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Indovina chi siede al tavolo verde

Tra ospiti più importanti di altri e posti pre-assegnati come a una cena di gala, la concertazione italiana è un teatrino dove ciascuno recita un copione già visto. Molto meglio prendere esempio dalla Spagna. Il suo Consejo Económico y Social ha il compito di dare al parlamento un parere su ogni proposta di legge o decreto governativo di tema economico-sociale. Un ruolo che da noi potrebbe svolgere il Cnel. A patto di riformarlo radicalmente in modo da trasformarlo in una sede in cui si possa andare a fondo dei problemi, carte e dati alla mano. Perché il metodo è sostanza.

Indovina chi siede al tavolo verde, di Tito Boeri e Pietro Garibaldi

Si siedono attorno a un lunghissimo tavolo nella Sala verde di Palazzo Chigi. Posti pre-assegnati, come nelle cene di gala. Da un lato le parti sociali, dall’altro il governo. Al centro Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, esattamente di fronte al presidente del Consiglio, al ministro dell’Economia e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Tutte le altre sigle ai lati e nelle file di sedie alle spalle degli ospiti più importanti. Qualcuno in piedi. Per primo parla il governo. Poi, in rigorosa sequenza, Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, ciascuno secondo copione. I quattro grandi convitati scendono poi nella sala stampa di Palazzo Chigi per rilasciare dichiarazioni a testate e Tv in tempo per il lancio dei telegiornali di prima serata, in modo da entrare in diretta nelle cucine degli italiani all’ora di cena. Intanto, in sala verde la riunione continua mestamente con le altre sigle. Al tavolo sono rimaste le briciole.
Questa, signori, è la tanto celebrata concertazione. Un vero e proprio “teatrino”. Tutti attorno a un tavolo, ma non certo tutti uguali, e non per discutere, ma per dichiarare. C’è un tavolo nel tavolo. E chi ha deciso i posti a tavola? Chi è rappresentato dagli invitati d’onore e perché alcuni si possono alzare prima? E i posti d’onore si mantengono per sempre?

Quando la forma è sostanza

Si è spesso discusso in questi anni se sia giusta o no la concertazione. Durante la passata legislatura si era addirittura pensato di ribattezzarla “dialogo sociale”. È una discussione oziosa. Nessun governo potrà mai far finta che non esistano i gruppi di interesse, le lobby. Il punto è un altro: il quesito da porsi è chi deve essere ammesso a sedersi al tavolo, a quello vero, e per fare cosa.
Finché c’è un forte vincolo esterno e tutti a questo sono chiamati a contribuire, il numero dei posti a tavola e i “seating arrangements” contano poco. Nella corsa all’euro, la concertazione ha funzionato perché anche gli invitati di secondo o terzo livello sentivano la stessa necessità dei “quattro eletti” di raggiungere il risultato. Ma quando si tratta di varare riforme strutturali e tagli veri alla spesa pubblica, dunque selettivi, il discorso cambia radicalmente. In questo caso, la disposizione dei posti a tavola determina l’esito della trattativa. E bisogna “contare le deleghe”, verificare chi rappresenta che cosa.

L’esempio spagnolo

Invece di invitare occasionalmente gli “stakeholder” a un tavolo/teatrino in cui possono solo esercitare un diritto di veto, occorre creare una sede permanente di confronto. In cui si abbia la possibilità, a differenza di quanto avviene nella sala verde, di vedere prima le carte e di studiarle a fondo. Qui forse la Spagna, di cui invidiamo la forte crescita e la contenuta conflittualità sociale, può darci qualche idea utile. Prendiamo spunto dal Consejo Económico y Social (www.ces.es). Ha il compito di esprimere un parere al parlamento su ogni proposta di legge o decreto del governo sui temi economici sociali. E lo fa in modo meticoloso e tempestivo.
In Italia una sede come il Ces esiste già, ma è diventata un cimitero di elefanti, un posto in cui riciclare i “trombati” della politica. Si tratta del Cnel, Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, previsto dalla Costituzione proprio come “organo di consulenza delle camere e del governo” per “contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge”. Il problema è che oggi il Cnel è un parlamentino di centoventi persone che non fa quasi nulla di significativo. I rappresentanti di categoria sono scelti dal governo e dal Presidente della Repubblica, senza alcuna garanzia di reale rappresentanza. Vi si organizzano tanti convegni, spesso superflui. Il Cnel stesso, nonostante la natura costituzionale, potrebbe oggi ben figurare in un elenco degli enti inutili.
Il Cnel ha bisogno di una riforma strutturale È innanzitutto necessario dotarlo di una segreteria tecnica di qualità, con economisti e giuristi reclutati con stringenti criteri di merito. Poi si tratta di strutturare il parlamentino in cinque gruppi di interesse: i) i lavoratori dipendenti, ii) i lavoratori autonomi e le professioni, iii) i datori di lavoro, iv) gli studenti (futuri lavoratori) e v) gli esperti di nomina governativa. I rappresentanti di ciascun gruppo sono a tutti gli effetti soggetti abilitati alla concertazione con i poteri pubblici. Devono perciò essere selezionati sulla base di procedure trasparenti e ricorrendo a elezioni fra le diverse categorie. Ad esempio, in Spagna, i “seggi” dei lavoratori dipendenti vengono attribuiti in base al numero di consensi ottenuti dai diversi sindacati in votazioni tra i lavoratori. E c’è anche una soglia minima: possono accedere al Ces solo rappresentanti di associazioni che superino il 10 per cento dei consensi a livello nazionale o il 20 per cento a livello regionale. Queste elezioni potrebbero anche essere un’occasione per affrontare il problema irrisolto della rappresentanza sindacale nella contrattazione collettiva.
Il parlamentino dovrebbe poi istituire commissioni ad hoc con il compito di esprimere un parere su disegni di legge e decreti governativi, prima che completino il loro iter parlamentare. Il lasso di tempo prefissato molto breve (difficilmente si andrebbe oltre un mese) concesso alla commissione per l’esame dei provvedimenti spiega l’esigenza di una adeguata segreteria tecnica. Come in Spagna, ogni commissione dovrebbe essere composta da cinque membri, uno in rappresentanza di ciascuno dei cinque gruppi elencati. Il numero dispari garantisce che al suo interno venga espressa una posizione di maggioranza.
Il “nuovo Cnel” dovrebbe essere una sede in cui, lontani dai riflettori, si possa andare a fondo dei problemi, carte (e dati) alla mano. Come si è dimostrato con la Finanziaria, le riforme strutturali sulla spesa non si riescono a fare in poche settimane. Richiedono “tempo” e “confronto”, mentre nel nostro teatrino si ottengono soltanto veti, la legittimazione di alcune sigle la cui rappresentatività non viene mai messa in discussione, e il continuo procrastinare riforme irrinunciabili. Il metodo è sostanza.

Il ruolo del Cnel, di Antonio Marzano*, Giuseppe Acocella** e Vittorio Fini**

L’articolo del 23 ottobre, firmato da Tito Boeri e Pietro Garibaldi, chiama in causa il Cnel. Crediamo doveroso e necessario dare un contributo costruttivo alle questioni che lì sono state sollevate.
Sono questioni serie e non intendiamo sottovalutarle, ma, con molta franchezza, possiamo affermare che l’utilità e le funzioni del Consiglio, come gli stessi autori affermano in riferimento al “Cnel spagnolo” (Ces), sono essenziali per una democrazia matura.
Nel frattempo, l’attività prosegue e risparmiamo ai lettori l’elencazione di pronunce, pareri e osservazioni che il Cnel invia ai suoi naturali interlocutori, e cioè Parlamento e governo.

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Tornare a investire nel Cnel

Siamo d’accordo che il Cnel abbia bisogno di una riforma radicale, che abbia come scopo dichiarato quello di rinverdire l’autorevolezza e l’efficacia d’intervento che i Padri Costituenti gli hanno destinato. Ma occorre anche denunciare vincoli e difficoltà che il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro incontra.
Le risorse messe a disposizione del Consiglio, a differenza di quanto accade per altri organi costituzionali, si sono assottigliate di un corposo 16,7 per cento nel quinquennio 2001-2006. (1)
Inoltre, hanno pesato negativamente il blocco del turn over e la mancanza di bandi per assunzioni specializzate: il Cnel, per la sua attività di consulenza, deve avere a disposizione giovani laureati, esperti nelle materie economico-giuridiche e sociali.
A onor del vero, occorre dire che tutto il personale del Cnel, in cronica carenza di organico (siamo sotto del 20 per cento) e dopo una coda contrattuale che è durata quasi cinque anni, compie autentici miracoli per far funzionare la macchina.
La questione è quindi invertire la tendenza e investire nel Cnel. Il Consiglio è infatti l’organo ausiliario dello Stato deputato ad anticipare i fenomeni legati all’economia e al lavoro con il compito, appunto, di fornire a Parlamento e governo le indicazioni utili agli scopi istituzionali. A questo proposito, e non crediamo di svelare un segreto di Stato, il Cnel ha chiesto ai presidenti del Senato e della Camera di patrocinare l’inchiesta sul lavoro che cambia in Italia.
Sulle questioni “politiche” la cautela è d’obbligo; nulla, però, ci vieta una riflessione. L’organo sovrano del Cnel è l’assemblea, e si organizza in sette commissioni, che spaziano sui temi dell’economia e del lavoro, e in due osservatori permanenti (sulla criminalità economica e sull’immigrazione).
Si può fare meglio e di più? Certo. Anche su questo il dibattito è aperto. E come ogni dibattito che s’ispira alle riforme e al rinnovamento, sottende qualche naturale sacrificio dello status quo.
Quello che non è sacrificabile è l’insostituibile ruolo, nella vita di un organo costituzionale che si occupa di economia e lavoro, delle associazioni e delle organizzazioni di rappresentanza. Non a caso, l’accordo del 23 luglio 1993 individua nel Cnel la naturale sede della concertazione.
Non abbiamo difficoltà ad avviare un serio e approfondito lavoro di restyling che consegni, magari alla prossima Consilatura, un Cnel che sia un modello d’alta consulenza.

* Presidente del Cnel

** Vicepresidente del Cnel

(1) Vedi il Corriere della Sera del 19.10.2006.

La replica di Luigi Angeletti

Ci sembra piuttosto ingeneroso l’ìncipit dell’articolo di Boeri e Garibaldi pubblicato su lavoce.info con il titolo “Indovina chi siede al tavolo verde”. Che la concertazione abbia vissuto una fase di crisi è indubbio ma che la si voglia ridurre ad uno spettacolino da teatrino di periferia mi pare francamente eccessivo. Accettiamo tuttavia la provocazione che induce al dibattito e crea spazi per alcune considerazioni. La concertazione è stata la politica buona, quella che ha contribuito a contenere l’inflazione e a risanare la finanza pubblica, consentendo l’ingresso del Paese, a pieno titolo, in Europa. In quel periodo l’esperienza della concertazione italiana divenne oggetto di studio in molte nazioni e rappresentò un esempio virtuoso di relazioni sindacali da esportare. Negli ultimi anni le cose sono cambiate. Ma la ragione di questa crisi non è stata solo politica. Il conseguimento dell’obiettivo del risanamento, insito in quella che potremmo definire la “prima concertazione”, ha svuotato di contenuti quella stessa metodologia politica. Oggi, la concertazione può, anzi, deve vivere una sua nuova stagione applicata ad un nuovo obiettivo: lo sviluppo. C’è bisogno di una politica economica concertata tra sindacati, imprese e governi, capace di far crescere il Paese. Alcune ritualità, poi, possono restare un fatto marginale, buone per i “pezzi” di colore, ma la sostanza della partecipazione alle scelte che vedono direttamente coinvolto o destinatario il mondo del lavoro dipendente, riacquisterebbe corpo e valore. Nell’interesse e per il bene di tutti. In questi ultimi mesi si sta provando a ripercorrere questa strada, con risultati ancora di segno incerto. Si vedrà prossimamente se davvero siamo agli inizi di una nuova fase.
Ma la concertazione non sembra essere il bersaglio principale dell’analisi di Boeri e Garibaldi se è vero, come è vero, che si auspica un ruolo più attivo ed incisivo del Cnel come nuova sede in cui esercitare proprio quella stessa prassi. E’ certamente condivisibile l’intento di rivitalizzare un importante organo di rilevanza costituzionale quale è il Cnel ma quella proposta, per il ruolo diverso che si vorrebbe attribuire alle parti interessate, è difficilmente traslabile alla realtà italiana. Il sindacato, in particolare, ma anche alcune associazioni datoriali, pur non essendo “della” politica, sono soggetti che storicamente operano “nella” politica, organizzando interessi di una parte molto significativa e numerosa della società italiana. Ridurre il sindacato esclusivamente ad un ruolo tecnico e di consulenza legislativa vorrebbe dire cancellare decenni di storia ma, soprattutto, dimenticare che l’interlocuzione diretta con i governi garantisce a questi ultimi la possibilità di cogliere rapidamente, e senza alcuna mediazione preventiva, le esigenze reali di una parte cospicua del Paese, rappresentate proprio dai sindacati. Senza contare, infine, che “l’ingabbiamento” in un organo istituzionale determinerebbe una sorta di “statalizzazione” o “burocratizzazione” del sindacato, evocando passate esperienze dagli scarsissimi contenuti democratici. Il sindacato resta una libera associazione di iscritti in grado di interagire liberamente con la politica, che liberamente deve muoversi, a garanzia dei principi della nostra Costituzione.
C’è, infine, un ultimo aspetto, che è poi quello su cui è costruita la tesi dei nostri due autori e che diventa la vera chiave di lettura della loro provocazione: la questione della rappresentatività. Se questa è la vera preoccupazione, allora non ci sono problemi. Noi siamo pronti per trovare un sistema di misurazione della rappresentatività delle sigle sindacali che possa offrire, a tutti, l’idea chiara dell’effettivo peso delle forze in campo. Noi siamo perché si voti e perché si facciano elezioni in tutti i luoghi di lavoro e non solo in alcune medie e grandi aziende. Peraltro, nella pubblica amministrazione già esiste un tale meccanismo codificato e ben funzionante. Occorre trovare un sistema che, fatti tutti gli aggiustamenti del caso, possa essere applicabile anche ad altri settori del mondo del lavoro. A questo proposito, un accordo tra le parti direttamente coinvolte, da recepire successivamente con legge, non dovrebbe essere affatto un’impresa impossibile. Cosa ben diversa sarebbe una legge che decidesse su quali materie e come fare intervenire il sindacato: la contrarietà a logiche stataliste della funzione sindacale l’abbiamo già argomentata. Noi siamo a favore di un’autentica liberalizzazione, già ampiamente attuata nel mondo sindacale, considerata la quantità di sigle che operano in molti settori. Siamo per una liberalizzazione governata dalla dialettica politica. E’ giusto registrare il peso ponderale dei soggetti di questa dialettica; ingabbiarla ci sembrerebbe però un’operazione poco liberale.

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Luigi Angeletti
Segretario generale Uil

Roma, 27 ottobre 2006

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Un pessimo segnale

  1. Lucia Tajoli

    Proposta interessante e utile quella della riforma del CNEL. Ma perchè rappresentare cinque gruppi di interesse e quei cinque? E’ chiaro che perchè il sistema funzioni ci deve essere qualche selezione, ma come farla? Per esempio, in materia di decisioni economiche in questo paese non vengono mai rappresentati gli interessi dei consumatori, che potrebbero essere inclusi in questo caso.

  2. Gaetano Zilio Grandi

    Nel leggere le interessanti, condivisibili e quasi “lapalissiane” osservazioni di Tito Boeri sulla c.d. concertazione italiana, il sottoscritto, che ha pubblicato più di un articolo sul tema, non può che sobbalzare. In effetti si tratta di uno di quei non rari casi nei quali il teorico (cioè il sottoscritto), nel difendere un istituto o metodo, quale è la concertazione, da un pericolo esterno (la proposta del governo scorso di cancellare la stessa concertazione) finisce per verificare come i suoi sforzi siano vani, rispetto a ciò che realmente avviene.
    E cerco di spiegarmi in poche parole: è tutto vero quel che racconta Boeri, la prassi concertativa è proprio quella, così come quella descritta è la visibilità mediatica che a questi eventi, e solo a questi, viene assegnata aprioristicamente.
    Che fare, dunque?
    Il “modello” spagnolo comincia oramai a proporsi in più ambiti nei nostri confronti, ma la verità più generale è che siamo noi “vecchi”; il Cnel così come strutturato e funzionalizzato, seppure organo di rilevanza costituzionale, è “vecchio”.
    Insomma è come se, e la constatazione è ancor più amara per chi si occupa di queste materie, nel nostro paese l’attenzione fosse bassa per le questioni vere, reali, ed invece alta per quel che attiene alla forma, all’immagine.
    Ma in questo, è innegabile, i rappresentanti assomigliano in tutto e per tutto alla società, o parte della società, che rappresentano!

  3. Sandro Tomaro, Larissa Venturi

    Gentili Proff. Boeri e Garibaldi,
    in qualità di funzionari di ruolo del Cnel viviamo questa Istituzione da vicino, tuttavia interveniamo a titolo puramente personale.
    Condividiamo la Vostra opinione sull’inutilità dell’attuale Cnel: se rimane così, sarebbe meglio abolirlo. Condividiamo il Vostro riferimento al Comitato Economico e Sociale di Spagna come esempio virtuoso e come modello di riforma.
    Il Legislatore Costituente ha fatto, secondo noi, una scelta opportuna, quando ha deciso di prevedere il Cnel nella nostra Costituzione: infatti nei momenti in cui un sistema economico si trova ad affrontare sfide impegnative, spesso si conseguono obiettivi rilevanti al minimo costo, se la classe dirigente riesce a realizzare “gioco di squadra” tra forze produttive e forze politiche.
    Lo sta dimostrando la Spagna oppure, qui da noi, alcuni sistemi economici locali, come Roma o Milano; nel caso del Mezzogiorno, le Parti sociali e i Presidenti delle Regioni hanno avviato nel 2004 un’azione comune per ottenere, tra l’altor, zone con fiscalità differenziata nelle aree più depresse e stanno ottenendo qualche risultato già nel disegno di legge finanziaria attualmente in discussione.
    Un Cnel funzionante può dare un contributo a realizzare un “gioco di squadra” sul tema più rilevante del momento: le politiche strutturali per rilanciare la crescita, che richiedono, tra l’altro, la revisione dettagliata del bilancio dello Stato dal lato della spesa, ossia quel processo che accademici e giornalisti chiamano spending review e che in italiano si potrebbe tradurre con l’espressione “revisione dei bilanci pubblici con criteri di buon senso”.
    Poi se questo “gioco di squadra” si chiama “concertazione”, “dialogo sociale” o, come più semplicemente diceva Papa Wojtyla, “Damose da fa’!”, ciò attiene alla sfera della legittima autonomia delle Parti sociali e politiche.

  4. Antonino Colombo

    Si sente parlare tutti i giorni di globalizzazione e integrazione dei mercati. Nella discussione sulla ridefinizione delle regole della concertazione il fenomeno è, invece, curiosamente assente. Il mio dubbio è il seguente: è opportuno non considerare il peso di attori economici stranieri, come ad es., i grandi gruppi bancari operanti nel nostro Paese? Quale voice si vuole loro attribuire? Lasciarli fuori vuol dire semplicemente incentivarli a fare lobbing… Un’altra complicazione potrebbe venire dalla Societas Europaea (Allianz che ha assorbito RAS si è data di recente questo ‘statuto’ organizzativo). Verosimilmente la Commissione euriopea ha interesse a difendere la sua creatura e ciò può portare alla crescita del peso preponderante di simili imprese. Insomma a me il quadro pare assai complicato e dubito che il CNEL sia pure rivitalizzato possa dare riscontro alle esigenze di mediazione portate dall’imporsi di queste nuove forze di dimensioni che vanno ben al di là dei confini nazionali.

  5. Fabio Scacciavillani

    La concertazione è il sintomo di una democrazia debole. Nelle democrazie compiute il processo decisionale si estrinseca attraverso le elezioni. L’approvazione delle leggi e l’allocazione delle risorse pubbliche è prerogativa del Parlamento dove questi temi si dibattono di fronte ai cittadini. La concertazione invece consente ad alcune lobby potenti (spesso finanziate largamentte attraverso denaro pubblico) di stravolgere il processo democratico: ad esempio la Finanziaria viene prima passata al vaglio delle cosiddette parti sociali, che si arrogano un diritto di veto, e poi al Parlamento.
    Pertanto la questione fondamentale è questa: perché chi appartiene a interessi organizzati ha diritto di influenzare le decisioni collettive, mentre gli altri sono considerati cittadini di serie B o C? Il principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione è effettivamente garantito in queste condizioni?
    La proposta di un CNEL “alla spagnola” non affronta tale questione. I cinque gruppi di interesse individuati sono i piú meritevoli di tutela? Perché gli studenti e non le casalinghe? Perche’ i lavoratori dipendenti e non i disoccupati? O gli handicappati? O i ricercatori? O i musicisti? E all’interno della corporazione dei lavoratori autonomi, coincidono le esigenze dei medici con quelle dei lavoratori che le imprese assumono come consulenti per non pagare i contributi sociali? E gli interessi dei lavoratori a progetto verrano difesi dagli esperti di nomina governativa? E quelli degli immigrati?
    Se proprio si ritiene che le decisioni cruciali debbano essere affidate a gruppi organizzati, tanto vale istituire nuovamente la Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Almeno si farebbe chiarezza dal punto di vista semantico. Non ditemi che sarebbe un ritorno al passato. Un tempo gerarchi e federali arringavano il popolo dai balconi. Oggi lo farebbero dai microfoni dei telegiornali o immersi nelle scenografie celesti di Porta a Porta, tra le scollature delle soubrettes.

  6. Camillo Lanzinger

    Dai commenti mi pare di vedere che l’antico vizio italico non tramonta: tutti dicono “voglio esserci anch’io”, e si comincia a litigare su chi c’è e chi non c’è; poi si stabiliscono le regole, le precedenze, le formalità, i riti.
    La definizione in questo senso di “teatrino” non è poi molto lontana dal vero, visto tra l’altro i risultati mediamente ottenuti.
    La concertazione ci vuole, ovviamente. I rituali no.
    La proposta di Boeri&C. ha il vantaggio di definire, in modo coerente con la composizione della Società reale odierna. dei gruppi trasversali di portatori di interesse in modo da dare luogo ad un’analisi diversa da quella condotta dal panorama esistente di gruppi che rappresentano interessi specifici di categoria o di orientamento politico.
    In questo senso il “nuovo” CNEL potrebbe dare effettivamente un contributo aggiuntivo.
    La concertazione su tavoli tematici separati, ai quali siedano i rappresentanti dei diversi gruppi di interesse che si affrontano su quel tema specifico secondo le regole -o senza regole – funzionali al tema in discussione esiste già. E va, naturalmente, mantenuta e resa più efficace e trasparente.
    Che si senta la necessità che una parte della discussione-concertazione si svolga anche al di fuori dell’arena monopolizzata dai lobbisti, in modo da permettere l’emersione di idee e pareri “deboli” mi sembra un passo importante nello sviluppo democratico.

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