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Le Asl, un’opera incompiuta

Pur differenziata sul territorio, continua la pratica dell’accumulo dei disavanzi da parte di molte delle aziende sanitarie regionali. Disavanzi che poi vengono assorbiti dal bilancio dello Stato, con effetti negativi sulle finanze pubbliche nazionali. Accade anche per la natura incerta delle Asl, formalmente aziende, ma in realtà con ben poche delle caratteristiche delle imprese private. Per controllare la spesa, forse bisogna riformare la governance del sistema sanitario, e questa passa in primo luogo per una riforma delle Asl.

Le Asl, un’opera incompiuta, di Massimo Bordignon e Roni Hamui

La situazione finanziaria delle Regioni desta preoccupazioni. Per quanto differenziata sul territorio , continua la pratica dell’accumulo dei disavanzi da parte di molte delle aziende sanitarie regionali. Disavanzi che poi vengono assorbiti dal bilancio dello Stato, con effetti negativi sulle finanze pubbliche nazionali. Il recente intervento sui debiti del Lazio e quelli che verosimilmente lo seguiranno su altre Regioni in difficoltà, suscitano timori di un’incontrollabilità della spesa e di una diffusione di comportamenti irresponsabili. Tra le molte ragioni, una ha a che vedere con la riforma incompiuta degli anni Novanta, e in particolare con la natura incerta delle Asl, formalmente aziende, ma in realtà con ben poche delle caratteristiche delle imprese private. Per controllare la spesa, forse bisogna riformare la governance del sistema sanitario, e questa passa in primo luogo per una riforma delle Asl.

La situazione normativa

In base al riordino legislativo del 1992, le Regioni hanno affidato la produzione e l’erogazione dei servizi sanitari alle Asl e alle Aziende ospedaliere (Ao). Queste hanno sostituito le vecchie Unità sanitarie locali (Usl), istituite con la creazione del Servizio sanitario nazionale (Ssn) nel 1978.
Le Asl e le Ao sono enti pubblici dotati di personalità giuridica e di una certa autonomia gestionale, patrimoniale e contabile. Sono gestite da un direttore generale, nominato dalla Regione, che a sua volta designa un direttore amministrativo e uno sanitario. Regione e ministero della Sanità eleggono una serie di consigli (sanitario, sindacale e di direzione) che hanno il compito di affiancare il direttore generale. Le centonovantacinque Asl esistenti garantiscono tutte le prestazioni fissate a livello nazionale dai Livelli essenziali di assistenza (Lea). Le Ao, che di fatto sono ospedali di rilievo regionale o interregionale costituiti in aziende in considerazione delle loro particolari caratteristiche, sono invece centodue.
Ma il controllo sull’attività delle Asl da parte delle Regioni non si conclude con la nomina di direttori e consiglieri. Intanto, sul piano della gestione, le Regioni approvano il piano sanitario regionale e il piano attuativo locale, che ogni tre anni fissano le linee strategiche e le risorse necessarie per raggiungere gli obbiettivi in termini di sanità regionale. Inoltre, approvano la Finanziaria regionale ovvero il Dpef regionale, che determina gli obbiettivi finanziari e le risorse disponibili per l’anno e serve quale elemento fondamentale per la stesura del budget delle Asl. infine, il bilancio e i conti economici delle Asl vengono monitorati ogni tre mesi dal collegio sindacale. Per le risorse, le Asl dipendono per il 95 per cento dal fondo regionale per la salute, che a sua volta trae le sue risorse dai proventi di alcune tasse regionali (Irap e addizionale Irpef) e dai trasferimenti dello Stato. Questi fondi vengono assegnati alle diverse Asl in base a una serie di parametri, a loro volta decisi su base regionale, che includono la densità abitativa, l’età della popolazione, il suo tasso mortalità, e così via. Le Ao invece vengono finanziate in base alle prestazioni diagnostiche effettivamente erogate. Di fatto, il 75 per cento delle entrate e uscite dei bilanci delle Regioni a statuto ordinario (e il 45 per cento di quelle a statuto speciale) è assorbito dalla spesa sanitaria, quasi interamente elargita alle Asl e alle Ao.
Dati tutti i vincoli posti sia dal lato delle entrate che delle uscite è evidente che i margini gestionali nelle mani degli amministratori delle Asl risultano piuttosto limitati. La cosiddetta “aziendalizzazione” voluta dal nostro legislatore, che doveva servire ad aumentare la trasparenza e spingere i produttori sanitari ad adottare pratiche simili a quelle del settore privato, rimane dunque per larga parte incompiuta. Ma questo ha effetti piuttosto rilevanti sia sui fornitori di beni e servizi alle Asl (aziende farmaceutiche, farmacie, eccetera) sia sul mondo del credito che è chiamato a finanziare gli squilibri finanziari generati dalla sanità pubblica.

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I debiti delle Asl

Dal suo avvio, il Ssn ha registrato deficit di natura strutturale che hanno oscillato fra l’1 e lo 0,1 per cento del Pil. Nel 2005, ad esempio, il disavanzo è risultato pari a 4,3 miliardi di euro, lo 0,4 per cento del Pil, per l’80 per cento realizzato da sole quattro Regioni – Campania, Lazio, Sicilia e Sardegna. Anche all’interno di una singola Regione sono tuttavia presenti situazioni alquanto differenziate da Asl ad Asl. Poiché formalmente tali aziende non possono contrarre debiti finanziari, i loro debiti finiscono in realtà per scaricarsi sulla durata dei termini di pagamento con i fornitori. I giorni di ritardo medi, dopo essere per molti anni rimasti attorno ai 9-10 mesi (contro i 30-90 giorni del settore privato) sono andati aumentando a partire dalla fine degli anni Novanta. Oggi il ritardo medio nei pagamenti oscilla dai quasi seicento giorni della Campania e del Lazio ai poco più dei 100 giorni del Trentino, Valle d’Aosta e Friuli.
Alla formazione di tali disavanzi hanno certamente concorso più fattori: da una deliberata politica di sottofinanziamento della spesa sanitaria da parte dello Stato, a un’incapacità di controllo della spesa da parte di alcune Regioni, alle aspettative di ripiano da parte dell’ amministrazione centrale, che finora ha sempre provveduto a ripianare i debiti sanitari accumulati . Solo di recente sono stati introdotti nel sistema elementi volti ad aumentare la responsabilità degli enti territoriali. Per esempio, nel 2004 e 2005 tre ospedali sono andati in dissesto (Policlinico Umberto I e Ospedale Sant’Andrea di Roma e l’ospedale Umberto I di Torino), giacché, in base al codice civile, gli enti strumentali pubblici non possono fallire. Ma la stessa incertezza relativa alla stabilità finanziaria del sistema delle Asl contribuisce al problema. La strutturale lunghezza dei termini di pagamento unita all’incertezza sui ritardi accresce il prezzo dei beni e servizi acquistati e aumenta il costo del loro finanziamento, quando il credito commerciale viene scontato o fattorizzato. Le operazioni di cartolarizzazione effettuate dalle Regione su tali crediti hanno potuto godere di un tasso più basso solo in virtù del fatto che le obbligazioni hanno beneficiato di specifiche delegazioni di pagamento sulle entrate regionali.

La natura delle Asl

In questo pasticcio, ha giocato un suo ruolo l’incompiuta “aziendalizzazione” della macchina sanitaria, assieme alla sua incompleta “regionalizzazione”, cioè a una più chiara attribuzione di compiti e responsabilità tra Stato e Regioni sulla sanità. Ha reso difficile la valutazione dei diversi enti da parte degli operatori creditizi, che non sanno bene se si confrontano con un’azienda o con un pezzo della Regione o dello Stato, e ha aumentato i costi della gestione, con la moltiplicazione dei centri di comando, senza stimolare comportamenti pienamente responsabili, visto che la disciplina di bilancio è rimasta disattesa.
Per uscirne, è allora opportuno chiarire meglio lo stato giuridico delle Asl (e delle Ao) decidendo una volta per tutte da che parte si intende andare. O si responsabilizzano a pieno i loro amministratori, ma allora si deve consentire a questi spazi di manovra adeguati sia sulla gestione che sulle entrate, attribuendo loro, per esempio, spazi di manovra sulle tariffe per i servizi sanitari. E in questo conteso sarebbe utile anche aumentare la trasparenza del sistema rendendo pubblici i bilanci delle Asl, limitare la discrezionalità dei meccanismi di rimborso dei debiti commerciali e abolire l’anacronistica pratica di certificazione dei crediti. Oppure, si supera la finzione di un’azienda separata dalla Regione, la si ingloba di nuovo nella struttura amministrativa di questa, consolidandone i debiti commerciali nel bilancio della Regione e si responsabilizzano gli azionisti, cioè le Regioni.

Un articolo di commento di Elenka Brenna e Fabrizio Romani

Quanto emerso dal contributo di Bordignon e Hamui sulla necessità di dare maggiore autonomia alle Aziende Sanitarie Locali, trova riscontro empirico in un recente lavoro di analisi della spesa per ricoveri ospedalieri, nel periodo 1997-2005, presso la ASL di Como (1) .
Il modello lombardo prevede formalmente (2) la contrattazione diretta delle ASL con gli enti erogatori (sia pubblici che privati accreditati) sul volume, la tipologia e i criteri di finanziamento della spesa per ricoveri. In realtà, almeno fino al 2003, anno di introduzione della programmazione ex ante dei ricoveri ospedalieri, la regione è sempre intervenuta direttamente nella programmazione delle attività dei soggetti erogatori, controllando i flussi finanziari che passavano attraverso le ASL, come mostra lo schema riportato in figura 1.

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Figura 1: Ruolo delle ASL nella programmazione ospedaliera

 

La tardiva attuazione della normativa regionale sembra aver comportato delle ripercussioni sull’andamento del disavanzo relativo ai ricoveri ospedalieri nella ASL di Como. Nel periodo che va dal 1997 al 2005 il disavanzo citato ha subito due arresti, come mostra la figura 2. Il primo nel 1999, in seguito all’inserimento di precisi criteri di abbattimento delle tariffe per i ricoveri potenzialmente inappropriati, criteri comunicati a inizio esercizio (e non a consuntivo come avveniva precedentemente tramite delibere regionali comunicate tardivamente). Il secondo nel 2003, in corrispondenza dell’introduzione della programmazione ex ante dei ricoveri ospedalieri, con relativa definizione del budget, previa contrattazione diretta fra l’ASL e il singolo ente erogatore.

Figura 2: andamento del disavanzo per l’attività di ricovero ospedaliero nella provincia di Como

Fonte: elaborazione dati forniti dalla ASL di Como. Autore Fabrizio Romani

E’ solamente in questa seconda occasione che l’andamento del disavanzo sembra essere stato posto sotto controllo. Infatti il periodo che va dal 1999 al 2002 vede un calo momentaneo del disavanzo, dovuto ad una contrazione dei ricoveri in seguito all’introduzione di regole precise di abbattimento tariffario e all’incertezza sui criteri di finanziamento. Tuttavia, e questo vale ovviamente per l’erogatore pubblico (rif Bordignon, Hamui, la voce 26-04-07), una volta accertato che il disavanzo veniva comunque ripianato dalla regione a posteriori (3), il controllo della spesa per ricoveri è tornato a mancare. Solo con i DGR n° 12287 del 4/03/2003 n° VII/15324 del 28/10/2003, che in sostanza riprendono quanto già introdotto formalmente nel 1998, e con la conseguente introduzione del budget definito a priori che comporta una contrattazione effettiva ed ex-ante fra ASL ed ente erogatore riguardo il numero e la tipologia di ricoveri ospedalieri, è stata resa possibile una programmazione razionale della spesa ospedaliera e di conseguenza un controllo dell’andamento del disavanzo. Programmazione tanto più credibile quanto maggiore autonomia è lasciata alle ASL nella contrattazione con gli enti erogatori, senza “interferenze” di carattere ripianatorio da parte della regione (4).

(1) Ci si riferisce alla tesi di laurea specialistica in Economia di Fabrizio Romani discussa in data 13 aprile presso l’Università Cattolica del S. Cuore di Milano. Titolo: “Andamento della spesa sanitaria lombarda dal 1997 al 2005: il caso della ASL di Como”, relatrice prof.ssa Elenka Brenna.
(2) Con D.G.R. n. 34437 del 4 febbraio del 1998 la regione Lombardia definisce le regole del sistema di finanziamento regionale per l’anno 1998. Nella delibera appare il concetto di contrattazione che muove in direzione del graduale processo di riordino del Servizio Sanitario Regionale, formalizzato con la legge regionale del 31 luglio 1997 e concretizzatosi nello scorporo e nella contestuale costituzione in aziende autonome dei presidi ospedalieri di quasi tutte le Aziende Sanitarie Locali.
(3) Per il privato accreditato non si parla di ripianamento da parte della regione, ma di abbattimento. In sostanza i disavanzi gravavano (e gravano) completamente sui bilanci della struttura.
(4) Da notare che in Lombardia questa autonomia sembra essere confermata, almeno sulla carta, dalla recente normativa (delibera VIII 1375 del 2005), che permette alle ASL di disporre autonomamente di una quota degli stanziamenti regionali. Dal 2006 le ASL dispongono di una parte delle risorse economiche regionali che possono gestire, in completa autonomia e senza imposizioni regionali durante la fase di contrattazione del budget con gli enti erogatori. Si tratta di fondi che la ASL può gestire per incentivare l’efficienza dei diversi enti erogatori. Tali fondi rappresentano solo una piccola parte del totale delle risorse finanziarie, tuttavia, questa ottica di gestione, rappresenta un primo passo concreto per quanto riguarda l’aumento di potere delle ASL nei confronti degli erogatori di servizio.

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Sommario 27 aprile 2007

  1. Francesco

    Il problema sollevato mi sembra importantissimo. E’ importante l’osservazione sulla strana natura di queste “aziende” minotauro il cui unico obiettivo mi sembra però non la fornitura di servizi alle persone ma la creazione di posti di natura “politica” da assegnare in base alla parte vincente nella regione.
    D’altra parte enti come il Policlinico di Roma sono gestiti in autonomia dall’Università e sono la causa del dissesto finanziario della stessa (si ricordi la difficoltà nello spendere dei soldi disponibili per ristrutturare i sotterranei e la facilità nel trovarne altri non disponibili per arredare lussuosamente gli uffici di certi medici…)
    Il problema quindi sta nelle teste e nelle modalità di scelta delle stesse….Ficnhè non cambiamo metodi non risolveremo molto!

  2. Lorenzo Terranova

    L’articolo di Bordignon e Hamui ben mette a fuoco un timore che il legislatore ebbe nel 1992 quando diede l’avvio all’aziendalizzazione delle ASL/AO: quello della piena responsabilità della direzione generale.
    Sicuramente il modello dell’aziendalizzazione ha portato nella realtà della sanità italiana una serie di novità che si sono successivamente diffuse in altre pubbliche amministrazioni (basti ricordare come i Comuni abbiano mutuato una serie di strumenti gestionali per la prima volta applicati in sanità); novità non solo tecniche ma soprattutto culturali, introducendo nell’agire quotidiano i concetti di responsabilità e autonomia.
    Il percorso dell’aziendalizzazione necessita però dell’ulteriore passaggio nel definire più puntualmente i margini di operatività ma anche di responsabilità del management delle ASL/AO, e di convesso del livello della delega della Regione. Infatti, solo rendendo effettiva l’autonomia delle Aziende possono realizzarsi gli obiettivi fissati dalle Regioni. La politica deve esprimere politiche sulla salute e sui servizi, sugli orientamenti, sui finanziamenti, sulle modalità di allocazione delle risorse; ma deve assolutamente delegare le scelte tecniche di competenza al top management aziendale.
    Va pertanto aperto un dibattito se la forma giuridica delle ASL (ma anche delle AO) più idonea a rispondere ad una maggiore responsabilità sia quella dell’azienda pubblica. Da questa parte sembra andare anche la più recente giurisprudenza che adesso richiede “soggettive motivazioni” alla rimozione dei direttori generali (ossia non è applicabile il sistema dello spoil system sic et simpliciter). Invece, dalle prime bozze che circolano del progetto di legge di riforma del sistema sanitario che verrà presentato dal Ministro Turco, non si affronta questo fondamentale aspetto, ma anzi il modello che individua nel direttore generale un chiaro responsabile della politica gestionale della ASL/AO sembra affievolirsi.

  3. Francesco De Leo

    Come rilevato da Mapelli, in “Tutto il deficit sanitario regione per regione”, nel triennio 2003-05 ci sono state ben 6 regioni, disposte dal nord al sud, che sono riuscite a contenere il deficit sanitario agendo solo sulla capacità di controllo della spesa senza ricorrere all’imposizione fiscale.
    Di contro ci sono delle altre regioni che, pur contando su un gettito aggiuntivo d’imposte e ticket e con livelli di spesa inferiori alla media nazionale, presentano disavanzi rilevanti.
    Si deve allora convenire che i notevoli disavanzi registrati nel periodo non dipendono dall’attuale sistema di governance del sistema sanitario, quanto dal modo con cui, di fatto, è disatteso.
    Le risultanze del monitoraggio trimestrale dei conti delle asl e delle ao oltre al collegio sindacale affluiscono al competente assessorato regionale e al data base a disposizione dei ministeri dell’Economia e della Salute, sicché esiste lo strumento per intervenire tempestivamente, nel corso dell’esercizio, sullo andamento anomalo della spesa nelle singole aziende o presso le regioni che, a loro volta, presentano il consolidato trimestrale ai suddetti ministeri, i quali, sotto questo aspetto, brillano per l’assenza, timorosi di interferire con l’autonomia gestionale delle regioni.
    Appare discutibile, sotto il profilo etico, la proposta di conferire agli amministratori delle aziende la possibilità di manovrare le tariffe dei servizi sanitari per l’evidente disparità di trattamento che si verrebbe a determinare per gli assistiti in funzione della loro collocazione territoriale.

  4. Lorenzo Broccoli

    Credo che un’attenta valutazione vada fatta anche riguardo al ruolo svolto dagli enti locali nell’ambito del sistema di programmazione sanitaria ed alla loro capacità di influire nelle scelte e nella “stabilità” delle direzioni aziendali. In sostanza le istanze locali pur legittimamente sostenute e caldeggiate dagli amministratori provinciali e comunali non sempre risultano pienamente coerenti, fino ad essere talora indifferenti, rispetto alle necessità di razonalizzazione dei servizi e contenimento dei costi (ad esempio si veda il tema dei piccoli ospedali). D’altra parte la valenza politica di questi soggetti e delle relative istanze particolarmente vicine al sentire dei cittadini assumono un tale rilievo di cui da un lato le regioni (in un’ottica di consenso) non possono disinteressarsi e dall’altro i direttori generali (che stanno sul territorio) devono tenere conto in quanto la loro stessa valutazione e permanenza è soggetta ad un parere degli enti locali (espresso nell’ambito delle Conferenze territoriali). Insomma il rischio è di trovarsi di fronte ad un gatto che si morde la coda: senza consenso non si governa, ma per governare è necessario gestire le risorse secondo un’ottica di razionalizzazione e rigore non sempre compatibile con il consenso.

  5. Mussari Ferdinando

    Il processo di aziendalizzazione del SSN è nato per razionalizzare la spesa sanitaria, elevando l’efficienza e l’efficacia delle prestazioni erogate sul territorio e in ospedale. Questo concetto per un’intera regione si traduce in un orchestramento delle attività delle ASL e delle AO, e alla attenzione delle esigenze locali, con un rapporto costante con la conferenza dei sindaci.
    In questa idea, la responsabilità parte dal capofila, la regione con il suo assessorato, seguito dai direttori generali da esso nominati, la regolamentazione indica, in caso di sframento dei parametri di spesa non una azione locale da parte di una singola ASL del territorio, ma un’azione da parte della regione che può intervenire rimuoendo i DG e ripianando gli sforamenti con aumenti di irpef e ticket. sono anche presenti le sanzioni per le regioni che non rispettano questi parametri. ciò che manca in tutta questa descrizione è la “volontà” perchè è una “volontà politica”. non dimentichiamoci che uno degli ultimi provvedimenti del governo passato era circa i requisiti del Direttore Generale, uno tra i quali era l’avere ricoperto cariche di responsabilità a livello provinciale e regionale. ridefinendo l’ASL e ilsuo DG come via di fuga per i politici non eletti.

  6. Eduardo

    Il fallimento dell’aziendalizzazione e della regionalizzazione sta soprattutto nel fatto che non è stata individuata e quindi praticata una vera e propria responsabilizzazione.Se sulla carta i direttori generali sono i responsabili e il collegio sindacale è responsabile in quanto controllore di molti aspetti della vita aziendale, nei fatti la cattiva gestione delle ASL non ha mai comportato procedimenti risarcitori e di responsabilità anche penali nei confronti di nessuno.Questo non vale solo nelle ASL ma in tutti gli enti in cui si è cercato di sperimentare la gestione di marca privatistica pur rimanendo questi essenzialmente pubblici.Il risultato è che i nuovi e ampi poteri sono tipici del privato, ma le rsponsabilità sono quelle del pubblico, cioè quasi nulle.Quindi qualsiasi discorso su tariffe o altro non ha alcun valore se un principio di base di quello che viene definito mercato viene disatteso; esso consiste nel collegamento tra ciò che si fa (con ampia autonomia) e le responsabilità che da queste azioni nascono. E’ l’introduzione di questo principio privatistico che avrebbe dovuto beneficiare una gestione solidaristica che giocoforza rappresenta il fulcro di azione di alcuni enti pubblici (come quelli che operano nel settore della salute), e non la semplice autonomia svuotata di questo fondamentale principio. Se la cattiva gestione non comporta responsablità non ci troviamo di fronte ad Aziende, ma ad enti pubblici distorti che di privato hanno solo l’interesse dei singoli. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

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