Una Finanziaria non si limita a ridistribuire un reddito dato. Influenza la convenienza a produrne di nuovo, modificando gli incentivi a investire e a creare posti di lavoro: gli effetti davvero importanti per la crescita, il problema numero uno dell’Italia di oggi e di domani. La legge per il 2007 non incide sui nodi che un imprenditore affronta quotidianamente: costo dell’energia, risorse umane e difficoltà di sbocco sul mercato interno. Non c’è neanche la riduzione delle tasse sulle società. Eppure sono proprio le ragioni per cui nel nostro paese non si fa innovazione
La Finanziaria 2007 è stata finora giudicata in base a quanto dà o toglie: alla “classe media”, ai lavoratori autonomi, ai dipendenti, alle imprese; in breve, per i suoi effetti redistributivi. Ma una Finanziaria non si limita a ridistribuire un reddito dato: influenza anche la convenienza a produrne di nuovo, modificando gli incentivi a investire e a creare posti di lavoro. Sono questi gli effetti davvero importanti per la crescita il problema numero uno dellItalia di oggi e di domani. Il caso: lazienda del signor V.A. Il signor V.A. (Vado Allestero) è un imprenditore veneto, a capo di unazienda (di famiglia, ma da lui molto ingrandita e globalizzata negli ultimi anni) che progetta e produce componenti meccaniche di alta precisione la quintessenza del progresso tecnologico incorporato nei macchinari. Gli affari vanno bene per lazienda, che ha anzi necessità di ampliare la sua scala di produzione. Il signor V.A. ha però deciso di farlo spostando la produzione di una parte di queste componenti fuori dallItalia, e cioè in un paese dellEst europeo. Cè poco nella Finanziaria per il signor V.A. La Finanziaria mette a disposizione sette miliardi di euro per le imprese, scoraggiando in vari modi comportamenti individuali dannosi per lambiente. Finanzia progetti di innovazione industriale che mirano ad aumentare lefficienza energetica. Ma non contiene misure per migliorare laccesso e ridurre il costo dellenergia per il signor V.A. Morale della storia La politica economica può e deve consentire alle imprese del Made-in-Italy di spostare una parte delle loro produzioni in paesi lontani. Ma deve convincere le imprese che producono innovazione a farlo in Italia. A questo servono le politiche per lenergia e per le risorse umane, e una riduzione delle tasse sul reddito dimpresa. Più che con progetti industriali in aree depresse e altre politiche industriali più sofisticate, è risolvendo i problemi quotidiani del signor V.A. che lItalia ricomincerà a crescere.
Valutare gli effetti delle varie misure della Finanziaria sulla crescita è un compito difficile, adatto a uffici studi e agenzie di rating e comunque soggetto ad ampi margini di errore. Cè un modo alternativo per farlo. Anziché fare conti complicati si può considerare il caso di unimpresa innovativa del Nord-Est che ha recentemente spostato la produzione nellEst Europa e chiedersi cosa fa la Finanziaria per indurre questa impresa a tornare sui suoi passi.
Perché lo fa? Per varie ragioni: energia, risorse umane, tasse e difficoltà di sbocco sul mercato interno. Vediamole brevemente una alla volta.
Per produrre componenti di precisione ci vuole tanta energia, che è costosa e poco accessibile per le imprese italiane. In Italia, i tempi per ottenere una cabina da 500 kilowatt sono lunghi e variabili: 6, 11, 15 mesi? LEnel non lo dice in anticipo al signor V.A., ma i soldi li vuole comunque in anticipo. Nel paese dellEst Europa bastano quattro mesi e il pagamento è alla consegna della cabina.
Secondo, in Italia non si trovano i laureati (in ingegneria meccanica e scienze dei materiali) e i tecnici per aumentare la produzione. Da noi, un neo-laureato con quelle caratteristiche prende 1500 euro al mese, che raddoppiano nei conti dellimpresa. Nei paesi dellEst Europa, listruzione tecnica è diffusa e di buon livello qualitativo; e gli stipendi richiesti dai tecnici sono ovviamente inferiori.
Una terza ragione per delocalizzare è il regime fiscale nei confronti dei profitti societari, molto più favorevole nel paese dellEst Europa rispetto allItalia.
Infine, una quarta ragione è il desiderio di produrre vicino a un grande mercato di sbocco, la Germania. Il signor V.A. ha provato a fare il sub-fornitore in Italia, ma si è trovato di fronte termini di pagamento svantaggiosi rispetto a quelli che offerti in Germania da concorrenti diretti delle aziende italiane acquirenti. Come si leggeva lestate scorsa sul Sole-24Ore, il suo caso non è isolato: le aziende italiane non brillano certo in Europa per puntualità nei pagamenti differiti. È un peccato perché, come mostra lesempio della Nokia e del suo “Ict cluster” in Finlandia, la diffusione dellinnovazione riceve spesso un impulso fondamentale dallesistenza di proficue interrelazioni tra clienti e fornitori allinterno di un paese.
Nella Finanziaria cè lintervento sul cuneo fiscale che riduce il costo del lavoro per le imprese che creano posti di lavoro a tempo indeterminato. In questo modo, si darà un po di ossigeno alle imprese che fanno tessile, abbigliamento e scarpe. Ma mancano sgravi fiscali preferenziali o una politica di immigrazione selettiva – per le imprese che assumono i tecnici (ingegneri e scienziati dei materiali, ma anche semplici diplomati).
Nei sette miliardi per le imprese, non cè la riduzione delle tasse sulle società perché si è preferito finanziare varie forme di supporto per le imprese. Ci sono crediti di imposta per chi investe nelle aree svantaggiate e in ricerca e sviluppo di utilizzo più flessibile che in passato. Il credito è maggiore per le imprese che fanno ricerca con enti pubblici, ma non per le grandi imprese che condividano la loro tecnologia con le piccole. Ci sono soldi anche per “promuovere la competitività nei settori ad alta tecnologia” e perfino 5 milioni per unAgenzia Nazionale per la diffusione delle tecnologie per linnovazione. Tutte scelte legittime, non le uniche possibili.
Nella versione dell’articolo pubblicata sul sito parlavo erroneamente di neo-laureati in ingegneria che prendono 1500 euro netti al mese. La parola neo è di troppo. dalle varie lettere arrivate apprendo che i neo-laureati in ingegneria ricevono uno stipendio molto inferiore. E anche gli imprenditori con cui ho parlato mi avevano parlato di ingegneri e tecnici, non neo-laureati.
Mi scuso con i lettori per l’imprecisione che ha urtato la suscettibilità di una categoria di persone che incontra difficoltà sul mercato del lavoro.
Ribadisco tuttavia che la sostanza dell’articolo non cambia. Come riportato dalle società di ricerca del personale e dal Sole 24 Ore del 31/10/06, le imprese del Nord-Est affermano di non trovare tecnici. Come spiegavo nell’articolo, la presenza di elevate tasse sul lavoro fanno convivere basse paghe (salari netti) e alto costo del lavoro per l’impresa.
Sto leggendo commenti allucinanti riguardo la laurea in ingegneria. C'è davvero gente che dopo 5 anni di lavoro e una laurea in ingegneria prende 900 euro al mese? Io sono laureato in ing telecomunicazioni al politecnico di milano, è ovvio che i primi mesi di lavoro erano pagati 500 euro al mese. Adesso che lavoro da due anni prendo 1300 euro netti al mese per 13 mensilità, non è tantissimo ma nemmeno 900 come dice qualcuno, e fra circa un anno (cioè dopo 3 anni di lavoro) dovrei arrivare a prendere 1500 con il 5° livello di contratto. Ho molti amici del politecnico e più o meno percepiscono questa retribuzione quindi non riesco a capire di che tipo di lauree si parla in questo sito e soprattutto dove sono state prese. Certo se si parla di lauree di ingegneria di università di provincia, non si va da nessuna parte.