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Quel singolare quoziente di famiglia

Due proposte in Parlamento per l’introduzione di un “quoziente” destinato a sostituire le detrazioni per carichi familiari. A prima vista un sistema corretto: all’aumentare della numerosità del nucleo familiare, diminuisce il reddito soggetto a imposta, cosicché si applica una aliquota più bassa. In realtà, a ridursi è la progressività, a vantaggio delle famiglie con redditi medio-alti e alti. E con effetti di disincentivo del lavoro femminile. La previsione di una soglia oltre la quale il quoziente non si applica mostra poi la contraddittorietà del progetto.

L’introduzione del “quoziente familiare” è stata di recente riproposta in Parlamento, al Senato da parte dell’opposizione e alla Camera da parte, inopinatamente, di alcuni deputati della maggioranza.

Cos’è il quoziente familiare

Il “quoziente familiare” sostituisce le detrazioni per carichi familiari e consiste nel sommare i redditi dei coniugi e dividere il risultato per un numero rappresentativo dei membri del nucleo familiare pesati in modo diverso; al reddito pro-capite così ottenuto si applica l’imposta e, per ottenere l’importo complessivo, si rimoltiplica per il denominatore del quoziente.
Sembrerebbe a prima vista un sistema attraente: all’aumentare della numerosità del nucleo familiare, il reddito su cui si applica l’imposta si riduce, cosicché ricade in uno scaglione inferiore ed è soggetto a una aliquota più bassa. In realtà, come è stato già sottolineato, il quoziente finisce per ridurre la progressività dell’imposta a vantaggio delle famiglie con redditi medio-alti e alti.
A titolo esemplificativo, gli effetti della proposta del centrodestra al Senato, in termini di redistribuzione tra i decili di reddito familiare, confermano questa tesi e aggiungono utili elementi di riflessione (vedi la tavola).

Costi ed effetti redistributivi

Il costo: oltre 3,5 miliardi di euro di complessiva perdita di gettito, che salgono a oltre 9 miliardi se si introduce una clausola di salvaguardia, come appare inevitabile dato che una famiglia su quattro, collocata nei decili inferiori e centrali, subisce un aumento consistente del carico fiscale.
Gli effetti redistributivi: i vantaggi sono concentrati sulle famiglie dei due decili superiori di reddito e soprattutto su quelle del decimo, mentre le famiglie dei primi otto, in particolare quelle dei decili centrali, subiscono perdite significative. Si tratta di una redistribuzione di reddito dalle classi basse e, soprattutto, medie a quelle alte.
Le ragioni di questi effetti regressivi possono essere chiarite in termini generali confrontando gli sconti di aliquota consentiti dal quoziente con le detrazioni per carichi che vengono soppresse. I contribuenti più ricchi godono del passaggio a scaglioni di reddito inferiori dovuto alla divisione del reddito per i membri del nucleo familiare, con un consistente sconto di aliquota, mentre i contribuenti che già oggi si collocano nei primi scaglioni non hanno sconti di aliquota significativi. Per ogni figlio a carico, quindi, il contribuente con reddito elevato si avvantaggia di uno sconto di imposta molto superiore a quello di cui godono i contribuenti con redditi bassi e medi. Sconto che per i primi sopravanza largamente le detrazioni perdute, mentre per i secondi risulta ad esse nettamente inferiore, producendo così un aggravio di imposta.
Va rilevato inoltre che a guadagnare di più sono i contribuenti con elevati redditi e coniuge privo di reddito: la riduzione d’imposta dovuta al quoziente risulta tanto più consistente quanto maggiore è il differenziale tra il reddito alto (generalmente del marito) e il reddito basso o nullo (generalmente della moglie) che, sommato al primo e diviso per il numero dei familiari, fa scendere di scaglione il reddito elevato e quindi l’aliquota: è quanto accade per esempio al dirigente o al professionista con moglie casalinga. Lo sconto di aliquota risulta invece molto più modesto quando ambedue i coniugi lavorano e quindi il differenziale è più contenuto, pensiamo per esempio a una coppia di impiegati. È addirittura nullo quando ambedue i redditi si collocano nelle fasce basse, come potrebbe essere per una coppia di operai.
Non solo. In genere, dei due redditi è quello della moglie a risultare più basso, così alla riduzione dell’aliquota marginale sul reddito del marito corrisponde un aumento di aliquota marginale per la donna lavoratrice, con effetti di disincentivo del lavoro femminile.
Per non parlare poi dell’assurdo per cui, in base alla proposta del centrodestra, un genitore vedovo godrebbe di un quoziente maggiore, e quindi di un maggior sconto di aliquota, del genitore non coniugato o separato o divorziato: sui figli ricadano le (si fa per dire) “colpe” dei genitori.

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La proposta di centrosinistra

Di un’analoga proposta, che condivide con quella del centrodestra gli effetti redistributivi favorevoli ai redditi alti e il peggioramento della posizione relativa delle donne lavoratrici, si fanno promotori anche alcuni parlamentari del centrosinistra.
A parte alcune modifiche nei pesi attribuiti ai componenti del nucleo familiare, le differenze principali rispetto alla proposta del centrodestra riguardano l’introduzione di una soglia di reddito familiare, pari a tre volte il reddito medio rispettivamente per i lavoratori dipendenti e per gli autonomi, oltre la quale il quoziente familiare non si applica; e la presenza di una clausola di salvaguardia per quanti sono svantaggiati dall’applicazione del quoziente. Quest’ultima aumenta naturalmente il costo, che rimane comunque inferiore a quello della proposta del centrodestra appunto per l’introduzione della soglia di reddito. Senonché, proprio la sua esistenza segnala tutta la contraddittorietà della proposta. Per un verso, cercando di limitare gli effetti regressivi, conferma che gli stessi proponenti sanno bene come la scelta del “quoziente” vada di per sé a vantaggio dei redditi medio-alti e alti: la soglia taglia i guadagni per il decimo decile, che restano comunque concentrati sui due decili superiori. Per altro verso, al passaggio della soglia la famiglia vedrà aumentare considerevolmente l’imposta dovuta con un micidiale salto di aliquota marginale, che diviene un multiplo del 100 per cento. Come si dice: “peso il tacòn del buso!”. (1)


(1)
“Peggio il rattoppo del buco!”.

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Sommario 6 marzo 2007

16 commenti

  1. Marco Cipelletti

    E’ chiaro che il quoziente familiare andrebbe calcolato e modulato in modo da evitare vantaggi eccessivi per i redditi piu’ alti. Tuttavia, per superare i pregiudizi ideologici, puo’ essere utile ribaltare il vostro concetto di disincentivo al lavoro femminile e pensare al problema demografico. Il nostro sistema fiscale senza quoziente familiare privilegia le coppie con doppio reddito e senza figli. Ben venga a mio avviso una parziale riduzione della progressivita’ fiscale, se puo’ contribuire a un recupero del tasso di natalita’.

  2. Roberto Castelli

    L’analisi è convincente e certo nessuno si augura un’aliquota regressiva sui redditi. Tuttavia rimane una forte perplessità: si può dire che una famiglia con 45.000 euro di reddito -lavora solo il capofamiglia- deve scontare la stessa aliquota marginale di tassazione di una famiglia che ne guadagna 180.000 (lavorano i due coniugi)? Una famiglia con i 45.000 euro suddetti e tre figli è – almeno in alcune zone del PAese – al limite della povertà. Inoltre imporre modelli di vita (la moglie deve lavorare) è forse corretto? Seè vero che va incentivato il lavoro femminile è anche vero che non vanno disincentiva altre scelte. Mi rendo conto che tutto ciò innesca riflessioni sul modello complessivo di tassazione (sul reddito disponibile nelle diverse zone del PAese, sulla veridicità delle statistiche relative alla distribuzione, sulle politiche demografiche e la fiscalità). Rimane tuttavia – nella proposta del quoziente familiare- almeno il tentativo di rendere conto di situazioni che non credo siano marginali.
    Cordialmente
    Roberto Castelli

  3. sergio graziosi

    Le proposte, di entrambi gli schieramenti politici, forse non sono cosi’ scriteriate come le dipingete. In Francia il quoziente familiare esiste e pare che sia un sistema sul quale i giudizi positivi prevalgono nettamente. Perchè?
    Perche’ un capo famiglia monoreddito (es 60.000 euro) + 2 o 3 figli deve pagare MOLTE piu’ fasse di una famiglia bireddito (30 + 30) +2 o 3 figli? Perchè una giovane coppia monoreddito non puo’ essere incentivata a fare un figlio (o magari 2)?
    Perchè… ci sarebbereo altri mille casi
    Perche non avanzate qualche proposta?
    scusate e grazie
    sergio graziosi

  4. Fabio Checchi

    Ho letto l’articolo e noto alcune cose. All’estero, in particolare in Francia e Germania, il quoziente familiare e’ una realta’ consolidata da anni e le famiglie numerose traggono enormi benefici da esso. Come mai in Italia ci sono cosi’ grandi difficolta’ ad introdurlo ?
    Oggi le famiglie monoreddito sono penalizzate fiscalmente rispetto alle famiglie con due stipendi a parita’ di stipendio totale (c’e’ addirittura una sentenza della Corte Costituzionale che invita alla revisione di questa anomalia), vi pare giusto ? Che senso infine continuare a ragionare sui redditi bassi, se le persone piu’ ricche sono quelle che evadono di piu’ ? Ragionare sui figli e sulla famiglia (io ho 5 figli e ovviamente sento il peso fiscale pesante sulle mie spalle) forse aiuterebbe di piu’ l’Italia, che invecchia e “muore”. Difendere la famiglia, vuol dire difendere tutti (purtroppo il discorso e’ piu’ lungo di 200 caratteri !). Grazie.

  5. Nicola

    Ho letto con molta attenzione l’articolo, ma non ne condivido il giudizio finale.
    Sono professionista, con moglie casalinga e quattro figli.
    Facendo i calcoli guadagno circa duemila euro al mese e vi assicuro che alla fine del mese restiamo praticamente con pochissimi soldi in tasca.
    Che il quoziente familiare privilegi i redditi medio alti non vi è alcun dubbio, ma con gli opportuni accorgimenti si rivelerebbe un buon strumento per agevolare i compiti famigliari, proprio in ottemperanza a quanto disposto dalla nostra Costituzione.
    Per i redditi medio bassi possono introdursi altri meccanismi in grado di raggiunger il medesmo effetto di giustizia sociale.
    Mi sia consentita una breve riflessione.
    Sorprende che sia considerato lavoro a livello fiscale soltanto quello della persona che produce reddito, non invece quello della casalinga, pur essendo fondamentale il suo apporto alla famiglia ed alla società.
    Ciò in un contesto di una insistente politica e di informazione che svaluta apertamente detto ruolo famigliare, a favore di un modello di donna proiettata nel mondo del lavoro.
    La scelta di una donna di restare e a casa ad accudire i figli non è un male; lo diventa, paradossalmente, se le si negano quegli elementari diritti che invece sono riconosciuti alle donne lavoratrici.
    Anche attraverso il riconoscimento del lavoro famigliare sul piano fiscale – compresa l’adozione del quoziente famigliare che favorisce le famiglie numerose e monoreddito – può finalmente attribuirsi dignità sociale alle donne impegnate nei compiti famigliari ed impedire il grave calo delle nascite.
    Un saluto.
    Nicola

  6. Marco Biagetti

    Data per assodata la regressività del quoziente familiare (come pare evidente dai vostri calcoli), potrei definirlo un ingegnoso (ma quanto voluto??)sistema per aumentare la natalità nei decili più alti di reddito (ammesso che vi sia una correlazione negativa fra questo e la natalità stessa…). Nel medio periodo il capitale umano in dotazione alla collettività potrebbe risentirne positivamente.

  7. Alessandro Cassinis

    Vorrei chiedere agli Autori quale possa essere una politica fiscale efficace ed equa che aiuti la famiglia (con figli). A me pare che in Paese a crescita naturale negativa in cui si ha circa 1,2-1,3 figli per donna e in cui la schiera dei pensionati continua ad aumentare bisognerebbe cercare di incentivare la nascita dei figli. Il quoziente familiare non sarà la strada, ma in Francia sembra aver funzionato.

  8. Gianluca

    L’articolo è di una chiarezza unica. Che gli uomini di destra (perché i parlamentari sono in maggioranza maschi) vogliano spingere fuori dal mercato del lavoro le donne (perché le preferiscono ai fornelli o magari dalla parrucchiera) si può capire: è una questione culturale. Ma che ci sia qualcuno di sinistra (?) che sostiene questo progetto di riforma fiscale è davvero assurdo. E lo è, nella pratica, non solo perché non sostiene la famiglia (quindi lasciando irrisolto il problema demografico), ma anche perché limita l’emancipazione femminile (che passa attraverso l’indipendenza economica). Al danno di un’iniziativa retrograda si aggiungerebbe pure la beffa di un ulteriore favore ai redditi più alti di cui non si sente davvero la mancanza. Invece di perdere tempo in queste cose non potrebbero pensare al sostegno delle famiglie facendo in modo che gli asili-nido e le rette scolastiche (anche quelle universitarie) siano ridotte in modo da essere accessibili anche ai redditi più bassi? La differenza non credo stia in un reddito basso che è un po’ meno tassato, piuttosto che ai propri figli si possa concedere opportunità di un futuro migliore!
    Agli autori una domanda: Ho letto tempo addietro su alcune testate nazionali che il problema demografico in Francia è stato brillantemente risolto con un sistema fiscale che si può definire proprio “quoziente familiare”. Lì accade che più la famiglia è numerosa meno paga di tasse. Come funziona esattamente?

  9. Giuseppe Barbini

    Sono un professionista con un guadagno sui 55.000 euro lordi, veri e non frutto di evasione nè di elusione, perchè lavorando con aziende che mettono a costo le fatture dei miei servizi, non è possibile o pensabile evadere.
    Ho la moglie casalinga, non per sua volontà ma per motivi di salute e non ho figli.
    Non mi sembra corretto scrivere che io sarei fra quelli che avrebbero “da guadagnare ” dal quoziente familaire, ma ritengo di essere fra quelli che da anni “ci stanno rimettendo di più” rispetto a praticamente tutte le altre forme di composizione familiare.
    A questo punto anche il divorzio diventa fiscalmente conveniente, perchè diventa una applicazione appunto del “quoziente familiare”, perchè gli alimenti vengono detratti da un coniuge e tassati all’altro coniuge.
    Non mi aspettavo questa interpretazione della “giustizia fiscale” sulla voce.it, forse me le sarei aspettate da Ferrero o Giordano.

  10. Gianluca Mingozzi

    Sono meravigliato del contenuto dell’articolo di De Vincenti e Paladini sul Q.F.
    Certo io non ho l’autorità accademica degli autori per portare altrettanti argomenti così ben illustrati.
    Ma mi limito all’esperienza personale, per cui mi ritrovo a dire che proprio i temi sollevati per mettere in dubbio l’efficacia e la giustizia del qf. mi paiono, invece, gli unici veri motivi per sostenerlo.
    Infatti l’obiettivo giusto e opportuno mi parrebbe essere quello di riequilibrare il prelievo fiscale tra due o più redditi medio bassi che sommati, però, fanno una cifra alta e un monoreddito medio alto che, comunque, da solo non raggiunge il livello degli altri messi insieme o se anche ne raggiunge l’importo, con l’attuale sistema individuale, paga comunque molte più tasse.
    E questo non mi pare che scoraggi in assoluto l’occupazione femminile, primo perchè nei paesi dove il qf esiste le donne lavorano di più che in Italia, quindi i problemi forse sono altri in questo caso e poi, per una famiglia, è meglio avere due redditi magari buoni, anche se questo significa più tasse, piuttosto che un reddito solo. Mi sembra lampante e banale.
    Dopodichè può essere opportuno porre dei tetti come recita la proposta del centro sinistra, ma non sono d’accordo con le clausole di salvaguardia a favore dei redditi medi.
    Altra questione, invece, se si parla di redditi veramente bassi. Per i quali, però, sarebbe necessaria una diversa e più complessiva politica dei redditi.

  11. Luigi D. Sandon

    Non credo che “disincentivare” il lavore femminile sia la cosa peggiore, se fosse diretto alle donne “costrette” a lavorare per assicurare un reddito decente alla famiglia, e non per un desiderio di affermazione personale o di autonomia.
    Del resto stiamo proprio assistendo in questi mesi agli effetti di bambini e ragazzi lasciati senza una educazione familiare adeguata ed affidati ad una società che non può certo sopperire.
    Si tratterebbe casomai di permettere un reinserimento senza troppe difficolta alle donne che decidessero di tornare a lavorare dopo un periodo dedicato alla famiglia.

  12. Luca Melindo

    Sono un assiduo lettore de “La Voce” e con i suoi collaboratori sono spesso d’accordo ma non questa volta. Sono un giovane dirigente (36 anni) con una moglie libera professionista e tre figli e davvero mi risulta indigesto constatare che gli autori non ci reputino meritevoli di una qualche forma di sostegno (indiretto) da parte dello Stato (sotto forma di sconti reali d’imposta). Mi pare che le loro osservazioni siano permeate della stessa perniciosa ideologia che ha portato qualche partito della coalizione di governo (che io e mia moglie sosteniamo) ad affiggere manifesti con scritto “ora anche i ricchi (sigh!) piangono” riferendosi a lavoratori dipendenti con redditi superiori a Euro 70.000 all’anno.
    Certamente la bassa natalità delle giovani coppie non è principalmente imputabile alla mancanza del quoziente di famiglia, ma di certo un aiuto in tal senso male non farebbe…..

  13. Enrico

    Visto che il fine di questo provvedimento è quello di incentivare la crescita demografica, si potrebbe introdurre un meccanismo correttivo che consenta l’applicazione del QF solo ai nuclei familiari con almeno 2 figli. In tale modo sarebbe premiato solo chi effettivamente contribuisce ad aumentare la media di figli pro-capite.

  14. Paolo Graziosi

    Premesso non trovo sia da considerare aprioristicamente un disvalore il ridursi della progressività dell’imposta; trovo concettualmente discutibile l’affermazione che il QF agisce in questa direzione, dato che al tempo stesso si passa da un soggetto fiscale individuale ad un nucleo familiare. Per il singolo individuo la progressività rimane la stessa, solo che con il QF si tiene conto di quando uno stesso reddito serve a far vivere più individui.

    Il QF di per sé non andrebbe neanche inteso come una misura di sostegno, bensì come un sistema per perseguire quell’equità orizzontale oggi totalmente disattesa. Che famiglie anche non indigenti possano avere benefici dal QF non è da guardarsi come a uno scandaloso privilegio, un perverso effetto regressivo, ma solo come la correzione dell’attuale profonda iniquità della tassazione rispetto alle famiglie con figli.

    Quanto al sostegno alle famiglie economicamente più deboli, misure di integrazione di redditi troppo bassi, giustissime, non sono incompatibili col QF e con l’equità orizzontale (che esige invece che a parità di reddito complessivo, anche in situazioni di relativa agiatezza, non si possa trattare ugualmente chi è in 1, 2 o 3 rispetto a chi è magari in 7, 8 o 9 – in altre parole, che si tenga conto del reddito disponibile pro-capite).

    Anche la visione critica del QF sulla base delle argomentazioni di penalizzazione fiscale del reddito più basso nelle coppie, normalmente della donna, e del presunto disincentivo al lavoro femminile, trovo che risentano di una visione individualistica in totale contraddizione con l’assunto che se c’è una famiglia prevale la comunione di interessi, l’ottica del bene comune, e non l’ottica individualistica. Per una donna liberamente non sposata il QF sarebbe del tutto neutro.

  15. benigno tedesco

    Alla riforma fiscale, sbandierata dal presidente Berlusconi, con l’introduzione di due sole fasce di livello di aliquote, ha opposto il suo niet Bersani, che vede in essa l’avvantaggiarsi delle fasce più ricche. Con l’introduzione del quoziente familiare, si avvantaggerebbero ugualmentei ricchi; poi i più poveri e ci rimetterebbero le fasce medie, come sempre vacche da mungere dall’alto e dal basso.. E i pensionati? Sembra non contino affatto. Come sempre!

  16. stefania valentini

    Mi chiamo Stefania ho 40 anni lavoro come dipendente nel forno di mio marito e sono mamma di 3 bimbi (11 anni, 9 anni, 20 mesi). Vi scrivo perché non ho ben capito in poche parole cos’è il quoziente familiare. Presto, in via sperimentale, nel mio comune di nascita Sassuolo (Mo) verrà applicata questa cosa (prevista per gennaio 2011) e non ho ben capito se ne avremo dei benefici o no.Adesso che mio marito ha un’attività in proprio e io lavoro noi non rientriamo nei canoni Isee (ditemi voi chi può vivere con 3000 euro all’anno?) e paghiamo le tariffe massime per tutti e tre i figli, euro 5,80 a pasto x 2 x 5 giorni, e 367,00 euro al mese di nido. Non sono qui per dire che non voglio pagare, ma se si pagasse un pò tutti in modo uguale senza guardare il reddito ci sarebbero meno differenze tra le classi sociali e i comuni avrebbero più entrate. Quelli che dichiarano "niente" (e poi hanno case,macchine,e vivono bene) pagano euro 1,90 a pasto e 49,00 euro di nido.Le sembra giusto che a pagare siano sempre quelli che sono onesti? Dovremmo fare in modo che tutti si paghi la stessa quota. Scusi lo sfogo e mi rendo conto di essere uscita dal seminato.

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