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Fino all’ultimo miglio

La discussione sul futuro della rete fissa di Telecom sembra incanalarsi sulla strada giusta, ma occorre evitare che le nuove regole siano in contrasto con il diritto comunitario. Deve essere opportunamente giustificata e motivata la decisione di attribuire all’Agcom ulteriori poteri. Che devono essere delimitati da chiari principi di necessità e proporzionalità rispetto alla finalità di garantire l’accesso in condizioni di uguaglianza alla rete fissa non duplicabile. Un buon quadro regolatorio fornisce anche la risposta alle preoccupazioni sugli investimenti.

La discussione sul futuro della rete fissa di Telecom sembra incanalarsi sulla strada giusta, ma occorre guardarsi da qualche inciampo. Il governo ha annunciato l’intenzione di proporre al Parlamento una norma che attribuisce all’Autorità di garanzia delle comunicazioni (Agcom) il potere di disporre le misure organizzative necessarie ad assicurare che la rete di accesso sia gestita, come indica la nota del ministero delle Comunicazioni, “con criteri di neutralità, di autonomia e di separazione funzionale dalle altre attività dell’impresa titolare di notevole forza di mercato”. I nuovi poteri svolgeranno essenzialmente una funzione di deterrenza, nel caso non sia possibile raggiungere un accordo soddisfacente per l’accesso alla rete da parte dei concorrenti al tavolo tecnico già istituito presso l’Agcom. Inoltre, l’esercizio di quei poteri sarà preceduto da una pubblica consultazione, che coinvolgerà tutti i soggetti interessati, inclusi gli utenti, e quindi con le massime garanzie di trasparenza e di rispetto per il mercato.
Come il governo ben sa, la norma dovrà essere notificata alla Commissione europea, la quale, secondo l’articolo 45, comma 3 del Codice delle comunicazioni elettroniche, deve autorizzare con propria decisione il provvedimento.

Dall’Europa regole precise

Va ricordato, al riguardo, che in questa materia le regole comunitarie dispongono un quadro preciso di rimedi ‘tipizzati’ che possono essere imposti alle imprese dotate di potere di mercato: obblighi di trasparenza, non discriminazione, separazione contabile, obblighi relativi alle condizioni di accesso, obblighi in materia di controllo dei prezzi e di contabilità dei costi. Discostarsi dai rimedi tipizzati può risultare in contrasto con il diritto comunitario.
Al momento nessun paese membro dell’Unione dispone di poteri ulteriori rispetto ai rimedi tipizzati, in particolare di quello di disporre la separazione funzionale delle rete. Non hanno questo potere le autorità inglesi, i cui strumenti sono analoghi a quelli attualmente a disposizione delle autorità italiane preposte alla regolamentazione e alla tutela della concorrenza: divieto antitrust dell’abuso di posizione dominante, poteri di sanzione per violazione delle regole in vigore, i rimedi tipizzati sopra ricordati e la possibilità di rendere vincolanti gli impegni assunti dalle imprese. Questo apparato è stato sufficiente nel caso inglese a raggiungere un accordo sul sistema Openreach, che ha garantito non solo uguali condizioni di accesso alla rete, ma anche notevoli investimenti di ampliamento delle capacità di accesso.
Dunque, la decisione di attribuire all’Agcom ulteriori poteri deve essere opportunamente giustificata e motivata. L’articolo 45 del Codice delle comunicazioni elettroniche, già ricordato, prevede al riguardo che nuovi poteri possano essere concessi “in circostanze eccezionali”. Non rientrano certamente tra queste l’esigenza di impedire l’investimento in Telecom di una società estera: anzi, sarà necessario convincere la Commissione che questa finalità è del tutto estranea alle motivazioni del provvedimento.
Invece, la Commissione sarà ben disposta ad ascoltare motivazioni che facciano riferimento all’esigenza di accelerare l’apertura della rete, in un contesto giuridico e regolamentare in cui l’operatore dominante è parso capace di rallentare il processo. Proprio qui si annida il pericolo di inciampo: occorre che i nuovi poteri siano ben delimitati da chiari principi di necessità e proporzionalità dell’intervento rispetto alle finalità dichiarate – che sono quelle di garantire l’accesso in condizioni di uguaglianza alla rete fissa non duplicabile, cioè nel caso italiano al famoso ‘ultimo miglio’ di connessioni. Da questo punto di vista, non sarebbero probabilmente accettabili formulazioni open-ended, che consentano, come qualcuno già chiede, di assoggettare a regolamentazione strutture di trasmissione dove problemi di accesso non si pongono, o addirittura reti che ancora non esistono, le cosiddette reti di nuova generazione. Il regolatore si dovrà guardare qui dall’interesse di chi può chiedere – attraverso le regole – protezione dai concorrenti disposti a investire più di lui, inclusi i potenziali nuovi entranti. Sotto questo profilo, qualche problema può sorgere, riguardo al testo attuale del governo, laddove si prevede che le nuove regole “includeranno anche la definizione del perimetro delle attività soggette a separazione”, senza precisare i criteri per l’esercizio di tali poteri.

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La questione degli investimenti

Prima di concludere, vale la pena di menzionare un secondo problema di grande rilievo nella discussione che si è aperta sulla regolazione della rete di telecomunicazioni: come assicurare un livello adeguato di investimenti nella rete stessa. Su questo, la risposta è breve: un buon quadro regolatorio, capace di assicurare condizioni concorrenziali, libertà di ingresso e ritorni adeguati fornisce anche la risposta alle preoccupazioni sugli investimenti. Per convincersi dell’efficacia del modello, basta considerare l’esperienza della telefonia mobile nel nostro paese, dove l’esistenza fin dal principio di condizioni concorrenziali ha determinato uno sviluppo delle infrastrutture e dei servizi ai massimi livelli di eccellenza anche nel confronto internazionale. La normativa comunitaria, del resto, dispone che l’attività economica in materia di reti di comunicazione elettronica è libera, non più esercitata in regime di concessione: un’interferenza politico-amministrativa sui criteri e sui livelli di investimento risulterebbe in contrasto con questa impostazione.

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Se la rete arriva a una muraglia cinese

  1. Paolo Cesario

    sono d’accordo con quanto detto dall’autore, se si parte dal presupposto di una privatizzazione obbligatoria dell’infrastruttura: ritengo però che il modello delle ferrovie italiane sia lo strumento migliore per privatizzare l’erogazione del servizio mantenendo alla nazione la proprietà delle infrastrutture essenziali.
    seguendo tale modello la rete di comunicazione a lunga distanza potrebbe rimanere di proprietà dello stato ed essere gestita da una società pubblica che gestisce, manutiene e ne affitta l’uso alle società di servizi (tele2, infostrada, telecom servizi privatizzata, etc.) in affinità alle tracce ferroviarie di RFI.
    per quanto riguarda invece l’ultimo miglio, ritengo che si potrebbe anche prevedere di trasferire la proprietà alle regioni e definire società miste a prevalenza pubblica che si occupano, come quella nazionale, dell’esercizio e della riscossione dell’affito dell’ultimo miglio.
    Dimentichiamo spesso che la privatizzazione di una infrastruttura non piace alla sinistra radicale per diversi motivi, ma cheper motivi altrettanto sensati una destra attenta alle dinamiche militari sicuramente suggerirebbe che ci sono infrastrutture che da un punto di vista strategico una nazione non può mettere in mano ad una multinazionale straniera.

    saluti
    plc

  2. michele

    Non riesco a togliermi due tarli dalla zucca, quando sento parlare di telecom e Governi.
    Il primo: non è che fino a quando l’ultimo miglio era redditizio in quanto monopolistico lo si è lasciato aiprivati che ci han lucrato?
    Il secondo: non è che adesso ce lo si riprende perchè nessun privato è in grado di metterci abbastanza soldi per adeguare e innovare le infrastrutture necessarie? E dunque provvede lo Stato (noi) in nome di un interesse nazionale che, francamente, mi sfugge?
    Infine: scusate, ma parlare di infrastrutture materiali di rete (ultimo miglio o ultimo centimetro) significa davvero metter sul campo la discussione sulle tecnologie attuali e future nelc ampo delle Telecomunicazioni?
    Onestamente a me non pare, con i protatili che stan diventando sempre più terminali informativi, comunicativi, distributivi e interattivi complessi, nei quali reti informatiche e satelliti faranno probabilmente la parte più grossa. Cosa resta al di fuori? La banda larga, ma credo solo per ora.
    Chiederei quindi all’autore del testo: non è che ai danni degli anni recenti stiamo aggiungendo la beffa?
    Non è che l’ultimo miglio è un retaggio di un passato che non tornerà più, come l’epoca dei telefoni bianchi?
    E proprio per questo lo stato se lo riprende?
    Grazie

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