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Un proporzionale corretto stabilizza il bipolarismo

Per uscire dall’impasse politica italiana serve una legge elettorale proporzionale corretta.
Una difficoltà psicologica, l’approssimazione referendaria, offusca il quadro: si dice che il sistema maggioritario uninominale sia la panacea. È una sorta di innamoramento, anche in menti razionali, che nega la realtà: l’uninominale maggioritario è stato parzialmente (1), e con tutta l’alea del risultato, foriero del bipolarismo. (2) Ma non ci si deve accontentare di uno strumento monco, quando un risultato organico e stabile si avrebbe con il proporzionale, con sbarramento al 5 per cento e premio di maggioranza (3), unico voto su una unica scheda congiunta per entrambe le Camere.

Indirizzare il sistema politico

L’innamoramento dell’uninominale è l’apoteosi della fiducia cieca nell’idraulica costituzionale, che vuole importare istituti giuridici stranieri nel “contesto” italiano, ignorandone le necessità. Servono invece chiari obiettivi verso cui indirizzare il sistema politico, apprestando congrui istituti giuridici. Indirizzare non è giacobino: gli istituti giuridici, se serve, forzano la realtà politica, al fine di produrre dei risultati. Il premio di maggioranza crea una maggioranza politica (4) quando la società non l’esprime da sé con le elezioni (5); lo sbarramento al 5 per cento scarta le formazioni politiche, fintanto che siano marginali.
Stante poi la caratteristica perfetta del nostro bicameralismo, il cui mantenimento è augurabile rispetto all’inefficiente bicameralismo differenziato (6), si impone la necessaria identità delle maggioranze nelle Camere. Tale necessità preesiste alla distorsione del premio (7), ma si amplifica con esso. (8) Inoltre i premi di maggioranza regionali al Senato aggiungono un’ulteriore distorsione che il premio nazionale non ha: è possibile che alla maggioranza dei voti nazionali non corrisponda la maggioranza dei seggi (questo è l’effetto negativo tipico del collegio uninominale).
Se la correzione va apportata a favore della parte che non raggiunga da sé l’autosufficienza in una od in entrambe le Camere, non è detto che la stessa, e non l’altra, sia quella che abbia la maggioranza relativa dei voti nell’altra Camera. (9)
Si ripropone così, in versione ridotta, l’altalena dei risultati prodotti dall’uninominale. Questa altalena, dovuta non tanto alla piccola differenza del bacino elettorale tra la due Camere (10), quanto al malcostume di votare diversamente a seconda della Camera, si supererebbe con la riduzione ad una delle schede. L’unico voto sull’unica scheda (11) si collegherebbe univocamente ad un solo schieramento che presenti liste o gruppi di liste per ognuna delle Camere. In questa maniera si risolverebbe anche l’imbarazzo costituzionale di quale Camera prevalga nel caso di opposte maggioranze. (12)
Il maggioritario non garantisce la rappresentatività né la governabilità. Il suo difetto sta nei collegi uninominali: da essi esce un vincitore e dei perdenti (13) non vi è traccia. (14) Le 3 elezioni politiche (15) con questo sistema confermano che l’uninominale è inaffidabile, per i suoi risultati attesi (16), anche ai fini della governabilità. (17) Ed anche con un’unica scheda e unico voto, residuerebbero due ipotesi di ingovernabilità sicura: pareggio tra i due schieramenti in entrambe le Camere ovvero maggioranza relativa di uno schieramento in entrambe le Camere.
Poi non solo è discutibile che il collegio avvicini gli eligendi agli elettori (18), ma lo è ancor più il dogma che la massima prossimità sia un bene. (19)
I due turni non risolvono i problemi del turno unico; nulla si garantisce di diverso rispetto alla aleatorietà ed alla altalena del risultato nazionale. Con la scusa di semplificare il quadro partitico, di fatto si aggiungono, alle trattative tra i partiti ed i partitini prima del primo turno, quelle tra un turno e l’altro. Perché non anticipare la funzione di selezione del voto utile, che il doppio turno fa passare per un ripetuto pronunciamento dell’elettorato, prevedendo nell’unico turno decenti soglie di sbarramento? In questo modo, certo con più rischi immediati per il centrosinistra, si semplificherebbe, già dopo il primo funzionamento della legge, il quadro partitico sia nel centrodestra sia nel centrosinistra. (20)
Altrimenti, quelli che non passassero il turno, contratterebbero il loro appoggio (21) ai contendenti del secondo turno (22) per la vittoria nel collegio.
Il fatto stesso che c’è un secondo turno incentiva i partitini a presentarsi separati al primo. Non si può dire che con la scelta di quale polo appoggiare al secondo turno, ufficializzata davanti all’elettore e da questo sanzionata, le microformazioni sarebbero più timorose di cambiare casacca in corso di legislatura. Né si può dire che si scongiurerebbe una dislocazione al centro di alcune forze politiche. Semmai lo sbarramento secco al 5 per cento non darebbe cittadinanza parlamentare alle forze centriste (23) ma marginali.
I voti dati alle liste coalizzate che non superassero lo sbarramento, non dovrebbero essere conteggiati nel monte-voti coalizionale, al fine di attribuire il premio di maggioranza. (24) Rendendo inservibili per la coalizione i voti delle liste sotto-soglia, si spunterebbe l’altra arma di ricatto in mano ai partitini in sede di formazione delle liste e delle coalizioni. Questa è assai più che una sanzione per evitare la disgregazione delle coalizioni, è una misura di bonifica del quadro politico, la cui frammentazione è la causa dell’instabilità delle coalizioni.
Il problema è che il binomio proposto (premio, sbarramento), che eliminerebbe già dopo una legislatura le microformazioni sotto il 5 per cento, va approvato in un Parlamento in cui queste sono sovrarappresentate; ragion per cui serve l’accordo tra i partiti veri dei due schieramenti. (25)
Vi è poi l’ipocrisia circa liste bloccate: i candidati verrebbero eletti non già dagli elettori ma piuttosto dai partiti. Ma il peso delle strutture di partito è immutato sia rispetto al sistema uninominale (26), sia ad un proporzionale con circoscrizioni plurinominali di estensione ridotta (27), e con liste più corte.
Checché se ne dica si vota e ci si riconosce per diverse ideologie, ideali, tendenze; si vota quindi per un partito o coalizione di partiti, e si vota in un sistema bipolare. Altro è il vulnus originario alla sovranità popolare: la mancata attuazione dell’articolo 49 Costituzione, nella parte in cui è previsto un controllo della democrazia all’interno dei partiti, che vuol dire avvicendamento delle élite al governo degli stessi.

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Un referendum senza soluzioni

In merito al proposto referendum, si attribuisce un effetto taumaturgico alla lista unica. Il suo unico effetto positivo sarebbe quello (28) di eliminare i meccanismi di vanificazione e differenziazione delle soglie di sbarramento. (29) Ma è certo che uno sbarramento alla Camera più basso di un punto (30) non giova nell’iperframmentazione italiana. Se non ci fosse neppure tale sbarramento, la normativa di risulta si potrebbe facilmente aggirare: fatto il listone unitario, trovato l’inganno. Più che di bipolarismo, si dovrebbe parlare di bilistismo: il listone è ben differente dalla coalizione omogenea, come l’esperienza del 1921 dovrebbe aver insegnato.
Si ripete poi la stessa favola del doppio turno (31): l’esito referendario assicurerebbe una minore possibilità di disgregazioni dei listoni. Ma se questi fossero composti, senza la soglia di sbarramento del 4 per cento, i partitini resterebbero nello stesso numero e selvaggi.
Il referendum non risolve:
1) lo sbarramento regionale al Senato; (32)
2) il premio di maggioranza regionale al Senato;
3) la possibilità di maggioranze diverse nelle due Camere.
Con un secondo referendum proposto si eliminerebbero le candidature multiple. In verità, tali candidature non sviluppano alcuna sudditanza da parte dei cooptandi verso i plurieletti, perché sono i vertici del partito a scegliere.
La risposta decisiva, anche per ciò, deve venire dalla democrazia interna ai partiti.


(1)
Rispetto al proporzionale puro pre ’93.
(2) Giacché non semplifica il quadro politico.
(3) Tutti e due unici e nazionali.
(4) Efficiente al sistema.
(5) Ecco perché il premio deve essere solo eventuale e variabile, nella misura in cui serva a raggiungere una maggioranza di seggi prefissata.
(6) Meglio sarebbe il monocameralismo.
(7) Le legislature della Repubblica proporzionale e della Repubblica maggioritaria testimoniano che discrepanze nel voto degli elettori tra le due Camere, e quindi nel risultato in seggi, sono state sempre presenti.
(8) Soprattutto perché spezzettato al Senato.
(9) Ipotesi di scuola che si è puntualmente verificata nel 2006.
(10) A Costituzione invariata, si dovrebbero stampare due tipi di scheda: quella per gli elettori sotto i 25 anni e quella per gli elettori che votano sia per la Camera sia per il Senato. Ovvero si potrebbe abbassare a 18 anni l’elettorato attivo per il Senato: ma questa modifica costituzionale ancora non basterebbe.
(11) Congiunta per Camera e Senato.
(12) Naturali od indotte dal premio.
(13) La/e minoranza/e.
(14) Se non eventualmente grazie al recupero proporzionale, che comunque è estraneo al congegno maggioritario.
(15) Precedenti quelle del 2006.
(16) Facendo una proiezione nazionale della miriade di collegi, vi è la possibilità e quindi la probabilità dei seguenti risultati:
1) maggioranza assoluta (o relativa) di uno schieramento in entrambe le Camere;
2) maggioranza assoluta (o relativa) di uno schieramento in una Camera, e dell’altro nell’altra Camera;
3) pareggio tra i due schieramenti in entrambe le Camere;
4) vittoria e pareggio di uno schieramento o l’altro, in una e l’altra Camera.
(17) Vedi, nella nota precedente, gli esempi 2, 3, 4, e anche l’esempio 1 (per l’ipotesi della sola maggioranza relativa).
(18) Perché, senza primarie e controllo della vita interna ai partiti, il candidato è un dato di fatto per l’elettore, che voterà solo per appartenenza, ideologia, ideali.
(19) Giacché, assumendo che essa sia un bene in sé, si potrebbe arrivare in futuro a rappresentanti direttamente eletti nelle riunioni condominiali (per le città) e nelle parrocchie (per chi non vive in condominio). Come è possibile solo immaginare questa rionalizzazione della rappresentanza politica in un’Europa federale?
(20) Il coraggio che serve nell’immediato ai partiti veri, deve essere sostenuto dalla loro consapevolezza che essi acquisterebbero, nel giro di una legislatura, la grande maggioranza dei voti che ora vanno ai partitini.
(21) Cioè la feudale concessione del loro elettorato.
(22) Che non avrebbero il coraggio di rifiutare.
(23) Forze politiche centriste non già perché portatrici di proposte politiche moderate, bensì perché, essendo assai minoritarie, devono tenersi al centro dell’attenzione.
(24) Nel caso in cui nessuna delle due coalizioni ottenga la congrua maggioranza di seggi.
(25) DS, Margherita, RC, FI, AN ed UDC.
(26) Anche il candidato del collegio uninominale era un dato di fatto.
(27) Circa l’estensione delle circoscrizioni, non vi è alcuna connessione tra essa ed eventuali forme di coinvolgimento democratico nella scelta dei candidati. E poi non vi è alcun valore giuridico aggiunto nel stampare sulle schede i nomi dei candidati, piuttosto che conoscerli dai manifesti, da internet e dagli altri mezzi di informazione.
(28) Espungendo dalla legge ogni riferimento alle coalizioni.
(29) Nazionale alla Camera e regionale al Senato.
(30) Unico e nazionale del 4%, invece che del 5%.
(31) In misura minore per la presenza comunque dello sbarramento al 4% alla Camera.
(32) All’8%. Esso non permetterebbe di sanare il quadro politico, giacché in alcune realtà i partitini (sotto il 5% a livello nazionale) hanno le roccaforti delle loro clientele, con picchi di consenso oltre l’8%.

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  1. Federico Guidi

    Condivido quasi tutto. Eccepisco una valutazione:
    quattromilioni e mezzo di di elettori giovani non sono una piccola differenza fra i due bacini elettorali. Ottimma l’idea di un’unica scheda che dovrebbe però inserire nelle grandi regioni una sola lista per il senato e liste differenziate per le più circoscrizioni prevedibili per la Camera. Da precisare il meccanismo di distribuzione del premio di maggioranza al senato per il dovuto rispetto della prevista estrazione regionale dei Senatori. Allo stato attuale delle forze in campo ritengo che lo scoglio sia rappresentato
    dallo sbarramento al cinque per cento. Ringraziamenti e congratulazioni per questo articolo.

  2. Francesco Capraro

    Mi permetto di contestare la presunta scarsa efficacia di un sistema elettorale a “doppio turno bloccato”.
    Come infatti affermai in precedenza, non credo che i partitini che fanno parte di uno schieramento politico effettuino una scelta “ottimale” presentandosi, fin dal primo turno, separati.
    Il primo turno necessita infatti di una maggioranza assoluta proprio per la presenza di due o più candidati, e difficilmente lo schieramento B, presentandosi compatto, riuscirebbe a superare lo schieramento A che invece si presenta disunito. Tralascio eventuali fattori “psicologici” che potrebbero indurre l’elettore a votare per lo schieramento che converge su un unico candidato: baderei più alla qualità, che non necessariamente significa coesione in termini elettoralistici.
    Assodato che il primo turno è superabile ottenendo il 50%+1 voto, ipotizzerei una difficoltà nel raggiungere tale soglia, per via della presenza di più candidati.
    Si giunge dunque al secondo turno “bloccato”: saranno dunque ammessi i due candidati che hanno riportato, in sede di primo turno, i suffragi più alti. Se i candidati son solamente due, per definizione l’uno piuttosto che l’altro dovrà necessariamente ottenere una maggioranza assoluta, a meno che – ipotesi improbabile – l’elettorato si ripartisca perfettamente tra candidato A e candidato B. Allora, il secondo turno bloccato servirebbe a ridurre il potere contrattuale dei piccoli partitini, i quali potrebbero decidere di:
    – appoggiare il candidato dello schieramento affine, con la consapevolezza che il loro apporto è comunque marginale
    – sostenere il candidato dello schieramento opposto, tradendo così convinzioni ideologiche che spesso e volentieri caratterizzano queste piccole formazioni politiche
    – scegliere l’astensione, comprendendo che tale scelta sarebbe perfettamente ininfluente nel computo finale.
    Per questi motivi, rimango convinto del fatto che un siffatto sistema elettorale garantirebbe maggiore stabilità.

  3. Luigi S.

    Premetto di non essere un esperto di politologia. Tuttavia mi sembra che la tesi principale del Suo articolo sia problematica: cioe’ che un sistema proporzionale possa essere al contempo con sbarramento e premio di maggioranza. Se c’e’ uno sbarramento, allora le alleanze tra partiti devono essere vietate (altrimenti lo sbarramento e’ inutile); ma a questo punto il premio di maggioranza non premia una larga coalizione (che e’ vietata), ma bensi’ un partito – e questa e’ certamente una distorsione dell’uso del premio di maggioranza. L’unica possibilita’ e’ che i partiti si possano alleare, ma non fondere (cioe’ un’alleanza puo’ vincere il premio di maggioranza, ma non puo’ contare per il superamento dello sbarramento). E questa la Sua idea?

    • La redazione

      Non c’è alcun necessario automatismo tra sbarramento e divieto di alleanze tra partiti (con la vecchia legge elettorale uninominale, alla Camera c’era lo sbarramento al 4% e non mi pare fossero vietate le alleanze elettorali). Lo sbarramento al 5% sul piano nazionale va visto in connessione con il non conteggio (nel monte voti coalizionale) dei voti presi dai partitini coalizzati ma sottosoglia: sono due strumenti che
      chirurgicamente (piaccia o non piaccia) estirpano dalla scena politica le microformazioni, togliendo ad esse gli strumenti di ricatto verso i veri partiti (o coalizioni): altrimenti questi ultimi, pur di prendere l’ 1, 2, 3 % dei partitini, continuerebbero ad ospitarli ed a rendere, con ciò stesso, disomogeneo il programma e precaria la stabilità del governo e dell’azione legislativa. Il premio entra in gioco anche per aiutare i
      partiti veri ad avere coraggio ed a contare solo sulle loro forze per vincere: infatti con esso è necessario solo prendere un voto in più dell’avversario per raggiungere comunque una buona, identica, maggioranza di seggi nelle due Camere (identica, con l’unico voto su unica scheda; a Costituzione invariata dovrebbero essere stampati due tipi di scheda, quelli che valgono per entrambe e quelli solo per la Camera ).
      Evidentemente, l’ottimo sarebbe che le coalizioni si facessero tra i veri partiti in grado di superare il 5%, ma se anche accadesse che entrambe le coalizioni accettassero l’appoggio dei partitini, questi ultimi non potrebbero accampare pretese sull’esito della vittoria finale, giacchè il solo fatto dell’essere “ospitati” nelle liste “serie” e non solo nelle “loro”, li avrebbe ripagati della loro marginale dote di 1, 2, 3 punti percentuali (marginale e poco determinante, proprio per la presenza del premio, a cui non contribuiscono i loro voti sottosoglia). Questo può fare una legge elettorole: starà poi alla “serietà politica” delle due coalizioni il rifiutare alleanze con partitini, ovvero alla “serietà degli elettori” non premiare estemporanee alleanze elettorali tra microformazioni (ad oggi, nessuna di queste ultime sarebbe comunque in grado di superare il 5% sul piano nazionale; ovviamente di quelle politicamente sostenibili: infatti chi mai voterebbe un’alleanza Lega-UDEUR-Italia dei Valori-NuovaDC e nuovo PSI – Verdi – SDI – Coministi italiani). Questi due istituti, necessitano, per essere approvati, dell’accordo dei partiti veri (AN, FI, UDC, Margherita, DS, Rifondazione), tutte le altre microformazioni osteggiandoli, giacchè nessuno aderisce volontariamente alla propria scomparsa.
      Domenico Argondizzo

  4. Luigi S.

    Grazie per la lunga risposta. Tuttavia mi pare che il punto principale sia: come si applicano il premio di maggioranza e lo sbarramento? L’unica risposta possibile – mi sembra – e’ che il premio di maggioranza si applica sia ai partiti che alle coalizioni (o solo alle coalizioni, se un partito non-coalizzato viene considerato “coalizione ad un membro”); al contrario, lo sbarramento si applica solo ai partiti e non alle coalizioni.
    Che c’e’ di sbagliato in questa semplice soluzione?

    Mi sembra invece dalla Sua risposta che lei vorrebbe applicare lo sbarramento sia ai partiti sia alle coalizioni (sbaglio?).

    Luigi Secchi

    • La redazione

      E’ necessaria una chiarificazione terminologica: lo sbarramento (al 5%) ed il premio di maggioranza (tutti e due su base nazionale) dovrebbbero essere applicati ai “soggetti politici” partecipanti alle elezioni, indipendentemente se essi siano singoli partiti ovvero partiti coalizzati (cioè alleati, più o meno organicamente). Ne consegue che è solo estremamente irrealistico che una coalizione non superi lo sbarramento nazionale del 5%, ovvero che un solo partito politico superi tutti gli altri soggetti (partiti o coalizioni) e si aggiudichi il premio. Urge poi una precisazione de iure condendo: ho detto precedentemente che ai partitini, “disarmati” dallo sbarramento nazionale e secco al 5% e dal premio di maggioranza, non resterebbe che adescare i partiti veri (e
      quindi le due coalizioni), con la dote delle loro marginali fette di consenso elettorale, al fine di farli arrivare ad avere anche un solo voto in più della coalizione avversaria. Ma probabilmente, stante la situazione politica, prima si avrà un accordo sulla riforma all’interno delle due coalizioni, poi tra loro, e poi si andrà (fra qualche tempo) ad elezioni con una nuova legge che sarà piuttosto “dolce” con i partitini (presenti in entrambi i poli). Quindi non si risolverà il problema della stabilità dell’Esecutivo e della continuità dell’indirizzo politico della Legislazione. Servirebbe, invece: 1) un accordo diretto tra i partiti veri su una legge (che avesse le caratteristiche che si è detto); 2) un reciproco affidamento a non accettare, in sede di formazione delle liste e di composizione delle coalizioni, quell’1,2,3 % proveniente dalle microformazioni reiette dalla coalizione avversaria. Questa decisione comune delle due coalizioni dovrebbe provenire dalla fiducia nella
      capacità delle loro rispettive proposte politche di raggranellare quel consenso “disperso” che si raccoglie ora “atomisticamente” (e quindi senza la necessità di cooptare, all’interno delle coalizioni, la piccola feudalità che guida i partitini); 3) la volontà, quindi, di superare il trasformismo attraverso la via principale del “plasmare il sistema partitico”, e non invece attraverso i “falsi miti” dell’abbandono della forma di governo parlamentare.

  5. Renzo Forti

    Al di là delle possibili “tecnicalità” con cui realizzare una legge elettorale efficiente, mi chiedo con quale credibilità e come sia possibile che al “tavolo” di discussione si presentino quelle forze politiche che, immediatamente a ridosso della tornata elettorale, hanno confezionato l’attuale pasticciata legge elettorale. Addirittura, esponenti di quelle forze politiche che hanno votato in Parlamento la suddetta legge, a distanza di appena un anno da quel voto, invitano il proprio elettorato a firmare per l’iniziativa referendaria.
    E allora il problema è più politico che “tecnico”: se ci fosse vera volontà politica di addivenire ad una riforma seria dei meccanismi elettorali si troverebbero quasi certamente anche le soluzioni più opportune.

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