Pur adottate nel 2005 con un decreto legge, e quindi con caratteristiche di necessità e urgenza, le norme sui requisiti di sistema in campo aereo restano lettera morta. Manca infatti la direttiva interministeriale sui criteri attuativi. Eppure la materia non è poi così complessa né si può invocare la scappatoia del problema della catena regolatoria, che pure esiste. Il risultato è il congelamento della delibera del 2000 che invece iniziava a dare i suoi frutti. E quando finalmente arriverà la direttiva, non sarà comunque immediatamente applicabile.

È del 30 settembre 2005 il decreto legge n. 203, convertito dalla legge n. 248/2005, che conteneva fra l’altro una serie di norme passate alla storia come “requisiti di sistema” in campo aereo.

L’urgenza e la necessità

Il decreto legge, si sa, è uno strumento eccezionale, il ricorso al quale è giustificato, a norma dell’articolo 77 della Costituzione, in “casi straordinari di necessità e urgenza“. Non intendo entrare qui nel merito della sussistenza o meno dei requisiti, salvo indovinare quello – sotterraneo ma sempre presente negli ultimi tempi – della straordinaria necessità e urgenza di porre mano al risanamento di Alitalia.
A venti mesi dalla sua emanazione le disposizioni contenute nel decreto legge sono rimaste pressocché totalmente lettera morta: la direttiva che i ministeri dei Trasporti e dell’Economia hanno con balda intraprendenza ritenuto necessaria per precisare i criteri attuativi della norma, è tuttora in lavorazione.
Da non giurista mi chiedo se, al di là della cosiddetta responsabilità politica, non esista anche una più tangibile responsabilità amministrativa cui dovrebbero – non so a chi – rispondere i (sempre cosiddetti) responsabili del “procedimento”, ammesso che siano individuabili. Infatti, delle due l’una: o la materia non rivestiva straordinaria necessità e urgenza, e allora il governo dell’epoca, il Presidente della Repubblica che aveva controfirmato il decreto e il Parlamento che ne aveva riconosciuto la sussistenza dei requisiti, sono stati corresponsabili di un uso costituzionalmente illegittimo di uno strumento eccezionale; oppure i requisiti c’erano, e allora quanti sono deputati ad applicare la norma andrebbero chiamati a rispondere delle proprie responsabilità. Ivi incluso il danno erariale: la situazione di stallo perpetua una fase che la legge introduce come strettamente transitoria, con oneri aggiuntivi a carico dello Stato destinati a cessare con l’attuazione della norma.

Complicazioni inutili

Ma la materia è veramente tanto complessa e intricata da richiedere ben oltre un anno e mezzo di elucubrazioni? Mi sentirei di rispondere di no.
Non entro qui nel merito della nuova normativa, che condisce buoni principi con più che discutibili applicazioni. Per certi versi i tempi lunghi della direttiva scontano quel peccato originale. Tuttavia, questo non può minimamente suonare a giustificazione, poiché le numerose stesure che hanno visto la luce a partire dalla approvazione della legge mostrano un affastellarsi di previsioni inutilmente complicate, non di rado contrastanti, talvolta frutto della “necessità” di quadrare il cerchio del consenso fra interessi inevitabilmente contrastanti. Tant’è che alla originaria finalità della norma, che era di ridurre gli oneri per gli utenti degli aeroporti, sembra sia progressivamente subentrata la preoccupazione di evitare che questi oneri si riducano “troppo”. A questo punto la sensazione è che gli estensori della direttiva abbiano perso il bandolo della matassa, come dimostrano gli ultimi rinvii della formulazione del parere da parte del Cipe.
Certo, si può sempre sostenere che la responsabilità non è individuale, ma è di una catena regolatoria così complessa da vedere la partecipazione di una pletora di soggetti scarsamente dialoganti, ciascuno geloso delle proprie prerogative e attento a trasferire sugli altri le proprie responsabilità.
Inutile nascondere che il problema esiste (a proposito, che fine ha fatto il disegno di legge sulla istituzione di una Autorità per i trasporti?), ma sarebbe una troppo facile scappatoia.

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Una riforma “congelata”

È sempre fastidioso, soprattutto per i destinatari, impartire lezioni, ma mi farò carico di questo onere. Nel 2000 mi è capitato di coordinare una commissione istituita dal ministro dei Trasporti, da cui è scaturita la riforma della regolazione delle tariffe aeroportuali, poi approvata dal Cipe con la delibera 86/2000: niente di rivoluzionario, contabilità separata dei costi, trasparenza, orientamento delle tariffe ai costi, obiettivi di produttività, price cap, eccetera. Sono stati chiamati a partecipare rappresentanti di istituzioni, di società aeroportuali e di compagnie aeree, rigorosamente contingentati nel numero, dicendo subito ben chiaro che non si trattava di concertazione, ma di consultazione. Nonostante vi sia stato nel frattempo un avvicendamento di ministri (da Tiziano Treu a Pier Luigi Bersani), nel giro di sei mesi la riforma è stata varata, è stata informalmente discussa con l’Autorità antitrust, ha passato il vaglio del Nars, è stata approvata dal Cipe: e si partiva da zero, intendo dire, da zero regolazione delle tariffe aeroportuali. E la catena regolatoria era precisamente la stessa di oggi. Certo, qualche compromesso è stato necessario, gli scontenti vi sono stati, ma credo sia stato percepito da tutti che l’equilibrio raggiunto era il più efficiente possibile nelle condizioni date e, soprattutto, rispettava corretti principi di regolazione tariffaria.
Nonostante la nuova direttiva mutui testualmente la massima parte dei principi della vecchia delibera, avendo dunque come finalità precipua quella di adattarli alle nuove disposizioni introdotte dalla legge sui requisiti di sistema, siamo ancora a questo punto. Risultato: la regolazione aeroportuale prevista dalla vecchia delibera del 2000 che, dopo qualche anno di ostruzionismo aeroportuale, stava cominciando a dare i suoi frutti (erano stati definiti dall’Enac i contratti di programma dei maggiori aeroporti italiani), è rimasta congelata. Trasparenza e orientamento al costo sono di là da venire, le compagnie aeree strepitano e così pure le società aeroportuali.
Va aggiunto che la direttiva (quando sarà) non sarà immediatamente applicabile, ma dovrà essere oggetto di “linee guida” da parte dell’Enac: in sostanza abbiamo una legge a cui seguirà una direttiva applicativa (che sospetto richiederà un decreto interministeriale di approvazione), la quale a sua volta rimanda a successive linee guida che a loro volta (prevede la direttiva – ahimé ancora in bozza) dovranno essere approvate dagli stessi ministeri estensori della direttiva medesima, previo parere del Nars. Insomma, un doppio giro di danza, affinché nulla, ma proprio nulla, possa sfuggire all’occhiuto regolatore, chiunque esso sia. Mi chiedo: non sarebbe stato più semplice saltare la fase intermedia, incaricando l’Enac di elaborare linee guida direttamente applicative della legge, per poi sottoporle al vaglio e alla approvazione del governo, sì da dare loro forza di direttiva?
Fa però piacere dare atto agli estensori della direttiva di una ripresa di efficienza. Sì, perché dopo venti mesi, per il momento, di gestazione, hanno perentoriamente fissato in 60 giorni il termine entro il quale l’Enac dovrà fare la sua parte, scaduto il quale – anticipata messa in mora del regolatore e mirabile esempio di senso delle istituzioni – saranno gli stessi ministeri a farsene carico: che almeno qualcuno sia efficiente, perbacco.

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