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Domande fondamentali

I giovani avranno la pensione? E a quali condizioni? Come agiscono i coefficienti di trasformazione? Un’eventuale nuova riforma comporterebbe vantaggi o svantaggi per chi entra oggi nel mercato del lavoro? E quali conseguenze avrebbe la rimozione dello scalone? Interrogativi basilari, postici dal Forum Nazionale Giovani che chiedono risposte chiare. Ma l’unica via per non penalizzare troppo i più giovani è anticipare l’entrata in vigore delle nuove regole previdenziali. Come in Svezia, dove il sistema contributivo è stato adottato subito per tutti, escludendo solo gli ultrasessantenni.

1) I giovani avranno la pensione? E se sì, a che condizioni la avranno?

Per effetto delle riforme pensionistiche dell’ultimo decennio, per i giovani i tassi di rimpiazzo (ovvero il rapporto tra prima prestazione pensionistica e ultimo salario) delle generazioni che vanno in pensione ora sono irraggiungibili. Questo perché la pensione pubblica offrirà un rimpiazzo del reddito da lavoro del 35-40 per cento nei casi migliori, contro l’attuale 65-70 per cento. (1) L’unica via per coprire questo “buco” pensionistico è garantire, specialmente ai giovani, rendimenti più elevati all’accantonamento ora versato al trattamento di fine rapporto.
Il rischio è che un giovane che oggi entra nel mercato del lavoro finisca, anche dopo 45 anni di lavoro (otto anni in più in media di chi va in pensione ora), per ricevere una pensione inferiore al minimo sociale. È una questione di equità intergenerazionale e sostenibilità allo stesso tempo. L’aliquota di equilibrio (il contributo che dovrebbe essere pagato per azzerare il deficit dell’Inps) è oggi vicina al 45 per cento. Come si può a chiedere a qualcuno di trasferire quasi il 50 per cento del proprio salario a chi va in pensione a 57 anni, dopo 35 di lavoro, sapendo che lui stesso percepirà una pensione, in rapporto all’ultimo salario, del 20-30 per cento inferiore a quella del beneficiario del suo trasferimento? Quindi per i giovani deve essere incentivato al più presto il trasferimento del Tfr ai fondi pensione. Il sindacato ha un ruolo fondamentale da giocare in questo quadro. I giovani sono spesso occupati in piccole imprese, soggetti alle pressioni (se non al ricatto) dei datori di lavoro che chiedono di mantenere il Tfr presso l’azienda. Per evitare le pressioni e i ricatti, bisogna che la scelta su cosa fare del Tfr sia coordinata fra i lavoratori. Di qui il ruolo insostituibile del sindacato, che però sulla questione ci sembra molto distratto.

2) Coefficienti di trasformazione? Quali vantaggi o svantaggi per i giovani da un’eventuale riforma? Quali vantaggi o svantaggi, inoltre, dalla rimozione dello scalone?

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Partiamo dai coefficienti di trasformazione. Quando si va in pensione, i coefficienti convertono il montante di contributi accumulati durante la vita lavorativa in quiescenza annuale. Il coefficiente tiene conto di due aspetti: è graduato sulla base degli anni di anticipo rispetto ai 65 anni (cresce al crescere dell’età di pensionamento) ed è calibrato sulla speranza di vita, perché una vita attesa più lunga implica che le prestazioni devono essere versate per un numero maggiore di anni. I coefficienti attualmente variano da un minimo del 4,720 per cento (a 57 anni di età) a un massimo di 6,136 (a 65 anni di età). Ciò significa che chi, a 65 anni di età, avesse accumulato un montante per 100mila euro, si vedrebbe riconosciuta una pensione di 6.136 euro all’anno.
Senza revisione dei coefficienti, il sistema contributivo non sarebbe sostenibile e non avrebbe più ragion d’essere. La variazione dei coefficienti di trasformazione è parte integrante della riforma Dini e costituisce uno dei capisaldi della equità intergenerazionale. Quando la longevità aumenta, le pensioni devono essere adeguate a questo cambiamento, altrimenti la generazione che va in pensione otterrà più risorse di quelle preventivate, facendo pagare “il regalo” alle generazioni presenti e future attraverso un aumento dell’imposizione fiscale. Non modificare i coefficienti di trasformazione equivale ad aumentare la generosità delle pensioni per quelle generazioni che andranno in pensione prima della prossima riforma. Infatti senza aggiustamento dei coefficienti il sistema sarà presto insostenibile e bisognerà intervenire di nuovo, aumentando ulteriormente i contributi sociali per i lavoratori oppure l’età di pensionamento o riducendo il reddito pensionistico per le future generazioni. Quindi, il mancato aggiustamento oggi dei coefficienti, aumenta anche il “rischio politico” di vedersi cambiate ulteriormente le regole previdenziali a proprio svantaggio in futuro (più contributi mentre si lavora, meno trasferimenti da pensionati e maggior età di pensionamento) e aumenta l’incertezza nel pianificare il proprio futuro previdenziale.

Per ridurre il rischio politico di nuove riforme, bisognerebbe rendere gli aggiustamenti dei coefficienti automatici in base agli aggiornamenti delle tavole di mortalità compilate dall’Istat, come già avviene in Svezia. La revisione automatica eviterebbe di intervenire sempre in ritardo (e con processi decisionali che finiscono inevitabilmente per non garantire i lavoratori più giovani) nell’adeguare il sistema previdenziale alla dinamica demografica.



Come mostra il grafico qui sopra, tratto da un rapporto della Ragioneria Generale dello Stato, senza l’aggiornamento dei coefficienti, la spesa pensionistica aumenterebbe di circa due punti di Pil. Da notare che il quadro previsionale offerto dalla Ragioneria potrebbe radicalmente cambiare ove insorgessero resistenze alla caduta tendenziale delle coperture al pensionamento così come di quelle successive. Se i coefficienti non fossero aggiornati e fossero introdotte, anche con cadenza irregolare, forme di perequazione delle pensioni superiori all’inflazione, il profilo della annunciata ‘gobba’ sarebbe diverso, fino a portare la spesa ben oltre il 20 per cento del Pil (anziché al 16 per cento). Per contro, la revisione indurrà i lavoratori a elevare spontaneamente l’età media di pensionamento. E, dal punto di vista macroeconomico, ciò conterrà la crescita dei pensionati liberando le risorse necessarie a preservare al meglio le pensioni e a garantire un reddito minimo a tutti, giovani e anziani, come misura di contrasto alla povertà.
Riguardo allo scalone, abbiamo espresso più volte le nostre perplessità su questa misura perché riteniamo che siano preferibili interventi che mantengano flessibilità e libertà di scelta su quando andare in pensione. Dal punto di vista dei giovani, tuttavia, l’abolizione dello scalone senza alcuna misura che contenga la spesa pensionistica (tipo riduzioni attuariali delle pensioni per chi va in pensione prima dei 65 anni), significherebbe dover sobbarcarsi quasi 9 miliardi in più di tasse per pagare le pensioni di chi si sta ritirando dalla vita attiva con quiescenze ben più alte di quelle cui i giovani avranno diritto domani. La rimozione dello scalone senza interventi sostitutivi sarebbe dunque un nuovo schiaffo all’equità intergenerazionale.

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3) Che cosa vuol dire per voi impostare la riforma delle pensioni nell’ottica della solidarietà tra le generazioni?

Vuol dire anticipare l’entrata in vigore delle nuove regole previdenziali, come avvenuto in Svezia, dove il sistema contributivo è stato adottato subito per tutti, tranne per chi aveva più di 62 anni, anziché essere circoscritto ai più giovani. La comparazione fra Italia e Svezia, si veda il grafico qui sotto, è un chiaro esempio di come i giovani siano da noi sotto-rappresentati nel processo politico. Bene che oggi facciano sentire di più la loro voce.

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Sommario 8 marzo 2007

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Iniziative in memoria di Riccardo

19 commenti

  1. Gabriele

    L’iniquità è enorme. E la trasformazione del tfr in capitale per la rendita pensionistica non sposta di una virgola la gravissima sperequazione segnalata nell’articolo.
    Non sono d’accordo con chi ritiene che questa sia la soluzione.
    Anzi, direi che al danno si aggiunge la beffa!!!
    Per un’integrazione di 100 euro al mese (o poco più) di pensione, chi andrà in quiescenza tra venti-trent’anni, dovrà rinunciare a decine di migliaia di euro di retribuzione differita (il tfr, appunto).
    L’unica soluzione, a mio avviso, è quella di cancellare il concetto di “diritto acquisito” e di istituire un fondo di solidarietà intergenerazionale, che gravi non solo sui pensionandi, ma anche sui pensionati.
    Questi ultimi stanno beneficiando di privilegi derivati da condizioni storiche irripetibili: il boom economico, il boom demografico e, soprattutto, la guerra fredda (da cui è dipeso l’utilizzo irresponsabile delle politiche di welfare in chiave di controllo del consenso politico). Ricordo che l’assetto del nostro sistema di welfare è unico al mondo quanto a proporzione della spesa sociale dedicata alle pensioni.
    Credo che sia arrivato il tempo per l’innesco di un’azione collettiva promossa dalle giovani generazioni che debbono prendere consapevolezza della grave ingiustizia che stanno subendo.
    Non credo che ci sia alternativa all’avvio di una fase di sana e forte conflittualità sociale che veda protagoniste le giovani generazioni.
    Non riconosco nell’attuale scena politica alcun partito o movimento politico che abbia raccolto tale istanza. Anzi, è assolutamente prevelente, a destra come a sinistra, un atteggiamento di conservazione.
    Si avverte, a mio avviso, la necessità che nasca un nuovo soggetto politico.

  2. Paola Rossato

    A proposito dello scalone pensioni, vorrei capire come mai non ho mai sentito alcuno parlare dei problemi che questo scalone comporta agli invalidi civili che hanno raggiunto i 35 anni di contributi versati, ma non hanno i 57 anni nel 2007 (quindi i nati tra il 1951 e 1955) Credo che non ci voglia molto per capire che a parità di età anagrafica il disabile è fisicamente in svantaggio e aspettare i 60 anni, e forse più, per andare in pensione, non mi risulta personalmente una aspettativa felice.Forse ci
    saranno tanti disabili che si vogliono illudere di sentirsi fisicamente alla pari degli altri, quindi, per non offendere nessuno, io riterrei utile che, raggiunti i 35 anni di contributi, l’età anagrafica sia facoltativa. Grazie.
    Benedetta

  3. tommaso morbiato

    Per me in Italia non ce la faremo mai a passare al contributivo per i pensionati attuali come in Svezia,
    amenochè un politico non riesca a farsi votare da colui al quale abbassa la pensione…
    la soluzione -tutta italiana- che osservo è qualcosa del tipo “il nonno che con il suo surplus paga le vacanze ai nipoti che non se le possono permettere”
    in prospettiva più seria questo prelude è vero ad un “fondo di solidarietà intergenerazionale” ma trovo che una sua eventuale disciplina necessiti di soggetti politici e amministratori dotati di un “principio responsabilità” che l’attuale parlamento fa assai fatica a mettere in campo in mezzo al groviglio di compromessi reciproci di cui
    si alimenta.

  4. FRANCO BONACCHINI

    perchè il sindacato sul tema del trasfeimento del tfr è, secondo voi, distratto? Io lavoro nel veneto nel settore bancario e vi garantisco che c’è un impegno forte sulla destinazione del tfr a fondi che permettano l’incremento della pensione.

    • La redazione

      Il sindacato non ha fatto nulla per impedire l’operazione Tfr all’Inps e sta facendo pochissimo per promuovere l’adesione ai fondi pensione, anche a quelli collettivi. Pochi lavoratori dichiarano di essere stati informati dal sindacato. Cordialmente

  5. camillo

    Penso che andrebbe introdotto un principio generale: gli effetti di decisioni nel campo dell’economia attuate da persone scelte o elette da una certa generazione, che risultano in seguito non sostenibili per errori di valutazione degli scenari futuri e per questo richiedono misure correttive, non possono lasciare indenni quelli che risultano essere dei vantaggi di cui godono quelle generazioni rispetto alle generazioni successive, addebitando solo a queste ultime i minori vantaggi (o svantaggi) derivanti da tali correzioni.

  6. Angelo B.

    Continuo a non capire come si possa spacciare per equità la revisione dei coefficienti di trasformazione e a “condannare” lo scalone. Non è certo equa la filosofia del “più a lungo vivi meno soldi avrai per vivere”. Anche il meccanismo delle revisioni decennali è evidentemente iniquo, perché si verificheranno situazioni in cui, per un solo giorno di anzianità mancante, qualche malcapitato si “beccherà” una decennale in più: e questo mi sembra ben più grave di uno scalone. Dall’altra parte si continua a trattare con i guanti di velluto una generazione di lavoratori che ha avuto tutte le garanzie immaginabili, a partire dal mantenimento del retributivo.
    Infine una domanda tecnica: sulla base di quali criteri vengono determinate le revisioni decennali? E’ davvero possibile che in soli dieci anni si sia resa necessaria un’ulteriore falcidie del 10% della già falcidiata pensione contributiva? Credo che in materia occorra la massima trasparenza.

    • La redazione

      Infatti bisognerebbe avere revisioni più frequenti, ogni anno, e basate su indicatori obiettivi, accessibili a tutti, quali le tavole di sopravvivenza.

  7. Giuseppe Chessa

    Vorrei chiedere se esiste la possibilità reale di affrontare il PROBLEMA SOCIALE DELLE PENSIONI in un modo diverso da quello generalmente proposto (che semplicemente prevede di “tagliare” le pensioni future!!).
    1) Se il calo demografico (ovvero, detto in altro modo, l’invecchiamento della popolazione) è la principale causa della crisi finanziaria del sitema pensionistico, perchè non si sollecita mai (da parte degli esperti), quale possibile rimedio, una politica seria, incisiva, determinata ed immediata di incentivi e sostegni alla famiglia per invertire la tendenza demografica (visto che più figli = più lavoratori = più contributi = più pensioni)?
    2) Può qualcuno chiarire se il sistema previdenziale sarebbe in equilibrio scorporando dallo stesso l’assistenza sociale per porla a carico della fiscalità generale (lasciando che i contributi finanzino solo le pensioni)?
    3) In quale misura il concreto recupero dell’evasione contributiva e fiscale (che a detta degli stessi organi istituzionali in Italia, ma non in altri Paesi, sarebbe “spaventosa”!!) riequilibrerebbe il sistema previdenziale?
    Premesso quanto sopra, è vero che in alcuni Paesi europei (e in quanti) sulla pensione non si opera alcun prelievo fiscale (perchè esentasse) e, quindi, ogni generica comparazione tra Italia e altri Paesi rischia di non essere omogenea (perchè non sarebbe corretto concludere che in Italia la spesa per pensioni è più elevata)?
    Di conseguenza, con quale “coraggio” si propone di far pagare ai giovani di oggi tutte le inefficienze e le iniquità della situazione Italiana?
    Non vi sembra, che:
    a) lasciare solo alla “speranza” di futuri rendimenti più elevati degli accantonamenti al TFR sia una soluzione “misera”?
    b) chiedere a un giovane “precario” da 700/800 euro al mese di versare altri contributi a un Fondo Pensione sia persino “offensivo” della sua dignità di individuo?
    b) la revisione dei coefficienti sia null’altro che un “taglio” delle pensioni ai giovani?

    • La redazione

      Il sistema non sarebbe in equilibrio scorporando l’assistenza, ma bene creare una rete di assistenza separata e non solo per gli over 65. Deve valere a tutte le età.

  8. Marco

    Liberare il Tfr dal vincolo di un solo gestore, l’azienda presso cui si lavora, è il primo passo ma è possibile sperare di liberare anche i contributi obbligatori versati all’Inps, almeno in parte. Una buona percentuale dei contributi Inps potrebbero essere versati al fondo pensione?
    Questa è l’unica soluzione vera!
    Saluti

  9. Giovanni

    Si parla tanto di solidarietà generazionale ma a me sembra che si richieda solidarietà solo a chi deve ancora andare in pensione mentre i pensionati vengono considerati intoccabili in base ai cosiddetti diritti acquisiti.
    Ma più che di diritto si dovrebbe parlare di privilegio acquisito se viene impedito ad un lavoratore di andare in pensione quando, negli anni passati, altri hanno potuto godere del pensionamento a parità di presupposti di età e/o di anzianità contributiva,
    Inoltre, se si sostiene che il sistema pensionistico sia in procinto di collassare, la “colpa”, ammesso che di colpa si possa parlare, non è certo imputabile a coloro che sono ancora nel mondo del lavoro bensì, semmai, a coloro che hanno potuto andare in pensione senza aver versato adeguati contributi (pensioni baby, anzianità convenzionali, ecc. ecc.).
    Se c’è crisi, è crisi per tutti e difendere certe posizioni a danno di altre, considerate intoccabili, aggiunge ingiustizia ad ingiustizia.

  10. David Dreon

    Vorrei spostare l’attenzione su un problema che in un primo momento può sembrare esclusivamente etico, ma che in realtà ci pone di fronte a notevoli ricadute a livello sociale:
    Gli economisti c’insegnano che in nome del principio dell’efficienza le imprese devono minimizzare i costi; ma questo, specialmente in Italia, come avviene ?
    Avviene tagliando il personale o magari attuando quei processi di delocalizzazione che fanno sì che si vada ad investire nei Paesi in via di sviluppo, dove c’è una totale assenza dei diritti fondamentali dei lavoratori, dove siamo in presenza del lavoro minorile. Queste sono le imprese che presentano i bilanci più allettanti, perlomeno sotto il profilo contabile, e i fondi comuni andranno proprio ad investire in queste imprese. Personalmente credo che ci sia una notevole contraddizione sul fatto che con i soldi dei lavoratori si vada a finanziare proprio questo genere d’imprese, cioè che si vada a premiare quelle imprese che licenziano, che non investono in ricerca e sviluppo e che non rispettano i diritti dei lavoratori. Credo che alcune risposte potrebbero essere date dai fondi etici, ossia quei fondi che non investono nelle imprese che adottano i comportamenti sopraccitati, oppure si potrebbe dare la possibilità ai lavoratori di trasformare parte del proprio TFR in quote o azioni dell’impresa e dare così l’opportunità ai dipendenti di eleggere propri rappresentanti nel consiglio di amministrazione, che perseguano così due interessi che finalmente verrebbero a coincidere: quelli del capitale e quelli del lavoro.
    Dott. David Dreon

  11. Youssef

    Da straniero, vedo questo popolo di giovani addormentati che si lasciano schiacciare senza muovere un dito. Far sentire la propria voce non è più abbastanza, serve qualcosa di più. Uno scontro, una rivoluzione intergenerazionale per non dover ricorrere al congelamento dei propri nonni dopo la morte, per poter mantenere la propria famiglia. Meglio risolvere ora il problema. La spaccatura politica in questo senso non aiuta molto, neanche per lo stesso interesse un giovane di destra ed un giovane di sinistra, sarebbero disposti a lottare fianco a fianco? Tutto a beneficio di chi ha goduto e continua a godere di una rendita a vita. C’è un prezzo da pagare? allora che lo paghino tutti, non solo i giovani, ma non vedo in giro movimenti (università,associazioni..ecc) pronti a lottare per i prorpri diritti ed il proprio futuro. Giovani Italiani sollevatevi, ribellatevi per un equità generazionale, basta aver mandato giù la metà peggiore della legge Biaggi che vi ha precariezzato, mentre l’altra metà quella degli ammortizzatori sociali l’hanno persa per strada, ora vi vogliono far pagare anche quella della loro mancata natalità per poi rinfacciarvi il fatto che i giovani oggi stanno a casa in famiglia oltre i 30 anni. Cosi si morirà in casa dei genitori oppure dovrete immigrare dopo la pensione in posti dove il valore di quella miseria che ci daranno potrà garantire una vita dignitosa. Per me può anche andare bene, visto che tornerei a casa, ma voi perché dovreste farlo?

  12. Giancarlo Di Stefano

    Ogni volta che sento parlare di solidarietà intergenerazionale a proposito della Legge Dini mi sento preso in giro. Ma mi sento preso in giro doppiamente anche quando qualcuno fa riferimento “all’improrogabile necessità di destinare il TFR ad integrare el future pensioni dei giovani”. Voglio capovolgere la logica dominante dell’equilibrio del sistema pensionistico, e parlare – una volta tanto – di interesse individuale e di EQUITA’ intergenerazionale. Con lo stesso ammontare di contributi che le generazioni “sotto lo scalone” (l’unico che conta realmente quello dei 18 anni di anzianità nel 1995) qualunque fondo pensione anglosassone serio riuscirebbe ad ottenere nel lungo periodo un rendimento medio annuale nettamente superiore al 6%. Ciò vuol dire che la misera rivalutazione garantita dal PIL al “montante contributivo” costituisce un primo esproprio, mentre un secondo – ben più grave – è costituito dal riconoscimento di un coefficiente di trasformazione che attualmente al massimo arriva al 6,136%. Lo stato ci riconosce controparti di una sorta di usufrutto di un prestito irridemibile ed alla nostra morte si prenderà senza tanti complimenti il capitale. E perchè fa ciò? Per finanziare le pensioni di coloro che se le stanno già godendo o se le le godranno tra poco SENZA AVER VERSATO I NECESSARI CONTRIBUTI. Quella che gli economisti definiscono “genenerazione fortunata” ovvero quella che ci guarda da sopra lo scalore ha un vantaggio tra il dare (i contributi a suo tempo versati) e l’avere (le pensioni ed il TFR percepito) mediamente di circa 200.000 euro tondi. Noi giovani perdiamo lo stesso ammontare. E’ questa l’equità? Stendiamo inoltre un pietoso velo sulla capacità che i futuri fondi pensione ottengano buone performance: i fondi comuni italaini costituiscono un buon esempio su quello che realmente accadrà.

  13. Mapo

    Vorrei esprimere alcuen idee semplici da parte della generazione “sfortunata” cioé quella che oggi con i propri contributi finanzia la previdenza che l’Italia non potrebbe permettersi e dall’altro subisce/subirà i coefficienti di equilibrio del sistema pensionistico (cioé andrà in pensione con una miseria). Si continua a parlare di riforma pensionistica (a danno delle generazioni future) senza affrontare il problema (almeno lo scalone ci metterebbe una piccola pezza):
    – é necessarrio rivedere coefficienti dei beneficiati del retributivo ante 95 (+ 18 anni contributi nel 2003) con riduzione pensione effettiva (questo é miglior disincentivo a pensioni anzianità)
    – visto che le giovani generazioni devono inziare a lavorare prima rispetto oggi e con montanti contributivi più ampi é necessario introdurre meccanismi di benefit fiscale previdenziale graduali che si riflettano da un lato in accantonamenti nominali più ampi (es. inclusioni contributi previdenziali privati che cmq non graveranno sullo Stato) dall’altro nell’aumento del salario reale (es. defiscalizzazione aumenti contrattuali finoa 40 anni età o fino 15 anni contributi)
    – riduzione precarietà “previdenziale” dei giovani lavoratori
    Così si comincia a ripristinare la solidarietà intergenerazionale altrimenti si chiacchiera e a subire saranno solo i giovani (come la Dini, gran riforma, ma fatta facendo pagare ai giovani la tenuta previdenziale e non a tutti in egual misura)

  14. Carlo Pretara

    Leggo in molti commenti la rabbia per l’intenzione di intevenire solamente sui giovani e comunque sulle generazione “sotto lo scalone” per riequilibrare il sistema finanziario.
    I diritti acquisiti, specie da chi è andato o sta andando in pensione, non sono facili da toccare, anzi è praticamente impossibile farlo.
    Questo sia per una questione politica, ma anche per questioni sociali: le pensioni maggiori vanno a sopperire alla cronica mancanza di welfare “giovanile” presente nel nostro paese. Togliere queste pensioni improvvisamente vuol dire stravolgere i piani di molte famiglie e lasciare i giovani in mutande.

    Anche se il “welfare familiare” è iniquo, ora è inutile guardare al passato se non per non ripetere i suoi molti errori, ma è bene impostare per il futuro una politica che non renda più necessario questo strano welfare che blocca la mobilità sociale. Ora è utile concentrarsi su come riequilibrare il sistema, garantendo un decente tasso di sostituzione ai vent’enni come me, ma muovendosi con la consapevolezza che a mutate condizioni sociali e di qualità della vita rendono diversa la “fatica” del lavoratore.

    In questo riformare, bisogna pian piano sostituire lo squilibrio della spesa sociale troppo pensioni-oriented e indirizzarla maggiormente sul welfare, sostituendo molti ruoli oggi inefficacemente svolti dalle famiglie con contributi pubblici, come avviene in molti paesi.

    I giovani sono tra i maggiori portatori di interesse, e di giovani che si interessano e hanno proposte a 360 gradi ce ne sono. Quindi ringrazio il prof. Boeri per aver rilanciato il tema della nostra rappresentanza, e non solo da queste colonne, e torno ad auspicare un nostro coinvolgimento fattivo nelle prossime concertazioni.

    Saluti,
    Carlo Pretara
    http://carlop.ilcannocchiale.it

  15. silvana

    Tutti dicono che la pensione Inps dei giovani di oggi, futuri pensionati. arriverà si e no al 30-40% dell’ultimo stipendio (qualcuno parla del 20%). Nessuno dice quanta percentuale sarà integrata dai fondi pensione. Anch’io temo rendimenti molto bassi. E nessuno parla dei fallimenti di alcuni fondi collettivi già esistenti (Fondo pensione dei dipendenti della Banca Commerciale Italiana, dei dipendenti dell’Istituto Bancario Italiano, dei dipendenti del Teatro Carlo Felice di Genova e chissà quanti altri casi che non conosciamo, perchè a questo tipo di notizie non viene data alcuna risonanza). Nessuno, nel Governo, affronta questo tema spinoso. Mi attendo che nella riforma della previdenza ci sia una doverosa tutela pubblica per i fondi pensione (siano essi fondi chiusi o fondi aperti).

  16. FRANCO BONACCHINI

    Non è per amore di polemica, ma la scarsa informazione sindacale sui fondi pensione deve avere un nome e cognome. Per quanto mi riguarda posso dire che sono state fatte assemblee di tutti i lavoratori, che il giornale sindacale che ricevo ha tutte le spiegazioni e la documentazione necessaria, che comunque avessi bisogno di informazione specifica troverei chi me la sa dare con sufficiente competenza.
    La risposta che i lavoratori interpellati non sono stati informati non mi dice assolutamente niente. Se leggono la gazzetta dello sport ed il bollettino parrochiale, temo, saranno sempre all’oscuro di tutto.
    Ovviamente i problemi relativi ai fondi, alla loro solvibilità futura e alle garanzie restano comunque tutti.
    Seconda questione:
    Molti lavoratori, fra cui anche il sottoscritto che è stato per alcuni anni assunto come bracciante agricolo, hanno i cosiddetti contributi figurativi che ti permettono di permanere in continuità contributiva, ma non di avere la pensione di anzianità. Questo va bene, ma come la mettiamo con il passaggio d’amblè al sistema contributivo?
    è altrettanto penalizzante. Proporrei comunque prima di tutto un consistente tetto pensionistico.
    cordiali saluti

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