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Relazioni pericolose

Perché un’azienda opta per una selezione dei dirigenti che premia l’anzianità a scapito dell’efficienza? Perché riconosce l’appartenenza a un network. E’ un’ipotesi che aiuta a interpretare il fenomeno dell’invecchiamento della classe dirigente italiana. E l’analisi empirica indica che produttività ed età dei manager sono negativamente correlate nelle imprese a controllo pubblico, familiari o, meno nettamente, appartenenti a una holding. Nessuna relazione sistematica, invece, per le controllate da istituzioni finanziarie o da società estere.

invecchiamento della classe dirigente italiana è un fatto ben documentato, solo in parte riconducibile a cause demografiche. (1)
Di per sé, il fenomeno non è necessariamente indicatore di un problema: in assenza di frizioni la scelta dei manager si basa sul merito e l’età non gioca alcun ruolo nella selezione; una classe dirigente “vecchia” indicherebbe che gli anziani sono mediamente più abili dei giovani, ad esempio grazie all’esperienza. (2) Molti osservatori, tuttavia, avanzano il sospetto che la fitta presenza di ultrasettantenni nelle posizioni strategiche in Italia non rifletta una maggiore abilità di gestione, ma derivi da barriere che ostacolano l’accesso dei giovani alle posizioni di potere. Colpisce, ad esempio, la ristrettezza della cerchia entro cui vengono selezionati i manager, specialmente, ma non solo, quelli di nomina pubblica. (3) Molti sono i nomi in circolazione da decenni che periodicamente ricompaiono, nei settori più disparati, raramente sostenuti da una storia di risultati di gestione eccellenti.

L’importanza del network

Quale motivo può indurre una selezione dei dirigenti che premia l’anzianità (anagrafica e di servizio) a scapito dell’efficienza? Secondo la letteratura aziendale, l’affermazione di un manager non dipende solo dalle sue capacità operative, ma anche da quelle relazionali e dal fatto di appartenere a un network. Questa ipotesi aiuta a interpretare il fenomeno dell’invecchiamento in Italia. La distribuzione del talento relativo alla gestione aziendale è variabile tra i giovani come tra i vecchi: produttività ed età sono, in generale, indipendenti. Ma lungo un’altra dimensione, quella sociale, gli anziani dominano i giovani per l’appartenenza a una rete di relazioni, gruppi di interesse o lobby politiche. La rete si costruisce principalmente col tempo, e i giovani sono quindi meno “connessi” degli anziani. Assumere un manager con cui si condividono frequentazioni e contatti facilita all’azionista di controllo il perseguimento di obiettivi diversi dalla pura massimizzazione del valore, quali politiche di assunzione che creino consenso (importanti per un controllante di natura politica), scelte aziendali che favoriscano l’affermazione, il prestigio e il potere di una famiglia o lobby.
Se chi controlla l’impresa affianca all’obiettivo della gestione efficiente quello di un management legato a un network, il manager vecchio viene preferito al giovane, a parità di talento. Questa ipotesi ha implicazioni chiare sulla relazione fra età del management e produttività. (4) Quanta più importanza si attribuisce all’appartenenza a un network rispetto alla pura capacità di gestione, tanto maggiore è la quota di manager anziani in azienda e tanto minore la produttività complessiva dell’impresa: l’appartenenza fa premio sull’efficienza. Al contrario, tra le aziende che hanno come unico obiettivo l’efficienza produttiva (e non sono quindi interessate al capitale relazionale in sé), età dei dirigenti e produttività sono indipendenti: la selezione avviene solo in base alla capacità.

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La verifica empirica

Per una verifica empirica di questa ipotesi abbiamo utilizzato dati su circa mille imprese manifatturiere italiane fra l’inizio degli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta. Le imprese sono state classificate in cinque gruppi, a seconda che la natura del controllante fosse persona fisica/famiglia, operatore pubblico (Stato, enti locali eccetera), holding di imprese, società finanziaria o controllante estero.
La nostra congettura è che le imprese familiari, quelle pubbliche e, in alcuni casi, quelle appartenenti a gruppi siano inclini a perseguire obiettivi diversi dalla semplice massimizzazione del valore e quindi più interessate a selezionare manager all’interno di determinati network. Ad esempio, un politico si potrebbe servire dell’impresa per favorire la propria rielezione, anche a scapito dell’efficienza; una famiglia può trarre dall’impresa prestigio e riconoscimento sociale; holding industriali possono favorire certe imprese del gruppo rispetto ad altre nelle transazioni infra-gruppo.
L’analisi empirica analizza il legame tra la produttività a livello di impresa (calcolata come produttività totale dei fattori, Ptf) e l’età dei manager (misurata dall’età media dei manager dell’azienda) in ciascuno dei cinque gruppi.
I risultati indicano che produttività ed età dei manager sono negativamente correlate per le imprese a controllo pubblico. L’elasticità è unitaria: aumentando del 10 per cento l’età dei manager, si riduce di altrettanto la Ptf. Inoltre, coerentemente con la nostra ipotesi, l’età (media) dei manager nelle aziende a controllo pubblico è più alta rispetto al resto del campione (di circa 1,5 anni). Se queste imprese avessero un management con la stessa età delle altre, la loro produttività crescerebbe fra il 3 e il 6 per cento. La relazione fra età dei manager e Ptf è negativa anche per le imprese familiari, con un’elasticità che varia fra il 10 e il 25 per cento e, in maniera meno netta, per quelle controllate da una holding.
Non emerge, invece, nessuna relazione sistematica tra produttività ed età dei manager per le imprese controllate da istituzioni finanziarie o da società estere. Ciò avvalora l’ipotesi che questo tipo di controllanti siano meno interessati a obiettivi diversi dalla pura massimizzazione del valore dell’impresa. (5)

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Alitalia, una cartina di tornasole

L’evidenza è in linea con un’interpretazione dell’invecchiamento della classe dirigente italiana che, come ipotizzato da molti, è sintomo di un malfunzionamento dell’economia. La radice del problema è la preferenza dei controllanti per manager “connessi”, anche a discapito dell’efficienza produttiva: “buone” frequentazioni valgono più di un buon curriculum.
Chi è interessato a questi temi seguirà con interesse la privatizzazione dell’Alitalia: sarà pilotata verso imprenditori “amici”, i quali a loro volta nomineranno i manager pescando dalla solita cerchia di nomi? Oppure per una volta si utilizzerà il criterio delle capacità imprenditoriali indipendentemente dall’appartenenza a un network, magari con un amministratore delegato che non fosse già tale ai tempi dello sbarco sulla luna?

 

(1) Non si osserva in altri paesi che registrano un simile invecchiamento della popolazione.
(2) Il recente contributo di Francesco Daveri su questi sito commenta l’esperienza finlandese, dove il rapporto fra anzianità di servizio e produttività varia a seconda del settore considerato, si veda https://www.lavoce.info/articoli/pagina2539.html.
(3) Si veda ad esempio l’articolo di Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera del 10.1.2007.
(4) Il modello teorico, i dati utilizzati e i test empirici sottostanti a questa nota si basano su un lavoro in corso di preparazione, a cura degli autori.
(5) Risultati simili si ottengono utilizzando l’anzianità di servizio come misura di appartenenza a un network: anche in questo caso, la relazione fra Ptf e anzianità di servizio è negativa per le imprese familiari e per quelle pubbliche, che hanno anche la quota più alta di manager da lungo tempo impiegati nell’azienda.

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  1. Franco

    Nella linea del ragionamento fatto nell’articolo, mi viene da chiedere: ma allora più c’è relazione, più c’è carriera? Ovvero la relazione è così “pesante” per la carriera di un manager? Mi sembra si profili l’idea che più si è conosciuti, più si è raccomandati.

  2. Raf

    Interessante articolo. Però mi sembra che non abbia analizzato in profondità l’importanza delle relazioni, e come questo fattore, soprattutto in Italia, sia divenuto centrale.
    In primis, siamo diventati un paese in cui si produce sempre di meno e si vende sempre di più. Basta vedere gli annunci sui vari giornali.. commerciali e basta. Per vendere, la regola fondamentale è la relazione con il cliente. In alcuni settori, quali quello della consulenza aziendale in cui lavoro, la qualità ed i costi sono ormai diventati dei valori standard. Insomma non ci si aspetta che ci sia un enorme differenza tra i servizi offerti dalle big four delle consulenza. Quindi cosa fa la differenza nel prendere un determinato contratto? La relazione che c’è tra chi propone e chi acquista. Questo è uno dei driver principali oggigiorno. Il ragionamento può essere esteso a molti altri settori dove si vende un bene abbastanza standard.
    In secondo luogo, le relazioni possono ovviare alla mancanza di fiducia interpersonale, che è uno dei tipici fallimenti di mercato (il famoso esempio del mercato dei bidoni). Affidarsi ad un conoscente è comunque meno rischioso che affidarsi ad un estraneo (per quanto competente).
    Sicuramente questo esclude noi giovani da molte possibilità, l’unico modo per ovviare a questo è cercare in tutti i modi di entrare nei vari network..
    buona serata
    Raf

  3. Marco Piovano

    L’articolo ben sintetizza uno dei fenomeni che contribuiscono negativamente al bilancio della produttività delle aziende italiane: quello della nomina a posti dirigenziali influenzata da scelte più di natura relazionale che da obiettivi di efficienza. Mi piacerebbe tuttavia includere tra le “cartine tornasole” un esempio positivo che, in quanto eccezione, smentisce questo malcostume e che ha dimostrato, una volta tanto, che la scelta di dirigenti in base alla loro effettiva capacità manageriale premia sotto il punto di vista dei risultati. Il Gruppo Fiat è da tempo ritornato competitivo in un mercato difficile e che lo stava condannando all’esilio. In questo caso il coraggio di fare scelte nuove e investire su dirigenti più giovani e capaci ha dimostrato essere la decisione ottimale e spero rappresenti per altre aziende un buon esempio da cui prendere spunto.

  4. Lorenzo Sandiford

    Finalmente un’analisi seria sul problema della scarsa meritocrazia in Italia.
    Faccio solo un paio di osservazioni.
    La prima è che nella conclusione di questo ottimo articolo (il paragrafo “Alitalia, una cartina di tornasole”), gli autori mi sembrano incorrere in un piccolo errore, almeno secondo una interpretazione pignolamente letterale delle parole usate nel testo. Si tratta solo di una svista, che non cambia di una virgola il mio parere positivissimo sull’articolo, ma mi pare utile segnalarla.
    Mi riferisco al seguente passo: “buone” frequentazioni valgono più di un buon curriculum. A mio parere si dovrebbe piuttosto dire che buone frequentazioni valgono più delle capacità o del merito, e non “del buon curriculum”. Questo perché in un contesto in cui vige da anni questo malfunzionamento antimeritocratico dell’economia i curricula non possono essere uno specchio fedele delle capacità e competenze. In parole povere, gli ammanicati non brillanti finiscono per avere dei curricula migliori di altre persone più capaci ma con “meno network”, almeno se con la parola curriculum si intende quel tipo di testo in cui vengono presentati studi, esperienze lavorative e distinzioni di una persona.
    La seconda osservazione esula dai confini dell’articolo, ma mi pare utile lo stesso. Se le aziende familiari non quotate in borsa vogliono rinunciare alla meritocrazia e alla competitività sono prima di tutto problemi loro (e purtroppo anche dei loro dipendenti, soprattutto in un mercato del lavoro farraginoso), ma quando questo accade in un’azienda quotata in borsa ci vorrebbe una informazione economica che svolga il ruolo di cane da guardia segnalandolo all’opinione pubblica e al popolo dei piccoli investitori, e quando ciò avviene nelle aziende pubbliche ci vorrebbero addirittura interventi correttivi diretti da parte della politica perché in questo caso sono problemi e soldi di tutti i cittadini.
    Lorenzo Sandiford

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