scaturito dagli accordi negoziali. La legge istitutiva della previdenza complementare prevede proprio che i contratti possano limitare la scelta dei lavoratori (4):
“Nel caso in cui il lavoratore intenda contribuire alla forma pensionistica complementare e qualora abbia diritto a un contributo del datore di lavoro in base ad accordi collettivi, anche aziendali, detto contributo affluisce alla forma pensionistica prescelta dal lavoratore stesso, nei limiti e secondo le modalità stabilite dai predetti contratti o accordi”.
Il comma citato sembra avere scarso contenuto normativo: sembra a me ovvio che le parti possano accordarsi per stabilire quantità e forme contributive, purché rispettino la legge. Tuttavia, la frase evidenziata sembra aver fornito lo spunto agli autori degli accordi negoziali per introdurre le clausole di limitazione della libertà di scelta.
È auspicabile che il legislatore intervenga per vietare che la contribuzione del datore di lavoro venga vincolata all’adesione del lavoratore a una particolare forma previdenziale. Dovrebbe impedire anche che la contribuzione del datore di lavoro venga interrotta nei casi in cui il lavoratore decida di trasferire i capitali accumulati, o il Tfr, a un fondo diverso. Teoricamente, regolamentazioni che limitano la libertà contrattuale sono sconsigliabili dal punto di vista dell’efficienza. In questo caso, però, questa piccola riforma appare necessaria per proteggere i destinatari della previdenza complementare, i lavoratori, che raramente partecipano direttamente agli accordi stipulati per loro conto. Unulteriore riforma potrebbe imporre ai gestori dei fondi chiusi di accettare adesioni dalla generalità dei lavoratori, e non solo di quelli appartenenti alle rispettive categorie. Sarebbe un ulteriore vantaggio per tutti i lavoratori. Molti fondi chiusi infatti prevedono costi di gestione notevolmente inferiori a quelli previsti dai fondi aperti, almeno per lavoratori disposti ad aderirvi per un certo numero di anni. (5)
Questo fatto non nega la validità del mio ragionamento. Anzi, supponiamo che i minori costi di gestione dei fondi chiusi siano dovuti a speciali criteri di efficienza ignorati dagli operatori finanziari classici. “Aprire” i fondi chiusi aumenterebbe, per tutti, la possibilità di scelta e, con essa, una maggiore concorrenzialità del sistema garantendo a tutti i lavoratori la possibilità di aderire ai fondi meno costosi.
(2) Contratto collettivo nazionale di lavoro del 3 dicembre 2005 per le imprese esercenti servizi di telecomunicazione.
(3) Si veda anche la rubrica “Esperto risponde TFR” sul Sole 24Ore, http://tinyurl.com/3c3lcv, in risposta alla domanda “posso trasferire la posizione da un fondo pensione negoziale ad una forma pensionistica individuale?”.
(4) Articolo 8, comma 10, decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252,
(5) Per la generalità dei fondi negoziali, la maggior parte dei costi è caricata sul fondo attraverso una considerevole commissione all’entrata, il cui peso, nel corso degli anni, diminuisce sulla media annuale dei costi di gestione
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