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La famiglia, innanzitutto

Società in cui la famiglia svolge un ruolo dominante tendono ad avere un tasso di risparmio più alto, lavorano meno, hanno attitudini diverse nei confronti del ruolo redistributivo dello Stato e meno mobilità sociale. Ma è la famiglia a dettare il comportamento economico o la struttura economica e a stimolare la nascita di una certa struttura sociale? Uno studio dimostra che gli immigrati di seconda generazione hanno comportamenti molto simili agli abitanti dei loro paesi di origine.

“A Brooklin, i gruppi etnici e sociali erano definiti secondo severi criteri. Innanzitutto, veniva la famiglia, il gruppo sociale più importante come appartenenza. C’erano gruppi cui ci sentivamo più affini, come gli ebrei. Riconoscevamo in loro lo stesso attaccamento alla famiglia e capivamo il loro modo di trattare gli affari (…)” così narra Vincent Schiavelli, attore italo-americano, immigrante di seconda generazione nella New York della anni Trenta. (1)

Studiando gli immigrati di seconda generazione

A molti sarà d’altra parte già capitato di ossevare che, nei confronti di attitudini economiche cardine, quali quella al risparmio, paesi e culture nutrono atteggiamenti diversi che vanno al di là di differenze religiose o di distinzioni semplicemente politiche. Cosa accomuna il Giappone all’Italia o all’Argentina? Un recente articolo cerca di approfondirne le ragioni, mettendo in rilievo l’importanza per le attitudini economiche dell’ “istituzione culturale” più radicata nella storia: la famiglia. (2) Prendendo spunto da studi sociologici che distinguono tra paesi a strutture familiari più o meno “coese” (tra le più coese si annoverano gli italiani, gli spagnoli, e la maggior parte dei paesi asiatici e latino americani) e più individualiste (come il Nord Europa, gli Stati Uniti d’America e il Regno Unito), lo studio mostra che società in cui la famiglia svolge un ruolo dominante tendono ad avere un tasso di risparmio più alto, lavorano meno (hanno un salario di riserva più alto), hanno attitudini diverse nei confronti del ruolo redistributivo dello Stato (i sistemi familistici tendono a sostituirsi allo Stato in questo ruolo) e meno mobilità sociale.
È la famiglia a dettare il comportamento economico o e la struttura economica a stimolare la nascita di una certa struttura sociale? Isolare il ruolo “culturale” della famiglia non è semplice; sarebbe perfettamente plausibile pensare che strutture familiari più o meno coese siano il risultato di difficili condizioni economiche. Per isolare metodologicamente le spiegazioni basate su vincoli economici effettivi, i due autori si cimentano in uno studio comparato di attitudini economiche nei paesi d’origine e tra gli immigranti di seconda generazione negli Stati Uniti. Se le nostre attitudini al lavoro, al risparmio, la fertilità sono frutto di vincoli economici, gli immigranti di seconda generazione, che nella maggior parte dei casi non hanno mai messo piede nel loro paese di origine, dovrebbero essere più simili agli americani che ai loro connazionali.
Quale è il risultato di tale “esperimento”? Gli immigranti di seconda generazione hanno comportamenti molto simili agli abitanti dei loro paesi di origine. Persino il fenomeno degli italiani “mammoni”, per altro comune a spagnoli, greci, portoghesi e persino giapponesi, un paese secondo la classificazione sociologica familistico almeno quanto il nostro, è prassi comune negli Stati Uniti tra gli immigranti. (3)

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(1)
Vincent Schiavelli (1998), “Bruculinu America”, Sellerio Editore, Palermo
(2) Alesina, A. and P. Giuliano (2006), “The Power of the Family and the Macroeconomy”, mimeo
(3) Giuliano, P. (2004), “Living Arrangements in Western Europe: Does Cultural Origin Matter?”, Iza Discussion Paper 2042.

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  1. Claudio Alberti

    Non ho letto l’articolo citato, ma credo fortemente che il rapporto tra economia e famiglia (o meglio, familismo) è biunivoco, almeno in Italia: senza dubbio, infatti, l’economia risente della nostra concezione della famiglia, ma anche la nostra concezione di famiglia è stata fortemente condizionata dalla situazione economico-sociale italiana nel corso della storia. Da secoli l’Italia è un feudo delle rendite (fondiarie o meno), è una società chiusa e immobile, con un’entità statale quasi inesistente e fortemente condizionata dal ruolo della Chiesa Cattolica (che non per niente esalta il valore della famiglia). La nostra è, nella storia, la penisola dei cento comuni, e quindi delle cento diverse elites comunali – sempre uguali a se stesse, qualunque cosa succedesse negli anni, il più delle volte scarsamente democratiche, attente esclusivamente a un passivo mantenimento della propria posizione privilegiata –, delle identità localistiche esasperate, dominata dal XIX secolo da una borghesia che, a differenza delle esperienze rivoluzionarie europee, ha assimilato i propri comportamenti a quelli della precedente casta nobiliare (quindi: ricchezza fondata sulle rendite, immobilismo sociale e culturale, assenza di senso civico, familismo e clientelismo), essendo assente un sentimento giacobino maggioritario. In questo contesto deficitario di degne elites politiche (e, quindi, economiche), e di strutture in grado di creare un solido sentimento di cittadinanza e amor patrio, e possibilità di scalate sociali meritocratiche, è stato normale, da parte della società italiana, il rinchiudersi in un comunitarismo esasperato, legato esclusivamente alla familia e, purtroppo, senza uscite, che ancora oggi, come lo studio di quell’articolo sembrerebbe dimostrare, arreca danni gravissimi sulla strada che dovrebbe condurre l’Italia alla modernità.

  2. antonio gesualdi

    Non male un articolo di questo tipo in un sito di economisti. Vorrei solo ricordare a chi fosse interessato che ci sono lavori sistematici su questo argomento della scuola di Peter Laslett e di Emmanuel Todd. La suddivisione del mondo in tipologie famigliari è dibattuta da molti decenni e soprattutto i demografi e gli antropologi hanno raggiunto delle ottime definizioni. Gli economisti, purtroppo, continuano a considerare tutto numerabile e ci spingono fuori strada. Oggi abbiamo anche economisti che vorrebbero dare lezioni di politica. E in Italia abbiamo ministri di economia non passati al vaglio dell’elettore. Un vero abuso di democrazia. Se torniamo a fare analisi fondate sulla mentalità e la cultura e sulla trasmissione dei valori (antropologia culturale anche da noi e non solo sulle povere tribù africane!) forse ne verremmo fuori meglio. Brava Paola. Se puoi insisti e continua a scrivere soprattutto su siti come questi.

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