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Le “utilities” e la regola del profitto

Se la regolazione pubblica fosse efficiente, le fusioni di concessionari dovrebbero mirare a ottenere economie di scala o di scopo, che avvantaggino i consumatori attraverso tariffe inferiori. Per queste operazioni si pone dunque un doppio problema regolatorio. Occorre evitare la formazione di posizioni dominanti che alterino il funzionamento della concorrenza. Ma è anche necessario tutelare l’utenza tramite il controllo tariffario e di accesso alle reti. Un caso recente di danneggiamento esplicito degli utenti.

Spesso anche la stampa più specialistica analizza e tratta le concessioni nel settore delle “utilities” – ferrovie, autostrade, reti elettriche, acqua, gas, porti, aeroporti, eccetera – secondo parametri standard, cioè come le imprese che operano nel mercato. Ma occorre ricordare che tali non sono: l’esposizione alla concorrenza è per definizione debole o assente, altrimenti non sarebbero necessarie le concessioni pubbliche. E i profitti e le perdite di tali imprese dipendono assai più dal tipo e dalla qualità della regolazione pubblica che da fattori propri delle dinamiche aziendali, quali l’innovazione tecnica, l’efficienza produttiva, e la capacità di prevedere e anticipare la domanda.

L’importanza della regolazione

In questa ottica un po’ deformata dalla consuetudine, i profitti vengono quasi sempre “lodati”, si pensi alle autostrade, o all’Enel, o al super-dividendo recentemente corrisposto alla proprietà da Sea, la concessionaria aeroportuale del comune di Milano. Le perdite simmetricamente sono sempre esecrate, per esempio quelle delle Ferrovie dello Stato, che nel 2006 navigano ben al di sopra del miliardo. Molto spesso, però, i profitti sono rendite di monopoli mal regolati, cioè danni netti non solo per i consumatori, ma anche per il benessere sociale complessivo, mentre le perdite sono semplicemente conseguenze di vincoli impropri imposti alle imprese concessorie. Nel caso delle ferrovie, per dire, le perdite sono in parte causate da mancati trasferimenti a cui lo Stato si era impegnato, e da mancati aumenti tariffari promessi, e solo “pro quota” da inefficienza aziendale.
Ora, come ovvia conseguenza di questa situazione di debolezza regolatoria, si assiste a dinamiche di grande vivacità nelle utilities che fanno profitti: acquisizioni pubbliche e private (aeroporti, autostrade), fusioni anche queste pubbliche e private (utilities comunali, di nuovo autostrade). E, in generale, notevoli interessi a privatizzazioni ulteriori. Per le concessioni in perdita, dove sarebbe ben maggiore l’urgenza di immettere l’efficienza gestionale che il privato potrebbe garantire, tutto tace da anni, a parte la privatizzazione avviata per Alitalia, di cui si vedranno i risultati. In questo caso, però, c’è da credere che abbiano agito più i vincoli europei, ormai ineludibili, che non una vera volontà politica, mai registrata negli anni passati.
Le concessioni pubbliche dovrebbero mediamente far profitti e perdite in modo “random” rispetto ai settori di appartenenza, cioè solo in funzione dell’efficienza e capacità del management, anche di quelle sussidiate per scelte politiche di per sé perfettamente legittime.
Il problema presenta anche una rilevante dimensione europea: una regolazione nazionale “generosa” può generare infatti disponibilità finanziarie elevatissime nei regolati, spendibili poi per acquisizioni “transfrontaliere” indirizzate a imprese esposte alla concorrenza. Un meccanismo ben definibile come “sussidio incrociato” tra monopoli e imprese efficienti, che altererebbe drammaticamente i meccanismi di mercato europei. Ai cittadini, spesso ignari, di un paese si farebbero cosi pagare i costi del rafforzamento internazionale di “campioni nazionali” di dubbia efficienza. E sembra che tali meccanismi siano sostanzialmente già in atto nel settore delle “utilities”.

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Fusioni e utenti

Le fusioni di concessionari poi, se la regolazione pubblica fosse efficiente, dovrebbero mirare a ottenere economie di scala o di scopo, esattamente come nel caso di mercati concorrenziali, e quindi (extra) profitti temporanei, da passare poi agli utenti attraverso tariffe inferiori: per esempio, i meccanismi di “price cap” mirano proprio a questo risultato.
Se così non è, o se questi risultati sono promessi a gran voce, ma mai verificati, molto verosimilmente queste operazioni servono sia ad aumentare la capacità di pressione dei regolati sui propri regolatori pubblici, che a difendersi dalla competizione, aumentando le “barriere all’ingresso”, una “difesa” persino formulata esplicitamente nella formazione di alcune alleanze di “utilities” locali. Dunque, per le operazioni di acquisizioni e fusioni di concessioni pubbliche, si pone un doppio problema regolatorio. A un primo livello, occorre evitare la formazione di posizioni dominanti che alterino il funzionamento della concorrenza. E in alcuni casi di fusione, infatti, i regolatori hanno richiesto la cessione di asset strategici: slot aeroportuali o sportelli bancari, per citare vicende recenti; ma non si possono dimenticare interventi “storici” di break-up, come quelli di Standard Oil e T&T negli Stati Uniti. A questa attività regolatoria, in caso di utilities, deve poi aggiungersi la “normale” tutela dell’utenza tramite il controllo tariffario e di accesso alle reti.
Ciò, si badi, non coincide affatto con una posizione “pro-nanismo” delle imprese di questo tipo, anche se il concetto di “dimensione minima efficiente” delle imprese regolate ha forti supporti teorici. Ma i risultati ultimi per i consumatori (o i contribuenti) devono essere sufficientemente garantiti. Appare possibile ipotizzare, per esempio, che accanto a indubbi e verificati obbiettivi di efficienza, una motivazione molto rilevante della fusione AirFrance-Klm abbia riguardato la capacità di pressione della nuova alleanza sulla Commissione europea, per proteggersi meglio durante il negoziato sull’apertura alla concorrenza dei voli transatlantici: in questo settore è infatti temutissimo il possibile avvento di operatori low-cost, che tanto hanno giovato ai viaggiatori intraeuropei.
All’orizzonte si profila anche l’avvento di società miste, aborrite dalla cultura regolatoria anglosassone, a meno che non si tratti di operazioni temporanee, in vista di una completa privatizzazione in tempi certi. Se così non fosse, aumenterebbero infatti di molto i rischi di sviluppi anticoncorrenziali: il soggetto privato diventa “amico” del soggetto pubblico, invece che essere controparte, e dispone di molti più strumenti di “cattura” del regolatore (leciti e illeciti).
Infine, per confermare i rischi sopra accennati, vi è il caso recente e clamoroso di danneggiamento esplicito e dichiarato dei consumatori: l’acquisizione di un ramo di azienda di Vitrociset (privata) da parte Enav (pubblica), fatta per evitare le gare per la fornitura di servizi, richieste dalla Commissione europea. Se si temevano le gare, è evidente che si riteneva con certezza di avere costi più elevati dei potenziali concorrenti.
A guisa di auspicio conclusivo, sarebbe importante assistere in un futuro non troppo remoto a dinamiche societarie vivaci anche nelle concessioni sussidiate, e, simmetricamente, a benefici più certi di quelli attuali per gli utenti in quelle redditizie. Ma della doppia azione regolatoria postulata in precedenza non vi sono tracce molto visibili.

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La lenzuolata

  1. Francesco

    Il “superprofitto” fisiologico deriva dall’innovazione: e’ giusto che, in ambito concorrenziale, questa venga premiata attraverso la concessione di diritti d’autore, copyright eccetera. Chiaramente, maggiore e’ l’incentivo, maggiore l’innovazione. D’altro canto, la concorrenza, similmente incentivata, avra’ la possibilita’ di erodere questi vantaggi elaborando le sue innovazioni. Il potere contrattuale del consumatore, che sceglie, diventa centrale nel premiare chi innova meglio.
    Quando però ci si sposta nell’ambito delle intrastrutture companies, tale meccanismo non e’ piu’ la miglior soluzione. Queste aziende operano infatti in una situazione di monopolio (geografico, tecnico, legale) che le pone in una posizione di forza nei confronti della loro clientela. Inoltre, con alcune eccezioni, ad esempio nella telefonia (dove pero’ la posizione di monopolio e’ solitamente etero imposta – spesso dalla politica – e non naturale), lo spazio per l’innovazione e’ molto limitato. Ecco quindi l’importanza del regolatore, che deve rendere i superprofitti temporanei e ristabilire l’equilibrio impresa-consumatore.
    Su queste basi, l’articolo afferma che i superprofitti hanno incentivato l’attivita’ di M&A nel settore. L’osservazione empirica di quanto avvenuto nel 2006 in due mercati agli estremi opposti della scala evolutiva della regolazione, Italia (debole e primitiva) e Inghilterra (forte e sofisticata), sembra suggerire che la relazione possa essere piu’ complessa. A fronte di molti mega-annunci e pochi fatti (Enel-Suez, Abertis-Autostrade, SEA, municipalizzate) si contrappongono numerose operazioni eseguite velocemente e trasparentemente (Thames Water, AWG, SEW). Il denominatore comune delle operazioni anglosassoni sono gli investitori istituzionali (fondi pensione in primis) attratti dalla stabilità e trasparenza del settore.
    In realta’, operazioni di M&A avvengono sia con un regolatore forte che con uno debole: a cambiare sono i giocatori e le loro motivazioni

  2. Davide

    Riferendomi alle imprese multiutility locali ex municipalizzate, vorrei sottolineare che esse fungono spesso da ammortizzatori sociali. Gli Enti territoriali tendono a controllarle, utilizzandole per dislocare al loro interno quelle categorie di persone che, per invalidità o altri problemi non riuscirebbero a trovare occupazione diversamente, nonché per distribuire premi di buona uscita a ex politici. Non è dunque una sorpresa che esse non rispondano a logiche propriamente di mercato.
    Certo, questi meccanismi sono ingenerati da una mancata regolazione della concorrenza. Proviamo solo a pensare, per esempio, al servizio di raccolta e smaltimento rifiuti: come è possibile produrre degli ambienti concorrenziali idonei dove per anni si è vissuto in regime di monopolio? Questa domanda non è una critica a quanto scritto nell’articolo, vuole essere uno stimolo a una discussione per la quale nutro un certo interesse.
    Grazie

  3. Anonimo

    Egregio Professore,
    ho letto, solo stamattina 11 febbraio, il suo articolo “alle infrastrutture serve un’Autorità”. In merito, cosa pensa del disegno di legge sull’Autority trasporti e infrastrutture, da Lei preannunciata? Riuscirà questa Autorità a centrare tutti i significativi obiettivi che Lei pone nella Sua interessantissima nota.
    Nell’attesa di una Sua risposta, distinti saluti
    Dott Alfredo Capasso
    responsabile Acusp, l’associazione dei contribuenti utenti dei servizi pubblici, che il 27 marzo 2006 ha promosso la Giornata Nazionale dell’Utente del TpL conil patrocinio del Ministero dei Trasporti

    • La redazione

      “Egragio dott.Capasso, innanzitutto è interessante la sua associazione: la categoria dei contribuenti-utenti è davvero una delle meno rappresentate nel settore dei servizi pubblici, e una della più penalizzate (i soli utenti spesso hanno cattivi servizi, ma sono “compensati” da tariffe bassissime,
      soprattutto nei trasporti).
      Che un’autorità indipendente operi improvvisi miracoli è irrealistico; ma certo sarà l’unica voce che parla a favore dei contribuenti, essendo chiamata istituzionalmente a promuovere l’efficienza dei servizi (cioè a ridurre i costi di produzione, indipendentemente dalle tariffe che poi i
      soggetti politici decideranno: per esempio, se un comune decidesse di erogare i trasporti gratis ai suoi cittadini, è pienamente legittimato a farlo….ma non è mai legittimato a spendere il doppio del necessario per tali servizi, con assunzioni clientelari o peggio).
      Purtroppo, proprio nei servizi di trasporto locale sembra che l’autorità abbia un ruolo molto limitato, a causa delle continuo resistenze degli enti locali a vedersi sottratta un’area in cui le clientele dominano. Sembra dunque più facile intervenire a livello nazionale (ferrovie, aeroporti, autostrade ecc.). Comunque è una buona partenza. Vuol sapere un espediente
      per verificare se sarà efficace? Dal livello di lamentele e di proteste che si leverà dai soggetti regolati (concessionari ecc.). Se saranno silenziosi, dovremo preoccuparci molto……
      Cordialmente
      Marco Ponti”.

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