Se si considera che la manovra avrà scarso impatto sull’occupazione e che i costi per il bilancio saranno elevati, la defiscalizzazione degli straordinari sembra proprio una cattiva idea. E’ sbagliato decidere per legge l’orario di lavoro, meglio sarebbe lasciare libere le parti sociali di trovare un accordo, settore per settore. Però, il provvedimento contribuirà comunque a ridurre il costo del lavoro e ad aumentare le ore lavorate. Un bene per l’economia francese. Anche se per raggiungere gli stessi scopi esistono altri strumenti, meno distorsivi.

La proposta di defiscalizzare le ore straordinarie, quelle lavorate oltre le 35 di legge in Francia, può apparire politicamente abile. Non si attacca il simbolo, ma lo si svuota del suo contenuto. È un provvedimento che non sfugge del tutto alla logica che si dovrebbe rimettere in discussione, eppure, anche se può essere oggetto di abusi, diminuirà le imposte sui salari e ridurrà il costo del lavoro.

Due effetti opposti

Cominciamo dalle critiche. Defiscalizzate, le ore di lavoro straordinarie costeranno meno alle imprese e faranno guadagnare di più i lavoratori. Più lavoro, meglio pagato, ma meno costoso: sembra quasi un miracolo. Purtroppo, in economia non esistono miracoli. I lavoratori avranno tutto l’interesse a fare ore supplementari, ben più di quelle normali. Un incentivo molto efficace, che avrà parecchi effetti, non tutti positivi.
Innanzitutto, si ricorrerà più alle ore straordinarie che non alle assunzioni. Molti lavoreranno di più e si assumerà meno di prima. Se la disoccupazione è il problema maggiore dell’economia francese, non è questo il modo per risolverlo.
Si avrà poi un’altra conseguenza, di carattere opposto. Il provvedimento farà abbassare il costo medio del lavoro – calcolando insieme ore normali e ore straordinarie – aumentando nel contempo i redditi medi degli impiegati. Ciò dovrebbe incentivare la gente a cercare un impiego, mentre le aziende offriranno più posti. Si assisterà quindi a un altro cambiamento: più lavoro e meno capitale (meno spese in macchinari destinati a sostituire la mano d’opera). Al contrario delle 35 ore, che hanno ridotto la domanda di lavoro e quindi l’occupazione, la defiscalizzazione avrà un effetto positivo sull’occupazione.
Nel complesso, quindi, il provvedimento annunciato produrrà due effetti opposti sul lavoro: ore in più invece di occupazione, e occupazione in più invece di capitale. Con le nostre attuali conoscenze non possiamo purtroppo pronosticare quale dei due effetti sarà quello dominante. Probabilmente, l’impatto sarà trascurabile.

Frodi possibili

Malauguratamente, il ragionamento non può fermarsi qui. La defiscalizzazione comporta perdite per lo Stato e per la previdenza sociale. L’apparente miracolo, secondo cui tutti ci guadagnano, datori di lavoro e lavoratori, ha un prezzo. Da un certo punto di vista, si può concludere che la defiscalizzazione sovvenziona praticamente le ore straordinarie. Ma, sotto un altro, riduce parzialmente la disincentivazione al lavoro, provocata dall’eccessivo carico fiscale. In altri termini, è un rattoppo che si innesta su una situazione già poco chiara e che costerà molto caro.
Ma c’è di peggio. Il rischio è che il provvedimento finisca con l’allontanarsi dallo scopo originario. Datori di lavoro e lavoratori avranno tutto l’interesse ad accordarsi per far passare come ore straordinarie defiscalizzate normali aumenti di salario, che sarebbero invece tassati. Le possibilità di controllo sono minime e la faccenda fa gola. Ciò, oltre a essere una frode generalizzata, finirebbe con l’aumentare notevolmente il costo della defiscalizzazione degli straordinari. Più passerà il tempo e più la frode prenderà piede.
Bisognerà a quel punto compensare le minori entrate aumentando le trattenute, oppure riducendo le spese o lasciando crescere il debito. Insomma, se si considera che la manovra avrà scarso impatto sull’occupazione e che i costi per il bilancio saranno elevati, la defiscalizzazione sembra proprio una cattiva idea.

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Legge e orario di lavoro

Il peccato originale sta nell’idea stessa di legiferare sull’orario di lavoro. Altri paesi, come la Germania, lasciano decidere la questione alle parti sociali, settore per settore. Depoliticizzando il problema, si possono adottare soluzioni pragmatiche. I bisogni dei datori di lavoro sono differenti, così come le aspirazioni dei lavoratori. Imporre una stessa misura a tutti appartiene a una concezione colbertista, che dovrebbe aver fatto il suo tempo. La defiscalizzazione non fa che appesantire una legislazione sul lavoro già così sovrabbondante da scoraggiare molti potenziali imprenditori, perché obbliga tutte le imprese, piccole e grandi, a spese notevoli per conformarsi alla legge. Il che non è certo un bene per la competitività e di conseguenza per l’occupazione. Per giunta, complessità giuridica significa inevitabilmente ambiguità e quindi furbizie.
Una vera rottura con il passato sarebbe stata la rinuncia all’orario di lavoro stabilito per legge. Per proteggere i lavoratori da imprenditori poco scrupolosi, basterebbe stabilire massimali di orario di lavoro, al giorno, a settimana, al mese, all’anno o tutti e quattro. E partendo da questa base, lasciare che datori di lavoro e lavoratori si mettano autonomamente d’accordo, senza pasticciare con ore pagate secondo una tariffa e ore retribuite con un’altra.
Certo, in molti casi i lavoratori si trovano in posizione di debolezza e non possono realmente scegliere. Ma tale situazione è il risultato di un elevato tasso di disoccupazione. Se la disoccupazione diminuisse, i datori di lavoro avrebbero bisogno di trovare forza lavoro, quanto quest’ultima ne avrebbe di trovare un impiego e ciò riequilibrerebbe i rapporti di forza. Il che non fa che confermare l’idea che la priorità delle priorità è far diminuire la disoccupazione.

La priorità delle priorità

Eppure, nonostante tutto, l’idea della defiscalizzazione non è così malvagia. Appare sotto una luce migliore se si esamina il problema del suo costo per il bilancio dello Stato. Sarkozy si è impegnato ad abbassare le trattenute. Bene, ma quali? Per deciderlo non si può ovviamente prescindere dal problema della disoccupazione: quali sono le trattenute più nocive per l’occupazione? La risposta è scontata, la priorità deve essere data alla riduzione delle ritenute fiscali sui salari. È alquanto sorprendente, per non dire scandaloso, che la “merce” più pesantemente tassata sia il lavoro, dal momento che è notoriamente insufficiente per assicurare un impiego a ogni residente. Sono stati compiuti notevoli progressi per quanto riguarda i salari minimi, ma c’è ancora molto da fare per l’occupazione in genere. Che dovrebbe essere la priorità delle priorità. Sotto questo profilo, la defiscalizzazione degli straordinari è un passo nella giusta direzione: ridurrà comunque le ritenute fiscali e il costo del lavoro, anche se favorirà gli abusi. E più si riduce il costo del lavoro, più gli effetti positivi del provvedimento avranno la meglio sugli effetti negativi. Il che è buona cosa.
Il peccato potrebbe allora divenire virtù. In campagna elettorale, Sarkozy ha detto di voler essere il “presidente del lavoro”. Dai sondaggi risulta anzi che questo obiettivo ha svolto un ruolo non indifferente nella sua elezione. Se davvero la Francia è divisa tra coloro che cercano una paga migliore lavorando meno e coloro che, pur lavorando duro, sono inferociti perché non vedono ricompensati i loro sforzi, rendere il lavoro attraente è di importanza primaria. Ecco allora che una forte incentivazione in favore degli straordinari, considerati da noi economisti fonte di distorsioni, appare sotto una luce nuova.
Esistono altri approcci al problema per favorire l’occupazione, senza creare distorsioni. Ne sono un esempio i programmi “make work pay” messi in atto da Tony Blair, parzialmente imitati in Francia, per favorire il reingresso nella forza lavoro. In questo caso, però, l’obiettivo è diverso. La defiscalizzazione degli straordinari, infatti, non mira tanto a ridurre la disoccupazione, quanto a far aumentare le ore lavorate. In fondo, l’idea non è eccezionale, ma neanche così malvagia.

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* la versione originale dell’articolo è disponibile sul sito www.telos-eu.com (traduzione dal francese di Daniela Crocco).

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