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E sui servizi pubblici locali la liberalizzazione finisce qui

Merito indiscutibile del processo di riforma dei servizi di pubblica utilità, avviato a metà anni Novanta, è l’aver attribuito una dimensione imprenditoriale alla loro organizzazione. Proprio ciò che ora viene rimesso in discussione, in particolare per quanto riguarda il servizio idrico. Si diffonde infatti una prorompente voglia di municipalizzazione. Ma come possono asfittiche e anacronistiche aziende pubbliche, monopolizzate dalla politica, con microscopici bacini di utenza, raccogliere la sfida tecnologica e industriale di questi settori?

L’estate scorsa, quando uscirono le “lenzuolate” del ministro Bersani sulle liberalizzazioni, a chi obiettava che si trattava di interventi tutto sommato marginali, si rispondeva che il bello doveva ancora arrivare. Si faceva esplicito riferimento alla riforma dei servizi pubblici locali e all’introduzione in questo settore di consistenti dosi di concorrenza. Effettivamente la presentazione del “Ddl Lanzillotta” autorizzava a pensare che si stesse andando proprio in questa direzione, malgrado un “vuoto” sul servizio idrico che non lasciava presagire niente di buono. Dopo, però, questo è stato snaturato dal così detto compromesso Lanzillotta-Rifondazione, attualmente al Senato, che rilancia la gestione pubblicistica in economia. Poi, si è assistito a un ulteriore restringimento sulle gare di affidamento del servizio idrico a seguito di emendamenti al decreto Bersani stesso passati alla Camera. E un emendamento a un decreto “sulle liberalizzazioni” che sancisce il divieto di gare, è una vera e propria chicca.
Tutto ciò non può che essere interpretato come una netta inversione di rotta rispetto all’impostazione avviata in tema di liberalizzazione e regolamentazione dei servizi di pubblica utilità nella seconda metà degli anni Novanta e portata successivamente avanti pur con alterne vicende.

Liberalizzazioni e utenti

Ma lo stentato processo di liberalizzazione dei servizi pubblici locali ha in questo momento risvolti positivi per gli utenti?
In realtà, la concorrenza, nel mercato o per il mercato, si sviluppa con molta lentezza e in termini molto diseguali sul territorio nazionale: antiche e diffuse resistenze sembrano ancora una volta prevalere qua e là. Non è quindi facile valutare sistematicamente come il processo stia operando in termini di contenimento della dinamica tariffaria e di innalzamento della qualità delle prestazioni. D’altra parte, gli utenti vivono questa fase di transizione con sconcerto dato che, almeno apparentemente, la dinamica tariffaria sembra registrare aumenti anziché riduzioni. Tuttavia, non si deve dimenticare che il confronto temporale può risultare fuorviante: prima delle riforme, il livello delle tariffe era del tutto scollegato dai costi di produzione, grazie alla sussidiazione delle aziende pubbliche con il ricorso alla fiscalità generale o al debito pubblico, il cui costo non era direttamente percepito dagli utenti. Pertanto, questi, oggi, non colgono appieno il guadagno in termini di trasparenza e responsabilizzazione finanziaria.
Vantaggi della nuova situazione sono invece colti dai comuni proprietari delle azioni che conseguono, almeno per alcuni servizi, cospicui dividendi, dimostrando che, se operasse una maggiore concorrenza e una più efficace regolamentazione, parte di questo surplus potrebbe essere orientato verso gli utenti.
Merito indiscutibile, poi, del processo di riforma è l’aver attribuito una dimensione definitivamente imprenditoriale all’organizzazione di questi servizi. I quali, è bene ricordare, richiedono processi produttivi complessi, articolati in filiere collegate verticalmente, e l’impiego di sofisticate infrastrutture e reti. La logica imprenditoriale è proprio quella che ora viene rimessa in discussione, in particolare per quanto attiene al servizio idrico.

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L’equivoco della gestione pubblica del servizio idrico

Lo stop ai processi di aziendalizzazione della gestione del servizio è visto come un passaggio fondamentale per garantire l’accesso a un bene che diventa sempre più prezioso. Si tratta, come si dice, di un servizio essenziale, un servizio cioè che sia diffuso sul territorio, con limitate perdite in rete, non dia luogo a sprechi per eccesso di consumo, sia di alta qualità e preveda tariffe congrue e sostenibili.
A ben vedere nessuno di questi elementi dell’essenzialità è legato alla natura giuridica dell’impresa erogatrice e alla sua proprietà pubblica, in quanto le decisioni rilevanti sono prese in sedi diverse (formulazione della domanda in relazione alle tariffe, investimenti infrastrutturali decisi nel Piano di ambito, definizione di contratti collegati alle Carte dei servizi, eccetera). Sedi che attengono propriamente alla sfera della regolamentazione e dell’organizzazione industriale. Per cui è in questa direzione che si dovrebbe operare per garantire l’essenzialità, anziché imporre ex-legem la proprietà pubblica. Oltretutto, se a questa venisse associata una gratuità diffusa del servizio, come si sente tranquillamente proporre, l’obiettivo cruciale di limitare gli attuali inammissibili sprechi sarebbe irraggiungibile. Il fatto è che si sta diffondendo quella che possiamo chiamare una prorompente voglia di municipalizzazione.

Voglia di municipalizzazione

La riproposizione delle gestioni pubbliche in economia o attraverso aziende speciali, le municipalizzate del nuovo secolo, non ha alcun fondamento economico razionale. Il rispetto dei vincoli pubblicistici, l’inserimento dei loro bilanci nel Patto di stabilità, le assunzione del personale con regime pubblicistico, la nomina di amministratori pubblici non garantiscono niente in tema di appropriatezza dei livelli tariffari, qualità delle prestazioni, conseguimento di economie di scala (dimensioni aziendali) e di scopo (sfruttamento delle complementarità dei costi), e innovazione tecnologica per arricchire i relativi processi produttivi. Nessun controllo amministrativo può assicurare questi risultati, che invece dipendono dalla distribuzione dei relativi incentivi all’interno dell’industria di riferimento. Sono proprio le caratteristiche industriali e tecnologiche dei servizi pubblici che rendono improponibile la scelta tra una gestione pubblicistica in economia e una gestione imprenditoriale da affidare con gara. Come possono asfittiche e anacronistiche aziende pubbliche, monopolizzate dalla politica, con microscopici bacini di utenza, raccogliere la sfida tecnologica e industriale di questi settori?

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La risposta dell’autore ai commenti

Sono convinto, come tutti i gentili commentatori del mio articolo, che il settore dell’acqua necessiti di un significativo intervento pubblico. Ciò che mi divide dalla maggior parte di loro è lo strumento. Non credo che l’essenzialità del servizio (accesso a un bene primario) sia assicurata affidando la gestione dell’erogazione (di questo si tratta, non della proprietà delle reti o della risorsa che non è in discussione) ad un’azienda pubblica “bonsai”, amministrata da politici locali che hanno cambiato mestiere, di fatto incapace di cogliere gli aspetti industriali della prestazione di questo delicato servizio. Inoltre, occorre mantenere distinta la sfera degli assetti proprietari dalla sfera della regolamentazione. Non escludo affatto che un’azienda delle dimensioni produttive adeguate, in corrispondenza di un bacino di utenza significativo, possa contemplare una quota azionaria rilevante di proprietà di enti locali consorziati, anche se credo che il punto di arrivo della governance sia una SPA quotata in borsa, forse anche a carattere multiutility. Ciò che sostengo, però, è che neppure un’impresa pubblica, in-house, dovrebbe sottrarsi a procedure di regolamentazione, meglio se elaborate e condotte da Autorità indipendenti. Anche le aziende pubbliche tendono ad acquisire rendite, appropriandosi del surplus degli utenti, per perseguire finalità politiche più o meno legittime. D’altra parte, proprio le vicende di Telecom e Autostrade da molti evocate, individuano casi di “Regolamentazione tradita” piuttosto che di “Privatizzazione fallita”.
Altra questione è la possibilità di coprire le spese di investimento solo attraverso le tariffe. In una cornice regolatoria rigorosa, niente vieta di organizzare un meccanismo trasparente di tassazione di scopo destinata a finanziare parzialmente i piani di ammortamento di investimenti individuati nei Piani di Ambito e condotti dai gestori, indipendentemente dalla loro veste giuridica. Ma, ancora una volta, perchè dovrei essere certo del buon impiego di questi di fondi solo perché affidati a amministratori pubblici, piuttosto che a imprenditori sottoposti a regolamentazione? In conclusione, il fatto che quest’ultima in Italia sia stata “tradita” non è buon motivo per rinunciarvi a priori.

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15 commenti

  1. Dario

    La visione che si dà nell’articolo dei servizi pubblici è estremamente pessimistica, sembra più scritta da un lobbista al congresso americano che da uno studioso di economia.
    L’errore facile da commettere è che una gestione privata del servizio necessariamente debba essere migliore in quanto gestita seguendo criteri di efficacia efficienza ed economicità. Mentre in Italia abbiamo assistito a tutta una serie di monopoli pubblici che una volta privatizzati, sono rimasti monopoli, trasferendo quelli che erano benefici per tutti i cittadini, in benefici per i soli azionisti.

  2. Fichera Giancarlo

    In tutti i luoghi dove l’acqua è stata privatizzata il costo delle bollette ha raggiunto livelli insostenibili per la popolazione? come si spiega questo fatto? Su questo punto i liberalizzatori non danno mai risposte.

  3. Corrado Fontaneto

    Per il TPL , la dilaztazione dei tempi può interpretarsi come tentativo di attendere la definitiva adozione dal Consiglio Europeo degli emendamenti su cui il Parlamento Europeo si è pronunciato con una recente Posizione Comune ?
    E’possibile che si arivi al 2011 ?
    Grazie per le risposte che vorrete dare
    Corrado Fontaneto

  4. Vanni D'Este

    Per rispondere alla domanda in testa ed in calce all’articolo, gioverà ricorrere ad un’altra domanda.

    Come possono enormi aziende private (per esempio una multinazionale) garantire che raccoglieranno la sfida tecnologica* e industriale? E non che invece manterranno gli attuali (scarsi) livelli di servizio ed innovazione a fronte di un canone decisamente più elevato, richiesto ed ottenuto in sede di gara? Ricordo che il livello di imposizione fiscale mezionato nell’articolo e in parte sussidio all’attuale livello di servizio, non è ancora calato.
    E che inoltre il livello e la bontà della “regolamentazione” di solito erogato dai nostri organi legislativi è circa alla pari con il livello della rete e del servizio idrico.

    Quindi senza una buona proposta di legislazione in meglio, che dia garanzia di sostenibilità alle famiglie e di qualità del servizio, anche con la previsione di sanzioni per inadempienza, credo più prudente restare allo status quo.

    *Ma gli acquedotti non sono una conquista dei Romani?

  5. Riccardo Magriotis

    Sul tema dei servizi di pubblica utilità molti elementi non mi sembrano chiari.
    Supponiamo ad esempio che si voglia bandire con gara la gestione del servizio idrico: è pensabile che ad intervalli regolari (5, 10 anni) un ente pubblico faccia un bando per la gestione dei servizi idrici ?
    La complessità di un cambio di gestione vero appare a mio avviso immensa. Questi servizi sono troppo complessi per poter passare da un gestore ad un altro senza problemi.
    Se la soluzione a questo dilemma è affidare la gestione di sevizi pubblici essenziali con concessioni di 30, 40 anni a società private (sul modello Autostrade), a mio avviso il dubbio che i risultati possano essere assai negativi per i cittadini rimangono.

  6. Giordano Migliorini

    La privatizzazione dei monopoli naturali non è una buona idea, serve solo a trasferire risorse dal parastato agli investitori amici degli amici.
    Il giorno in cui potremo scegliere da quale rubinetto prelevare (o quale autostrada prendere) se ne riparlerà ; fino ad allora è una presa in giro.
    Le scienze economico-organizzative potrebbero impegnarsi di più sul tema del rigore e della produttività  nella gestione pubblica, magari studiando e riportando i casi di eccellenza all’estero.

  7. Franco Brughera

    Non mi sembra affatto una buona idea. Anzi direi proprio che è la peggiore idea possibile.
    L’acqua è un bene inalienabile per le comunità, l’intervento di un privato non farebbe altro che trasferire risorse della collettività dallo stato agli investitori amici degli amici.
    Infatti l’acquirente dovendo intendendo realizzzare utili per ovvii motivi ,non tenderà certo a fare investimenti per migliorare un servizio che è irrinunziabile e cercherà di spremere il più possibile gli utilizzatori alzando il prezzo.
    Quanto sopra è ampiamente avvenuto di fatto nel nostro paese e anche nel terzo mondo.

  8. lucrezia

    Dal momento che l’acqua è un bene prezioso ed esauribile, credo che l’unico modo per eliminare gli sprechi sia aumentare consistentemente le tariffe. Oggi il prezzo che noi cittadini paghiamo è ridicolo e tenendo conto del basso livello culturale degli italiani l’unico modo per far capire loro che il bene di cui stiamo parlando è prezioso è farlo pagare a peso d’oro. Oltre tutto, in questo modo avremmo anche le risorse finanziarie necessarie per ristrutturare gli acquedotti che fanno acqua da tutte le parti, dal nord al sud. Sono altresì convinta che se le aziende di servizio pubblico, le ex municipalizzate per intentenderci, dovessero partecipare a gare pubbliche per l’appalto dei servizi non ne vincerebbero nemmeno una e chiuderebbero finalmente tutte quante con il risultato che noi cittadini pagheremmo finalmente tariffe più basse. Ma visto che queste aziende (sic!) servono esclusivamente ai politici per piazzare i trombati di turno o per il voto di scambio , (naturalmente con la benedizione dei sindacati )nessuna coalizione avrà mai il coraggio di farlo. Dobbiamo solo sperare che una ventata di vero riformismo investa la nostra classe politica. Ma con gli attuali equilibri politici mi sembra solo una chimera!
    Lucrezia, elettrice del centrosinistra

  9. Giovanni Fazio

    Mi pare che anche per la distribuzione idrica il problema sia prima di tutto quello del controllo pubblico sulla rete di distribuzione, che è il vero monopolio naturale (come per le autostrade, le linee ferroviarie, la rete di telecomunicazioni, la rete elettrica e del gas).

    Non dico che il gestore debba essere pubblico per forza, ma che deve esistere una regolamentazione rigorosa che consenta allo stato di intervenire con mezzi anche eccezionali per ottenere dal gestore il rispetto delle regole cui deve sottostare la libera accessibilità e la qualità della rete.
    Se, nel frattempo, non siamo pronti con questa capacità, anche legislativa, di imporre precisi criteri e obblighi al gestore (come, di fatto, si è rivelato essere per la rete di telecomunicazioni), non vedo il danno di affidarne la gestione temporanea al settore pubblico, con preciso obbligo di disfarsene quando esisteranno le autorità di regolamentazione con relativi poteri cogenti.

    Ma se si fa questo discorso, si passa subito per statalisti, e allora quale può essere una soluzione che salvi tutte le esigenze in campo?

  10. Marino

    Lo hanno già detto gli altri commenti. La distribuzione dell’acqua è un monopolio, non ci può essere il roaming. Capisco gli argomenti a proposito di spreco e tragedy of commons, ma per l’acqua valgono esattamente le stesse considerazioni che faceva Ernesto Rossi sull’elettricità. Qualcuno pensa veramente che massicci investimenti su acquedotti e simili possano essere finanziati solo con tariffe più alte?

  11. massimiliano

    Il vero problema dell’acqua in Italia è il paradosso per cui il paese più ricco al mondo per risorse idriche non riesca ad “abeverare” la sua popolazione in modo completo e quanto meno dignitoso.

    Il problema della gestione dell’acqua non è quello di dare voce ad un sotterraneo, e manco tanto, “partito dell’acqua” (fondamentalmente rappresentato dal D’Alemismo diessino e da alcune parti della Margherita) che come al solito vede nella privatizzazione dei profitti l’ovvia consuenza o l’ovvio prodromo della socializzazione delle perdite.

    La vera attenziona va posta alla rete idrica che e’ vetusta e disperde gran parte dell’acqua che viene immessa nella stessa e non alla gestione che invece mi pare funzionare.

    Meditiamo gente 🙂

  12. Enrico

    Non si capisce per quale ragione si debbano privatizzare i servizi idrici integrati o la nettezza urbana. Per permettere a qualche ricco imprenditore di arricchirsi ancor più? I privati hanno ampiamente dimostrato di occuparsi dei loro affari e poco del servizio pubblico, per dei servizi così importanti io credo che non si debbano fare ulteriori esperimenti e lasciare la gestione alle società pubbliche che fino ad ora hanno perlomeno garantito il servizio!

  13. antonio petrina

    Ci sarà voglia di municipalizzazione? Chissà, ma
    nel DDL LAnzillotta c’è forse nostalgia della L. 103 del 1903 che garantì per oltre 100 anni alle aziende dei servizi municapali lo sviluppo che hanno avuto dopo le scaigurate gestioni private.Si dirà che i tempi sono cambiati, ma una ripartenza della riforma dei servizi pubblici locali non deve garantirei seguenti aspetti: tutela dei cittadini alla qualità e economicità dei servizi,tutela del’ambiente, ecc. e non solo cassa per gli enti ?
    Ben venga una liberalizzazione che garantisca queste primarie esigenze!

  14. Enrico Passerini

    E’ evidente che per il servizio idrico la soluzione non può essere l’imposizione ideologica della proprietà pubblica, ma ciò che si deve fare è proseguire nella giusta direzione tracciata dalla legge Galli L. 36/94 e rafforzata dal D.Lgs. 152/2006 che di fatto recepisce tra le procedure tipiche per l’affidamento, disciplinate dal art. 113 del T.U.E.L., anche la gara europea ad evidenza pubblica per l’individuazione del soggetto gestore del servizio idrico – la cosiddetta concorrenza per il mercato.
    Il primo passo da attuare è rafforzare i poteri di regolazione e controllo delle Autorità di settore con l’eliminazione del doppio ruolo dei Sindaci che sono allo stesso tempo controllori e controllati, rappresentando di fatto un’arma spuntata per l’Autorità nell’applicare le sanzioni. L’ulteriore passo auspicabile è la trasformazione imprenditoriale del servizio idrico che la stessa legge considera a rilevanza economica. E’ impensabile infatti che, per la realizzazione degli interventi, si possa far ancora ricorso per intero ai finanziamenti pubblici a causa dei vincoli che discendono dalla Comunità Europea sull’indebitamento netto dei bilanci dello Stato e degli enti locali – patto di stabilità. Per questo è fondamentale mettere il gestore nella condizione di poter accedere al credito con tassi di interesse vantaggiosi, cosa che può avvenire solo con un rating elevato della Società – secondo quanto previsto da Basilea 2: più un’azienda cresce e si struttura dal punto di vista imprenditoriale più questa ha la possibilità di agire in modo efficiente sul mercato dei capitali e sulla gestione operativa del servizio. Si invita a riflettere chi si oppone a questo processo sul seguente quesito: considerato che la gestione municipalizzata del servizio ha consegnato in eredità al gestore infrastrutture vetuste e non è riuscita ad adeguarle agli standard di servizio previsti per legge, quale soluzione alternativa all’attuale modello gestionale se non proseguire per rafforzarlo?

  15. LM

    CONCORDO PIENAMENTE CON L’ANALISI DEL PROFESSOR PETRETTO E LE OSSERVAZIONI DI PASSERINI.

    MI PERMETTO SOLO DI SUGGERIRE COME ESISTA, ASSOLUTAMENTE, LA NON REMOTA POSSIBILITÀ DI ISTITUIRE UN FONDO PEREQUATIVO REGIONALE PER IL FINANZIAMENTO DI UNA QUOTA PARTE DEGLI INVESTIMENTI INFRASTRUTTURALI PROGRAMMATI DALLE SINGOLE AUTORITÀ DI AMBITO E PER LA TUTELA DELLE FASCE SOCIALI DI UTENZA ECONOMICAMENTE PIÙ DEBOLI (VEDI, CRITERI ISEE), ALIMENTATO TRAMITE LA COSIDDETTA TASSAZIONE AMBIENTALE O DI SCOPO…

    [FISCALITÀ GENERALE O SUSSIDI: IN PARTICOLARE SI POTREBBE TENTARE DI SPERIMENTARE LA REGIONALIZZAZIONE DI UNA QUOTA PARTE DELLE BASI IMPONIBILI I.V.A. O IN ALTERNATIVA DELLE ACCISE SUI PRODOTTI PETROLIFERI (COME IN FRANCIA GIÀ ACCADE CON LA T.I.P.P.) COME NUOVE FONTI DI ENTRATA PER I BILANCI REGIONALI].

    INFINE, SUL TEMA DELLA GOVERNANCE ECONOMICA, CREDO CHE L’OBIETTIVO DA PERSEGUIRE DEBBA ESSERE QUELLO DI GARANTIRE LA PARTECIPAZIONE, DEI LAVORATORI NONCHÉ DEGLI UTENTI FINALI DEL SERVIZIO, ALLE DECISIONI D’IMPRESA IN UNA PROSPETTIVA DI DEMOCRAZIA ECONOMICA: QUESTO PUÒ E DEVE ESSERE FATTO A CONDIZIONE CHE SI INTRODUCA LA REGOLA DEL DUALE (ALLA TEDESCA) TRA I REQUISITI RICHIESTI NEL BANDO DELLE GARE DI APPALTO PER L’AFFIDAMENTO DEL SERVIZIO AL GESTORE UNICO.

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