Non è vero che l’Italia è in una fase di declino industriale. Anzi, la nostra industria ha ripreso a crescere perché è guarita dal forte difetto di competitività e ha saputo orientarsi verso la specializzazione in produzioni ricche di servizio, di studio, di progettualità e di ricerca. D’altra parte, in tutto il mondo le grandi imprese a carattere internazionale non sono più nel settore industriale, ma in quello dei servizi. Dove però scontiamo ancora la mancanza di una piena liberalizzazione. L’esempio delle banche. Spesso in economia si rischia di confondere uno stato di degenza con quello dellinsorgenza della malattia. È relativamente facile incorrere in questo rischio, perché durante la degenza solitamente il malato sta peggio che durante la fase in cui cova la malattia. Ma è grave confondere le due fasi, perché si rischia di fare prescrizioni o operazioni sbagliate. La malattia e la cura Fuor di metafora, a mio avviso, lindustria italiana ha passato, negli ultimi dieci anni, una lunga fase di degenza per uscire da una malattia che laveva caratterizzata nei venti anni precedenti. Sempre più specializzati Con lintroduzione delleuro, lindustria italiana ha potuto beneficiare di un cambio di ingresso molto favorevole, che ha consentito alle imprese italiane di mantenere una buona competitività e di assorbire così i costi di una inflazione interna ancora leggermente superiore a quella degli altri paesi, anche a causa del necessario aumento di tasse e di tariffe che è stato il corollario della nostra partecipazione allUnione monetaria. Dove nascono le grandi imprese Dobbiamo dunque rassegnarci a essere un paese di piccole imprese? Neanche questo è vero, ma dobbiamo capire che le grandi imprese a carattere internazionale, non sono più nel settore industriale, che ovunque è caratterizzato prevalentemente da imprese medie e piccole. È invece il settore dei servizi quello dove ci sono e ci saranno sempre più grandi imprese: nella finanza, nelle comunicazioni, nei trasporti, nella logistica, nelle professioni (avvocati, ingegneri, eccetera), nella sanità, nei sistemi educativi.
La malattia era un forte difetto di competitività, che si era manifestato dopo la prima crisi da petrolio del 1973 e aveva prodotto un lungo periodo di inflazione/svalutazione, necessario per mantenere i livelli di attività. La cura della malattia iniziò nel 1989 con la disdetta della scala mobile e terminò nel 1996 con lingresso dellItalia nelleuro. In mezzo abbiamo avuto le nuove relazioni industriali, la riforma delle pensioni, la riduzione del disavanzo pubblico dei governi Amato e Ciampi. Il periodo dal 1996 a oggi è stato la fase di “degenza”, durante la quale lapparato industriale italiano si è sbarazzato della necessità delle svalutazioni. Ora ha ripreso a crescere.
Non che leconomia italiana sia risanata una volta per sempre, né si può dire che lindustria italiana sia ormai competitiva e non tema la concorrenza internazionale. Ma si può affermare che la cura del cambio fisso e dellintroduzione di flessibilità (nei salari e nelloccupazione) attuata negli anni Novanta ha funzionato: ne vediamo i risultati, in termini di aziende che esportano con esiti economici positivi.
Invece, si sente parlare di declino industriale per la perdita di alcune imprese di grande dimensione, per la diminuzione delle quote di mercato estero in volumi, per la crescita zero degli ultimi cinque anni, per la riduzione della produttività (o meglio del parametro prodotto per addetto), quasi che oggi fossimo in malattia e che tutto quanto fatto sinora non fosse servito a niente. Ma, fatto ancora più grave, con questa analisi si finisce per riproporre vecchie ricette per rilanciare la competitività, rispolverando formule e terapie non dissimili da quelle della svalutazione della moneta, dalle riduzioni una tantum del cuneo fiscale, alla difesa di campioni nazionali e alle politiche di incentivi. Tutto ciò rischia veramente di riportarci indietro negli anni delle spirali inflazione/svalutazione.
Quando questo vantaggio si è eroso, lindustria italiana ha subito i riflessi della stabilità dei cambi in un mondo che si andava fortemente allargando, con la cosiddetta globalizzazione e lemersione dei giganti India e Cina. Questi fenomeni hanno determinato una spinta verso la specializzazione produttiva. In altre parole, alcune imprese si sono ridimensionate fortemente, quando non sono del tutto scomparse, mentre altre sono cresciute in maniera anche rilevante. Poiché la forza dellItalia industriale è nei prodotti di consumo, nella meccanica strumentale, nella componentistica e in pochi altri settori, la specializzazione ha favorito i comparti che si è soliti chiamare maturi, mentre si è ridotto il peso di settori dove esistono grandi imprese industriali e dove la nostra specializzazione era carente.
La crescita zero degli ultimi cinque anni, non è stata tale per tutte le imprese: al contrario, rappresenta una media aritmetica fra imprese che andavano bene (anche molto bene) e imprese che andavano male. La perdita di quote di mercato in volume è stata compensata da una difesa delle stesse quote in valore, segno di uno spostamento delle produzioni verso valori medi più elevati. Finita la fase di dolorosa depurazione, durata fino alla prima metà del 2005, lindustria italiana ha ripreso a crescere e la crescita non è dovuta tanto a fatti congiunturali, ma al processo di ristrutturazione spontaneo che si è prodotto nel corso degli ultimi dieci anni.
Può dispiacere a qualche nostalgico che lItalia non abbia più grandi imprese industriali, ma questo non autorizza a ritenere che il nostro apparato produttivo sia carente di competitività e soprattutto non implica il ritorno ai vecchi strumenti di politica industriale. Lindustria italiana di oggi è sufficientemente competitiva e continua a crescere nonostante alcune incertezze congiunturali.
È molto probabile che la crescita del 2007 sia superiore a quella del 2006 e qualcuno finirà per parlare di un nuovo miracolo economico o di ristrutturazione silenziosa.
Ma non cè nulla di miracoloso. Lindustria italiana si sta specializzando in produzioni “su misura”, ossia su prodotti concepiti e fatti in modo industriale, ma adattati al cliente con una cura di natura quasi artigianale. Basti pensare alla macchine utensili, studiate per clienti specifici, a quelle per limballaggio che sono spesso sistemi unici per determinati prodotti, alla moda e allarredamento, dove dominano i marchi che sono un fenomeno di personalizzazione del prodotto, al disegno industriale e alla ingegnerizzazione delle auto, fino ai componenti sofisticati che vengono progettati ed eseguiti assieme al cliente finale.
Sono produzioni dense di servizio, di studio, di progettualità e di ricerca e il loro mercato è cresciuto enormemente grazie allallargamento generato dalla globalizzazione e dalla presenza di nuovi concorrenti, come Cina e India. Queste imprese non hanno bisogno di svalutazioni più o meno esplicite né di interventi una tantum per ridurre i costi. Hanno bisogno invece di un paese che funzioni, con buone scuole, buone università e buone infrastrutture.
E qui siamo carenti. I nostri servizi sono asfittici e la ragione sta principalmente nella mancanza di concorrenza e di liberalizzazioni. La protezione di cui molti godono ne è anche la tomba perché il loro immobilismo si confronta con una crescita tumultuosa nei paesi dove le liberalizzazioni sono già state fatte. Basti guardare alle banche italiane, che hanno finalmente preso a crescere solo quando la liberalizzazione ha imposto loro nuove dimensioni e nuovi assetti.
La concorrenza ha salvato lindustria italiana. Si tratta ora di salvare i servizi facendo percorrere loro una strada non dissimile.
- Argomenti
- Commenti e repliche
- Conti Pubblici
- Concorrenza e mercati
- Corporate Governance
- Documenti utili
- Dossier
- Gender gap
- Energia e ambiente
- Europa
- Famiglia
- Finanza
- Fisco
- Giustizia
- Il Punto
- Immigrazione
- Informazione
- Infrastrutture e trasporti
- Innovazione e Ricerca
- Internazionali
- Istituzioni e Federalismo
- La parola ai numeri
- Lavoro
- Mezzogiorno
- Moneta e inflazione
- Pensioni
- Povertà
- Relazioni industriali
- Scuola e università
- Sanità
- Covid-19
- Parola ai grafici
- Podcast
- Fact-checking
- La Redazione
- SOSTIENI LAVOCE
Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.
6 Commenti