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La disinformazione nuoce al futuro pensionato

La scelta sul Tfr rappresenta non solo un’occasione per promuovere la crescita della previdenza complementare, ma anche per informare i lavoratori sui temi della previdenza e del risparmio. Ed elevare il loro livello di informazione finanziaria. Sarà opportuno che l’informativa dei datori di lavoro sia accompagnata da una specifica campagna perché ciascun lavoratore sia messo in condizione di conoscere la propria posizione previdenziale, come previsto dalla riforma Dini. Permettendo così di valutare le diverse opzioni finanziarie.

Le riforme della previdenza dello scorso decennio hanno aumentato i contributi previdenziali, ridotto il tasso di sostituzione (il rapporto tra prima pensione e ultimo reddito netto), aumentato l’età pensionabile, rivisto il metodo di calcolo della pensione ed eliminato alcuni dei privilegi del precedente sistema. L’effetto più visibile è la riduzione delle prestazioni future.

Prima e dopo il 1995

Prima della riforma del 1995 la pensione di un dipendente del settore privato raggiungeva, in media, il 71 per cento dell’ultimo stipendio netto. Per i dipendenti entrati in servizio dopo il 1995, la pensione si ridurrà di circa 10 punti; per un dipendente pubblico di circa 20 punti, per un lavoratore autonomo di circa 30 punti. (1)
Nonostante siano trascorsi oltre dieci anni dalla riforma, i lavoratori sono ancora poco informati sulle prestazioni future. La conseguenza è che alcuni stanno risparmiando meno di quanto sarebbe necessario per mantenere lo stesso standard di vita dopo l’uscita dal mercato del lavoro. Indipendentemente dalla scelta sulla destinazione del Tfr, molti italiani corrono il rischio di rendersi pienamente conto della situazione solo poco prima di ricevere la pensione (o addirittura dopo averla ricevuta), quando sarà ormai troppo tardi per rimediare. Anche dal punto di vista sociale, la prospettiva non è allegra: le future generazioni di lavoratori attivi si troveranno di fronte gruppi di anziani, peraltro sempre più numerosi, con bassi redditi che premeranno per un aumento delle prestazioni.

Calcoli incerti

Le riforme degli anni Novanta hanno accresciuto l’incertezza di molti assicurati sulle regole di calcolo della pensione, in alcuni casi radicalmente diversi da quelli utilizzati in passato, e hanno quindi reso ancor più probabili errori di valutazione, anche consistenti, sulla pensione che si riceverà.
Le indagini della Banca d’Italia permettono di confrontare la pensione che un lavoratore prevede di ricevere con quella che effettivamente riceverà. Con opportune ipotesi sull’andamento del tasso di crescita dei redditi, applicando le regole attualmente in vigore per il calcolo, si può stimare il tasso di sostituzione effettivo e confrontarlo con quello previsto. La figura, tratta da uno studio recente con Renata Bottazzi, riporta la distribuzione dell’errore di previsione prima e dopo le principali riforme della previdenza (cioè prima del 1992 e dopo il 2000). Il campione prende in considerazioni tutti i lavoratori di età compresa tra 20 e 50 anni.
In media, l’errore di previsione è piccolo; ad esempio, i lavoratori dipendenti del settore privato sopravvalutano il tasso di sostituzione di circa 3 punti percentuali. Tuttavia, per alcuni gruppi, gli errori di previsione sono molto elevati: il 15 per cento del campione commette un errore di oltre il 25 percento del reddito. In altre parole, il 15 per cento di coloro con un reddito netto pari a mille euro ritengono che la pensione che riceveranno sarà di 750 euro invece che di 500 euro.
La figura suggerisce anche che la distribuzione degli errori di previsione si amplia considerevolmente negli anni più recenti, un riflesso della maggiore difficoltà di calcolo e delle possibili riforme future. Dopo il 2000 la quota di assicurati che sovrastima o sottostima di oltre il 25 per cento il tasso di sostituzione cresce dal 10 al 14 per cento tra i dipendenti privati, dal 10 al 16 percento tra i pubblici, e dall’11 al 29 per cento tra gli autonomi. Il fatto che a oltre dieci anni di distanza dalla riforma Dini il grado di informazione sia minore che in passato suggerisce che l’attività di riforma non è stata accompagnata da un’adeguata attività di informazione sulle nuove regole.

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Chi è informato. E chi no

Le campagne di informazione funzionano quando agiscono sui costi e sugli incentivi ad acquisire informazione, ovvero quando contribuiscono a ridurre i primi e rendono chiari i secondi. Dovrebbero quindi riconoscere che costi e incentivi variano considerevolmente tra gli assicurati.
L’evidenza disponibile per l’Italia e per altri paesi suggerisce che il grado di informazione sulla previdenza aumenta con l’età. Per i lavoratori più anziani la vicinanza del pensionamento attiva gli incentivi a informarsi: l’errore di previsione si riduce di quasi un punto percentuale per ogni anno di lavoro in più. Inoltre, gli assicurati più anziani acquisiscono informazioni anche dai colleghi che sono già andati in pensione.
I canali informali di acquisizione dell’informazione si attivano anche nelle famiglie in cui sono presenti più percettori di reddito e in quelle in cui vive almeno un pensionato. I dati tratti dall’Indagine della Banca d’Italia suggeriscono che l’errore di previsione è di 3 punti percentuali minore nelle famiglie in cui vive un pensionato, e si riduce di quasi un punto per ogni percettore in più.
I meno informati sono, invece, i lavoratori che sono entrati più tardi nel mercato del lavoro, i più giovani, coloro che hanno carriere lavorative discontinue e i dipendenti delle piccole imprese. Sono in larga misura anche quelli più colpiti dalle riforme della previdenza e corrono quindi un rischio concreto che la pensione non sia adeguata a sostenere il tenore di vita.
Per i lavoratori più esposti a oscillazioni del reddito, come gli autonomi, il calcolo della pensione futura secondo il metodo contributivo è complicato anche dalla difficoltà di formulare previsioni di reddito accurate su un orizzonte temporale ampio. Questi lavoratori commettono errori di previsione di circa 4 punti percentuali superiori alla media. Informare sui temi previdenziali significa quindi rivolgere particolare attenzione alle categorie più esposte al rischio, sia perché maggiormente colpite dalla riforma, sia perché con redditi più variabili.
I dati disponibili suggeriscono quindi che prima ancora che sulla destinazione del Tfr è importante informare i lavoratori sui cambiamenti che sono avvenuti nella sfera del primo pilastro previdenziale. Nel segnalare le opzioni possibili sul Tfr, sarà fondamentale che il lavoratore sia informato anche sulla pensione pubblica a cui avrà diritto, in diversi scenari demografici ed economici; ad esempio, secondo diverse ipotesi sul tasso di sviluppo del reddito nazionale, sulle dinamiche demografiche e sui coefficienti di trasformazione.
Gli attori del mercato della previdenza complementare proporranno prodotti distinti per rischio e rendimento e quindi la scelta tra prodotti diversi sarà possibile solo se i lavoratori saranno in grado di ordinare le attività finanziarie rispetto al rischio e ai rendimenti netti, al netto di costi e imposte. Il rendimento della previdenza obbligatoria dipende invece dai contributi versati e dalla regole di calcolo della pensione. Se mancherà l’informazione di base, i lavoratori non saranno in grado di distinguere tra tanti segnali quelli rilevanti, identificare i potenziali conflitti di interesse e utilizzare correttamente i dati che saranno resi disponibili.
Sarà quindi opportuno che l’informativa dei datori di lavoro sia accompagnata da una specifica campagna di informazione pubblica perché ciascun lavoratore sia messo in condizione di conoscere la propria posizione previdenziale, così come previsto più di dieci anni fa dalla riforma Dini, e valutare le diverse opzioni finanziarie. La scelta sulla destinazione del Tfr rappresenta non solo un’occasione per promuovere la crescita della previdenza complementare, ma anche per informare i lavoratori sui temi della previdenza e del risparmio ed elevare il grado di informazione finanziaria della popolazione.

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(1) L’esempio è tratto da R. Bottazzi, T. Jappelli e M. Padula “Retirement expectations, pension reforms, and their impact on private wealth accumulation”, Journal of Public Economics, dicembre 2006. Si riferisce al caso di un lavoratore che decide di andare in pensione a 62 anni con 37 anni di contributi. Si suppone inoltre che le retribuzioni reali crescano a un tasso reale del 2,5 per cento, che il Pil cresca al tasso dell’1,5 per cento e che i coefficienti di trasformazione siano invariati rispetto ai livelli attuali.

L’errore di previsione prima e dopo le riforme della previdenza


La figura riporta la distribuzione dell’errore di aspettativa nel periodo che precede le riforme della previdenza sociale (1989-91) e per quello successivo alle riforme (2000-2004). L’errore di aspettativa è la differenza tra il tasso di sostituzione atteso e il tasso di sostituzione effettivo.

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  1. Stefano Crimì

    All’interno dell’articolo è stato sostenuto che il tasso di sostituzione col vecchio sistema previdenziale arrivava al 71% dell’ultima retribuzione netta, valore che scenderebbe di 10 punti col nuovo sistema. Ora, fermo restando che il nuovo sistema è sicuramente meno “generoso” del vecchio (ma alla fine più equo per la società, ottenendo l’uguaglianza tra versamenti attualizzati e prestazioni percepite), mi pare che il tasso di sostituzione dipende in maniera fortissima dall’evoluzione della crescita salariale: chi ha fatto carriera avrà un tasso di sostituzione sull’ultima retribuzione più basso, visto che la pensione sarà calcolata su tutti i contributi versati nel corso della vita lavorativa, ma chi ha avuto un’evoluzione sostanzialmente piatta della retribuzione (che è il caso più frequente). Ho provato a fare una simulazione con le regole attuali (incluse le percentuali per il calcolo della pensione partendo dal montante). Ipotizzando l’inflazione al 2%, la crescita reale del PIL all’1,5% e l’incremento reale del salario dell’1% annuo, con 40 anni di contributi e 65 di età il tasso di sostituzione sarebbe 98%, che scende a 85% con 35 anni di contributi…

    • La redazione

      Gentile Signor Crimì
      è vero che la dinamica delle retribuzioni (e dei redditi), del PIL, cosi’ come gli anni di contribuzione e l’età del pensionamento sono ingredienti fondamentali nel calcolo della pensione con il sistema contributivo. Infatti, ipotesi diverse sulla dinamica di retribuzioni (e dei redditi), del PIL sugli anni di contribuzione, e sull’età del pensionamento generano
      tassi di sostituzione diversi tra di loro.
      L’articolo fa riferimento ad un esempio che è descritto nel lavoro intitolato “Retirement expectations, pension reforms, and their
      impact on private wealth accumulation”, che Renata Bottazzi, Tullio
      Jappelli ed io abbiamo scritto e che il Journal of Public Economics ha pubblicato in Dicemnbre.
      Dal lavoro e dall’esempio che Lei propone emerge in modo chiaro
      che il sistema contributivo comporta una vera e propria rivoluzione copernicana nel modo in cui si calcola la pensione. E rende cruciale la funzione informativa che gli enti previdenziali possono assolvere presso gli assicurati.
      Cordiali saluti,
      Mario Padula

  2. A. Battista

    L’informazione ha un valore intrinseco per l’individuo che ha di fronte scelte previdenziali: questa potrebbe essere la sintesi dell’articolo.
    Se ciò é vero, ne consegue che chi produce questo metavalore (che si traduce nella la c.d. – impropriamente – consulenza) non genera un mero costo di transazione / intermediazione ma é semplicemente il generatore di un servizio essenziale in materia di previdenza.
    Se la finalizzazione del risparmio ha dunque un valore, bisogna essere disposti ad accettarne i costi, compresi quelli informativi.
    E’ evidente che la campagna pubblica può definire le informazioni generali e dare ai più – ad essere comunque ottimisti – il quadro interpretativo di riferimento. Non può che spettare alla reti commerciali lo sviluppo di un approccio professionale che svolga correttamente questa fondamentale funzione.
    Se tale quadro é anche solo parzialmente condivisibile, é evidente che anche l’approccio alla minimizzazione dei costi ” a tutti i costi” dovrà essere parzialmente rivisto da parte di tutti, regolatore e fondi pensione chiusi in testa.

    • La redazione

      Gentile Signor Battista,
      molto delle cose che Lei scrive sono condivisibili. La produzione di informazione è costosa e non è evidente che il mercato dia gli incentivi
      che servono a produrre la quantità ottimale di informazione.
      In ogni caso, è bene che resti fermo il principio per cui non si mettono “le volpi alla guardia del pollaio”.
      Cordiali saluti,
      Mario Padula

  3. Francesco Pirone

    Condivido pienamente il richiamo ad una maggiore informazione dei lavoratori per permettergli di scegliere con consapevolezza il momento e le modalità di pensionamento. Più in generale l’allargamento dei margini di scelta individuali sulle modalità di gestione del risparmio previdenziale e, contestualmente, l’aumento dei gradi di flessibilità relativi al momento e alle condizioni economiche del pensionamento (al limite dell’individualizzazione) richiedono una capacità di reperire e manipolare informazioni molto più elevata rispetto a quella che era richiesta alle coorti di anziani andati in pensione non molti anni addietro. Risulta, quindi, necessario, oltre ad una campagna pubblica d’informazione, un impegno maggiore delle organizzazioni sindacali nel campo della consulenza previdenziale (utilizzando anche strumenti informatici ad hoc in grado di delineare scenari previdenziali personalizzati) che aiuti costantemente il lavoratore principalmente a perseguire strategie previdenziali opportune nel corso di tutta la vita lavorativa.

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