L’edizione di quest’anno del Festival dell’Economia di Trento è stata dedicata alla memoria di Riccardo Faini. E proprio al Festival è stata presentata una raccolta di scritti dell’economista recentemente scomparso, curata da Gianni Toniolo con Nicola Rossi. Il volume raccoglie prevalentemente articoli apparsi su lavoce.info e Il Sole 24Ore, ed è da pochi giorni in libreria con il titolo “Il mondo in rosso e nero”, edizioni Il Sole 24Ore, 200 pagine, 19 euro. Riportiamo qui alcuni stralci del discorso di commemorazione.

Si può dire di Riccardo partendo dalla sua passione per il Milan? Lo può fare anche uno come me che tifa solo quando gioca la nazionale, prendendo spunto dalla mail lasciata da un suo ex studente alla Bocconi, al sito degli studenti di Tor Vergata, riempitosi di ricordi e di rimpianti, sin dalle ore immediatamente seguenti la scomparsa di Riccardo. Il professor Faini “non sedeva mai dietro la cattedra, qualche volta ci si sedeva sopra a gambe penzoloni, più spesso si muoveva tra i banchi, in mezzo a noi. Tracciava alla lavagna i grafici macroeconomici, segnando lo stato di partenza in nero e le variazioni in rosso. Li chiamava grafici mondo e chiosava: “come vedete il mondo è rossonero”… Dire che il modo è rossonero sottende forse una metafora più profonda della vita di Riccardo. Il rosso e il nero sono colori assoluti, non facili da accostare. Possiamo intenderli come segno della polarizzazione della società, della politica, dell’economia. Riccardo era intimamente consapevole delle tensioni sociali che si celavano dietro i grafici asettici che tracciava alla lavagna. Sapeva bene che la loro eleganza e semplicità non esaurivano la complessità della vita reale. Complessità che sfidava il suo intelletto e lo stimolava a cercare di comprenderla con una molteplicità di strumenti dei quali la teoria economica era il principale ma non certo il solo. Complessità che, al tempo stesso, impegnava le sue qualità umane di ascolto e attenzione nel tentativo di smussarne i risvolti più inutilmente ruvidi. Il rosso e il nero: due colori polarizzanti come i giovani e i vecchi, gli accademici e i politici, gli italiani e gli immigrati, la cultura europea e quella americana: tutti poli tra i quali si muoveva con l’abilità innata che aveva di tessere rapporti, di creare sinergie, di mettere e tenere insieme.
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Inutile dire che le vite degli economisti sono di tanto diverse quanti gli economisti stessi. Possiamo però, semplificando al massimo, immaginare di dividerle in tre grandi gruppi. Una persona che compie studi rigorosi, fino al dottorato di ricerca in economia, ha due strade aperte davanti a sé: il lavoro di ricerca applicata presso imprese, banche, enti governativi, think tank da un lato e l’accademia dall’altro. Gli accademici si dividono a loro volta in due grandi gruppi. Coloro che si dedicano per tutta la vita esclusivamente alla ricerca (accanto all’insegnamento) e coloro che, in modi e spesso in tempi diversi, combinano nel corso della loro esistenza la ricerca pura alla consulenza pubblica o privata e all’attività pubblicistica, di divulgazione. Il premio Nobel Debreu è un esempio del primo tipo. Keynes, se vogliamo restare ai livelli sommi, è un esempio del secondo tipo: studioso sommamente innovativo, si è lasciato pienamente coinvolgere nella temperie del proprio tempo sia come autorevole consulente del Treasury sia come efficacissimo divulgatore delle proprie idee al largo pubblico.
La vita dell’economista Riccardo Faini si colloca in questa seconda categoria. Ha incarnato molto bene, in Italia, l’economista accademico di grande livello spinto dalla passione civile anche a “bagnarsi i piedi”, per tempi più o meno lunghi, come funzionario di organizzazioni internazionali, come consulente del governo italiano, come appassionato “persuasore”. Ho parlato non a caso di passione civile perché Riccardo, pur nel suo equilibrio e nella sua innata mancanza di settarismo, aveva fatto anche scelte “di parte”, non aveva lesinato il proprio tempo e le proprie energie a favore di quella pars politica che gli sembrava più vicina alla propria visione del mondo, adeguata a realizzare quanto gli sembrava prioritario.
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Per capire meglio come Riccardo intendesse il mestiere dell’economista è utile partire dal suo lavoro all’Università di Tor Vergata che egli riprese dopo la parentesi (tra il 2001 e il 2003) al ministero dell’Economia.
Le mail, numerosissime, arrivate al sito dell’università nelle ore e nei giorni successivi alla sua scomparsa, (1) testimoniano del suo stile di professore, dei suoi rapporti con gli studenti. Ne cito una sola, che offre – nell’ingenua freschezza della testimonianza di una studentessa – il sapore dello stile didattico di Riccardo. “Le sue interpretazioni del debito pubblico, le sue ricette per riassestare la politica fiscale, i suoi discorsi così professionali e sempre a-politici, le possibili cure per migliorare quel deficit pubblico disastrato che ci perseguita da anni: le sue lezioni non erano condanne per un Governo o per un altro, erano pure illuminazioni. Erano cose nuove per noi giovani che non leggiamo mai i giornali, erano spaccati di vita reale finora mai conosciuti per noi che stiamo ore e ore su manuali che fanno esempi americani perché scritti da autori americani, erano finestre che si aprivano per noi ventenni che non conosciamo neppure la nostra Italia. Ecco, questo era il suo corso di Politica economica, lezioni sulla vita dell’Italia”. Non rifiutò mai un laureando, si occupò di trovare stage di introduzione al mercato del lavoro, seguì i dottorandi con passione. Promosse subito una serie di seminari, all’ora di pranzo, su temi di attualità. Coordinò un grande network europeo in tema di migrazioni che permette di ricevere dottorandi stranieri e di mandare i nostri all’estero. Rilanciò con impegno il proprio ruolo nel Cepr, dirigendone il programma di commercio internazionale. E, soprattutto, accentuò l’impegno, mai abbandonato, nella ricerca accademica. Nel solo 2006 pubblicò quattro articoli scientifici di livello internazionale.
Sulla base di una forte connotazione accademica – scientifica, didattica, organizzativa, – Riccardo continuò a occuparsi di policy making. Lo fece come consigliere del Cnel, come membro di un centro di analisi e ricerca sociale legato alla sinistra. Lo fece, dopo le elezioni dell’aprile 2006, accettando un rapporto di consulenza con il nuovo ministro dell’Economia e contribuendo largamente alla stesura del Dpef. Lo fece infine come pubblicista, con scritti di Riccardo Faini destinati alla “persuasione” del largo pubblico, apparsi su Il Sole 24 Ore, Lavoce.info, e Il Mulino apparsi nel periodo compreso tra le dimissioni dal Tesoro e l’improvvisa scomparsa dell’autore, il 20 gennaio 2007. Il filo conduttore si ritrova soprattutto nella sofferta constatazione della tenace persistenza dei problemi strutturali dell’economia italiana. Anche in taluni degli scritti che trattano di economia internazionale si può leggere lo specchio nel quale l’Italia deve necessariamente riflettersi. La scelta dei temi discussi non lascia dubbi sull’ansia dell’autore circa il futuro del paese e in particolare dei segmenti più fragili, meno protetti, della popolazione (si pensi all’attenzione ai problemi degli immigrati).
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Riccardo fu autore di almeno venticinque lavori importanti pubblicati su riviste di prestigio internazionale, oltre che di numerosi articoli su riviste italiane, working paper, capitoli di libro. Già nel 1984, fresco di dottorato, pubblicò sull’Economic Journal uno dei suoi articolo più influenti e citati. (2) Il lavoro era ambizioso: delineava le condizioni generali per la persistenza di un divario regionale, tra aree di un medesimo paese, in assenza di diversità istituzionali. Cominciava allora ad affermarsi una new growth theory basata sull’ipotesi di rendimenti costanti o crescenti del progresso tecnico. Di li a poco Krugman avrebbe proposto una new geography che molti ritengono sia stata in qualche modo anticipata dalle intuizioni di Faini che utilizzò rendimenti crescenti, economie di agglomerazione e imperfetta mobilità dei fattori produttivi per generalizzare la spiegazione della mancanza di convergenza, anche nel periodo lungo, nel prodotto per abitante di aree diverse. .
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È del 1993 il primo lavoro di Riccardo in tema di migrazioni internazionali: un interesse che negli anni successivi si fece sempre più dominante e che generò, l’anno scorso, il network Marie Curie “Transnationality of Migrants” (Tom) del quale Riccardo fu entusiasta promotore ma del quale non riuscì a vedere la realizzazione. In tema di emigrazione è particolarmente interessante la ripresa che fece nel 1996 dei temi di rendimenti crescenti e convergenti dai quali aveva preso le mosse, con l’inclusione nel modello dei movimenti migratori. (3) Negli ultimi anni si accrebbe anche l’interesse per i temi legati all’integrazione economica e politica dell’Europa.
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Ho sempre creduto, da mille indizi e molte conversazioni, che Riccardo intendesse e vivesse in modo unitario, non separabile, il suo impegno di ricerca, la sua attenzione alla didattica, il suo interessarsi ai giovani, la sua proiezione come funzionario internazionale e civil servant italiano, la sua missione di pubblico “persuasore”.
È probabile che Riccardo, pur vedendole tra loro intimamente legate e pur ritenendo impossibile scinderle, non desse un peso uguale alle diverse componenti della sua vita di economista. Potrei sbagliarmi ma credo di averlo conosciuto abbastanza a fondo per ritenere che Riccardo non desse il peso maggiore né al lavoro di pubblicista né a quello di consigliere dei responsabili della politica economica. Ciò cui più teneva perché da questo dipendeva tutto il resto era il proprio status di membro rispettato della comunità scientifica internazionale. Chi non l’ha provato, chi non ha avuto questa passione, trova forse non agevole immaginare quanto sia faticoso mantenere, rinnovare, fare riconoscere dai propri pari l’appartenenza al club degli studiosi rispettati unicamente per il valore dei propri contributi scientifici. È un mondo nel quale “gli esami non finiscono mai” e bisogna passarli e ripassarli frequentemente, a pena di essere lasciati ai margini, di scivolare lentamente alla periferia della scienza che conta. E il gioco si fa sempre più duro, invecchiando. Riccardo conosceva bene le regole del gioco e non prese nemmeno in considerazione l’ipotesi di auto escludersi.

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Solo lo sforzo di continuare a scrivere su riviste di buon nome, di essere invitato come relatore a convegni importanti e selettivi nell’ammissione, di essere richiesto come referee legittimava tutto il resto: l’insegnamento, il consigliare i responsabili di politica economica, il proporsi come predicatore più o meno inutile al largo pubblico. Ha scritto Luigi Spaventa che Riccardo “Nelle istituzioni portava con sé senza compromessi il rigore del ricercatore”. (4)
“Senza compromessi”, ma come conciliare il rigore del ricercatore con la passione civile, inevitabilmente riempita di scelte di valori, che non può mancare – e che certo a Riccardo non manca – nel consigliare chi prende decisioni politiche? Il conflitto tra passione e ragione, ricordava Pascal, è sempre latente e la prima tende ad avere la meglio sulla seconda. Eppure ci sono regole per gestire il potenziale conflitto. Anzitutto dal lato della passione civile che deve restare autentica: quando gli ideali proclamati mascherano, anche con processi inconsci, interessi personali di denaro, di carriera, di reputazione, il conflitto con il rigore analitico è più difficilmente componibile. La seconda regola, vecchia ma sempre valida, è quella di distinguere gli obiettivi ideali, il “dover essere” perfetto, da quanto è tecnicamente e politicamente possibile. Il rigore logico dell’economista applicato si applica soprattutto, come si dice in gergo, alla massimizzazione sotto vincolo: al raggiungimento degli obiettivi maggiormente desiderabili, dato il contesto. Si tratta di accettare con lucidità le implicazioni di quello che potremmo chiamare riformismo, se la parola non fosse consunta dall’uso. Infine: la trasparenza sino al candore. Quella parte, forse inevitabile, di conflitto irrisolto tra passione civile e rigore intellettuale va riconosciuta e onestamente dichiarata.
Riccardo ha seguito queste regole. Le ha seguite con inusitata levitas, con apparente distacco, con l’ironia che lo caratterizzava e che applicava anzitutto a se stesso. Anche per questo era autorevole: “non strillava mai i suoi argomenti e le sue convinzioni: conversava, ragionava, convinceva e si faceva convincere”. (5) Anche per questo piaceva tanto ai suoi studenti.

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(1) Sono ora raccolte, e visibili, sul sito lavoce.info
(2) R. Faini, “Increasing Returns, Non-Traded Inputs and Regional Development”, Economic Journal (1984) vol. 94, pp. 308-23
(3) R. Faini, “Increasing returns, migrations and convergence”, Journal of Economic Development (1996), vol. 46, pp. 121-36.
(4) La Repubblica, 24/1/2007
(5) Idem

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