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Un test per il preside

L’unico modo per difendere l’istruzione pubblica è migliorarne la qualità. Ma anche nella scuola è l’organizzazione del lavoro che va modificata perché non dà ai dirigenti scolastici gli incentivi e gli strumenti necessari affinché possano migliorare i risultati didattici. Per questo va difeso il principio di un esercizio di valutazione per ogni scuola. Utilizzando i punteggi ottenuti dai singoli istituti per valutare l’operato dei presidi. Con l’obiettivo di migliorare rispetto a sé stessi, non genericamente rispetto al sistema scolastico nazionale.

Il nodo che frena l’efficienza della pubblica amministrazione è insito nell’organizzazione del lavoro che caratterizza il settore pubblico, diversa da quella del settore privato.

Dirigenti pubblici e privati

Dopo la riforma Bassanini, il contratto di lavoro dei dirigenti pubblici è tipo privatistico. Tuttavia, è tale solo in maniera formale, in quanto non prevede né gli incentivi né gli strumenti propri del settore privato. In altre parole, se gli stipendi sono spesso paragonabili a quelli del settore privato, i dirigenti pubblici non hanno le stesse responsabilità. Non per loro colpa. La ragione è semplicemente che in primo luogo il settore pubblico non è esposto alla legge della concorrenza, un formidabile incentivo all’impegno individuale. Secondariamente, non vigono le stesse discipline di assunzione e licenziamento e le politiche di premi salariali del settore privato, entrambi straordinari strumenti di direzione e di motivazione del personale.
Il risultato è che i dirigenti pubblici spesso non possono organizzare liberamente i dipartimenti. In particolare, non possono assumere chi vogliono e non possono licenziare i dipendenti che non ritengono adatti alle loro mansioni. Ma anche se fosse data loro maggiore facoltà di disporre delle risorse umane, i dirigenti non avrebbero gli incentivi “giusti” a organizzarle efficientemente: non sono soggetti infatti ai vincoli di rendimento come nel settore privato. D’altra parte, non è possibile affidare ai dirigenti pubblici maggiori poteri, se non rispondono del loro operato in termini verificabili.

Da Pisa all’Invalsi

Prendiamo il mondo della scuola. L’intento è di suggerire un modo in cui, in un settore che produce un bene prettamente pubblico come l’istruzione, si può tuttavia creare un sistema di incentivi e strumenti per i dirigenti pubblici che porti a un miglioramento dei risultati.
Gli alunni della scuola italiana ottengono punteggi molto bassi nelle indagini comparative internazionali Pisa (Programme for International Student Assessment). L’Italia figura regolarmente vicino a Turchia, Grecia e Messico. Il risultato non è dovuto a una spesa per studente inferiore rispetto ad altri paesi, né al fatto che maestri e professori sono pagati meno dei colleghi di altre nazioni  bensì a una scarsa qualità della “produzione” scolastica. Intendiamoci subito, non è colpa degli insegnanti, i quali spesso sono molto dediti al loro lavoro. Il numero di docenti per studente è più alto in Italia che negli altri paesi d’Europa ed esistono certamente insegnanti che non fanno il loro lavoro rovinando così intere classi di studenti, tuttavia i nullafacenti si trovano in ogni professione. Credo quindi che sia l’organizzazione del lavoro che non dà gli incentivi giusti e gli strumenti necessari ai dirigenti scolastici affinché possano migliorare i risultati della scuola.
L’Invalsi, l’Istituto di valutazione nazionale scolastica, in questi anni ha condotto test in tutti gli istituti scolastici d’Italia (elementari, medie e superiori), somministrando a un campione casuale di studenti un questionario a domande a risposta multipla. È così possibile assegnare a tutte le scuole un punteggio che, per quanto imperfetto, può essere preso come base di riferimento dei risultati raggiunti. Una caratteristica importante del test è che contiene informazioni sulla capacità di lettura dei testi e sulle conoscenze base di matematica degli studenti e non misura soltanto le percentuali di promossi. Un dato, quest’ultimo, che non necessariamente indica la qualità dell’insegnamento, quanto piuttosto la volontà di promuovere degli insegnanti e dei presidi.

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Una valutazione da difendere

Gli operatori della scuola parlano spesso molto male della prova dell’Invalsi perché non sarebbe stata somministrata con le dovute attenzioni. Certamente, è possibile migliorare il test e la struttura stessa dell’Invalsi. Tuttavia, a mio parere, il principio di un esercizio di valutazione per ogni scuola deve essere difeso strenuamente. E i risultati raggiunti dai singoli istituti potrebbero essere utilizzati per valutare l’operato dei presidi.
Oggi i presidi, diecimila in tutta Italia, sono dirigenti pubblici pagati circa il doppio dei docenti e privi di incarichi di insegnamento. Sono manager con molti poteri amministrativi e di organizzazione didattica. Ma non hanno né gli incentivi né gli strumenti per migliorare i risultati degli istituti che dirigono. Non hanno strumenti perché anche di fronte a insegnanti palesemente incapaci non possono prendere provvedimenti immediati. Non hanno incentivi perché la loro carriera e il loro stipendio non sono affatto legati ai risultati della loro scuola. Per i dirigenti scolastici, i quali rimangono spesso esposti al controllo politico, non esiste oggi alcun criterio di valutazione. Trovarne di oggettivi, come il test di valutazione sui risultati didattici, sarebbe nell’interesse di tutti, inclusi i presidi stessi.
I dirigenti scolastici, infatti, avranno l’incentivo a migliorare i risultati nelle loro scuole se sanno che il test sarà ripetuto ogni tre anni e che se l’istituto ottiene un punteggio inferiore alla prova precedente, sarà il preside a risponderne, perfino con il trasferimento ad altro incarico.
Naturalmente, vi devono essere delle garanzie della correttezza della valutazione. Per prima cosa, la somministrazione e la valutazione dei test sarà affidata a una commissione esterna alla scuola in modo che preside e insegnanti non possano influenzarne l’esito. Si dovrà inoltre tenere conto che i risultati riflettono anche fattori esterni, quali il contesto socio-economico di riferimento degli studenti iscritti. Dovranno essere introdotti correttivi per impedire che vengano attribuiti al dirigente e ai docenti risultati in realtà dovuti a fattori al di fuori del loro controllo. Potremmo anche prevedere che il nuovo test si tenga su due anni consecutivi per evitare che i risultati siano frutto esclusivamente di un caso sfortunato.
Il punto cruciale è che il risultato del test si confronta con quello della precedente prova nella stessa scuola. In altre parole, è sufficiente che si migliori rispetto a sé stessi piuttosto che relativamente ad altre scuole. Infatti, esistono differenze molto grandi e preoccupanti tra diverse regioni d’Italia e tra scuole simili all’interno della stessa regione ed è impensabile che si riducano rapidamente. Le distanze tra i risultati dei diversi istituti si ridurranno se l’incentivo a fare meglio vale fintanto che la scuola non è tra le migliori del suo tipo in Italia.
A fronte di questa responsabilità sui risultati, dobbiamo dare ai presidi maggiori strumenti di controllo. Ad esempio maggiori poteri di decisione sui fondi di incentivo per gli insegnanti e sulle assunzioni del personale di ruolo e supplente, oltre a maggiori poteri di valutazione degli insegnanti.
Senza cambiamenti sostanziali dell’organizzazione del lavoro, qualunque discorso sulla necessità di pagare meglio gli insegnanti o aumentare gli investimenti in strutture e tecnologie rischia di rivelarsi uno spreco di risorse.
La necessità di sottoporre anche gli impiegati pubblici a criteri di valutazione stringenti è una battaglia culturale e politica di prima grandezza e di massima urgenza. Migliorare il rendimento dell’istruzione pubblica è l’unico modo per poterla difendere.
Trovo sorprendente che il ministro Fioroni, cui va dato merito di aver reintrodotto la commissione esterna nell’esame di maturità, abbia cancellato per i prossimi anni i test nelle scuole italiane e li abbia sostituiti con prove a campione al fine di “valutare il sistema scolastico nel suo complesso”. Gli incentivi a migliorare i propri risultati esistono in quanto la valutazione si applica singolarmente a ogni scuola. Scompaiono se la valutazione avviene genericamente per il sistema scolastico nazionale.

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11 commenti

  1. Emilio Lotti

    Le cose scritte sono di buon senso ma non tutte aderenti alla realtà. La classe attuale dei dirigenti scolastici viene da un sistema “selettivo” (nessun bocciato e nessuno che si sia sentito inidoneo alle nuove funzioni) di corso concorso che ha trasformato, ope legis, dei presidi (ovvero degli esecutori di circolari) in “dirigenti”. La verità è che chi era “manager” (ovvero dotato di propri ed adeguati skill “dirigenziali”) ante concorso ha visto riconosciuto dallo Stato una qualifica corrispondente alle proprie capacità gli altri sono rimasti presidi con lo stipendio più elevato. Purtroppo come nella categoria degli insegnati anche in quella dei dirigenti c’è di tutto: dal vergosamente inadeguato all’incredibilmente bravo. Il vero problema che in italia è più la casualità di un mix quasi fortuito di persone motivate e capaci che fa la qualità e non un disegno ed un’azione di gestione delle risorse umane. Ed i sindacati, a mio modestissimo parere, non sono stati in questi anni di aiuto.

  2. Antonio Santoro

    A coronamento di quanto detto nell’articolo è opportuno precisare che in questi giorni sono stati individuati i vincitori del corso concorso per Dirigenti scolastici che dovranno frequentare un corso di formazione. Nulla è previsto per gli idonei non vincitori di detto concorso che hanno comunque superato due prove scritte e due prove orali. Intanto, però, sta per essere emanato un decreto per l’assunzione di circa 1500 presidi incaricati che non hanno fatto alcun concorso e faranno un “concorso riservato” Ora pur riconoscendo le legittime aspettative dei presidi incaricati non è opportuno bilanciare la loro assunzione con quella degli idonei del concorso pubblico. L’efficienza e l’efficacia di una scuola è sicuramente legata alla preparazione iniziale del dirigente e alla sua capacita di motivare ed essere un leader per i docenti, gli allievi e per tutto il presonale della scuola.
    Assegnare maggiori poteri al dirigente nel campo delle risorse umane non equivale automaticamente a sviluppare una scuola di qualità, anzi può persino succedere il contrario incentivando il clientelismo.
    Una scuola efficace che premia la meritocrazia non può che partire dal riconoscimneto del merito nella selezione dei Dirigenti scolastici.
    In definitiva gli idonei non vincitori del concorso per Dirigenti scolastici hanno dato prova di saper gestire una scuola al passo con i tempi e aspettano un segnale positivo dal Ministro Fioroni.

  3. rob-carlo

    Ma perché non si vuole la scuola dei “CONTENUTI”?
    Bisogna finirla con i progetti e l’offerta formativa: per la maggior parte dei casi è solo fumo per stupire!
    I presidi, per avere più finaziamenti, gratificano gli utenti con le promozioni facili, e gli insegnanti si adguano alle direttive del dirigente di turno.

  4. elena scardino

    Sono stata insegnante e preside di scuola media negli ultimi 13 anni della mia carriera (fino al 92). Sono assolutamente d’accordo con quanto proposto dall’articolo, e in più vorrei aggiungere che le differenze di risultati si hanno spesso anche fra le classi di una stessa scuola. Avevo ideato e attuato un sistema di valutazione interno con prove oggettive da somministrare ogni quadrimestre, i cui risultati venivano poi analizzati in appositi incontri, e che funzionava anche da incentivo a una autovalutazione dei consigli di classe e a una forma di emulazione benefica. Negli anni il sistema dette buoni risultati.

  5. giuseppe moncada

    Debbo riconoscere, da ex preside in pensionamento forzato a causa della bersani, che le valutazioni di Lotti sono perfettamente corrispondenti a quanto oggi esiste nella scuola italiana.La mia attività politica e amministrativa degli anni 80 mi hanno aiutato molto nel dirigere la scuola, oltre alla mia naturale tendenza ad operare nell’interesse dei giovani. La stessa procedura attuata per il concorso odierno non creerà affatto figure corrispondenti a ciò che si pretende da un dirigente scolastico. Non sono stati messi in atto quegli strumenti idonei a verificare la capacità di un preside nel saper coinvolgere i docenti nel lavoro scolastico. Con il concorso riservato aumenteranno i dirigenti poco capaci. Fino a quando non si capirà che l’inversione di tendenza deve avvenire dagli studi universitari, la nostra scuola sopravviverà solo grazie alle capacità, di non molti, sia docenti che dirigenti. Come viene ben detto nell’articolo, occorre una visione di sistema profondamnente diversa da quella che viene messa in atto oggi.Purtroppo in ciò i sindacati sono una palla al piede. Sono anche d’accordo con la ex collega Scardino

  6. Claudio

    Senza porre in discussione l’opportunità di introdurre parametri di valutazione, ritengo che la valutazione vera del lavoro scolastico la faccia la società nel suo complesso. In questo senso, mi chiedo se non esista un diretto rapporto tra la mediocrità degli studenti italiani nei test di valutazione internazionale e la mancanza di una qualsiasi correlazione tra formazione conseguita e prospettive di carriera. Uno studente belga, inglese o tedesco sa che se si prepara meglio potrà sperare in un avvenire migliore; per uno studente italiano questo non è vero (e lui lo sa bene). Già nell’ammissione alle università, ragazzi usciti con il massimo dei voti da licei seri vengono spesso scavalcati da chi ha magari preso il minimo in un diplomificio ma ha i contatti giusti (non parlo per sentito dire); non parliamo poi di quanto avviene nel mondo del lavoro. Quante possibilità ha un laureato con lode di entrare in uno studio professionale e quante ne ha di essere considerato un secchione e potenziale seccatore? Quante probabilità ha chi eccelle per merito di vincere un concorso pubblico rispetto all’amante o al figlioccio del funzionario? Non dubito che avvenga in tutto il mondo che il figlio dell’avvocato faccia l’avvocato e il figlio del medico il medico; ma dove c’è competizione, può almeno esserci una spinta ad assumere chi eccelle; dove “competizione” è una parolaccia, diventa una parolaccia anche “formazione seria”, con i relativi sacrifici richiesti. Meglio vivere tranquilli e fare “todos caballeros”: sono più contenti tutti, presidi, insegnanti, genitori e alunni. Quindi voler introdurre una seria valutazione del lavoro scolastico mi sembra auspicabile, ma mi chiedo se non sia un po’ come rifare il tetto mentre le fondamenta cedono.

  7. Cosimo

    Concordo con quanto letto e aggiungo che è stato un errore far diventare DIRIGENTI coloro che non potevano mai esserlo o diventarlo.Il sistema li ha prodotti e ce li teniamo…fino a quando? La scuola la fanno gli insegnanti capaci motivati e responsabili e non i dirigenti che a mio avviso sono soltanto dei burocrati o dei teorici e non sempre sono di supporto all’azione didattica ed educativa degli insegnanti se non a …parole.

  8. 16.02.2007

    Non sono un Preside, non sono un docente, sono un semplice Assistente Amministrativo, quasi alla fine della carriera, ed onestamente se devo paragonare Dirienti quelli che oggi dirigono la scuola, preferivo i Presidi di una volta che effettivamente davano l’anima alla scuola. I dirigenti attuali dirigono la scuola come un’azienda loro, ma mal diretta, è un vero fallimento e senza vedere i veri problemi di tutta la gestione scolastica.

  9. GIANNA

    Sono un Assi. Amm., che dopo tanti anni di lavoro svolto con diligenza, impegno e amore, è passata la voglia di continuare ci troviamo difronte a Dirigenti incapaci e nello stesso tempo non ci consentono di sentirci professionali, nonostante la costanza e l’impegno di sempre. E’ stato un bene far diventare Dirigenti coloro che non sono all’altezza di farlo? In una scuola autonoma, non mi sento più nè appagata, nè riconosciuta nella professionalità, nè tanto meno tutelata nel mio lavoro. Che fare?

  10. pietro monteleone

    I presidi sono manager, pagati il doppio degli docenti, che non hanno però né gli incentivi né gli strumenti per migliorare i risultati degli istituti che dirigono. Forse bisognerebbe aggiungere che non corrono poi neanche tanti rischi: non essendoci alcuna forma di valutazione, rispondono in pratica solo a se stessi. Meno male che nessuno parla più di scuola-azienda!

  11. BONI CARLA

    Sono Direttore amministrativo con 36 anni di carriera, ho sempre lavorato con professionalità e dedizione con Dirigenti Scolastici di ogni genere, la maggir parte galleggia e pur di non avere storie da ragione a tutti, in tutta la mia carriera scolastica ho incontrato solo un Preside effettivamente preparato sia didatticamente, sia amministrativamente che umanamente sapesse gestire un Istituto Scolastico. Da questo anno scolastico è stata assunta come T.I. presso il nostro Istituto, come Dirigente Scolastico, una maestra che non ha mai fatto neppure un giorno di vicariato, un vero disastro…arrogante, prepotente e presuntuosa, confusionaria e pasticciona ma soprattutto aggressiva con tutti i genitori, docenti e sta portando alla deriva il nostro Istituto. E’ stato fatto un esposto anche all’USR che ha inviato un’ispezione…ma alla fine chissà perchè tra di loro non si mangiano mai! Che delusione.

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