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Com’è difficile essere giovani in Italia

Disoccupazione, sottoccupazione, bassi redditi e precarietà del posto di lavoro sono un freno che spinge i giovani italiani a rimandare ben oltre i trent’anni l’uscita dalla famiglia di origine. Che resta l’unico vero ammortizzatore sociale, spesso anche quando si è conquistata l’autonomia. Ma la combinazione tra solidarietà familiare forte e welfare pubblico debole è iniqua. E comprime il dinamismo sociale. Lo stesso sistema politico sembra lo specchio di una società poco mobile e caratterizzata da scarsa valorizzazione delle risorse giovanili.

Il rapporto di fine giugno dell’Istat, “Strutture familiari e opinioni su famiglia e figli”, evidenzia come un numero rilevante di giovani esprimano il desiderio di uscire dalla famiglia di origine e di formarne una propria, se solo le condizioni economiche lo permettessero. In Italia, il welfare pubblico è sempre stato poco generoso verso i giovani e la spesa sociale è sempre di più assorbita dalla spesa previdenziale.
Cosa ha intenzione di fare il nuovo Governo? Finora l’unico segnale è stato la creazione di un ministero per i Giovani in condivisione con lo sport.

La situazione

La situazione dei giovani italiani è peggiorata negli ultimi anni ed è attualmente una delle meno favorevoli nel mondo occidentale. Riassumiamo alcuni dati in proposito: messi tutti in fila forniscono un ritratto impressionante della difficile condizione delle più giovani generazioni.
Iniziamo con la prima fase, quella del conclusione del percorso formativo e l’accesso al primo impiego. Ebbene, nella fascia d’età 20-25 anni solo poco più del 40 per cento degli italiani ha una occupazione, contro il 60 per cento nel complesso degli altri grandi paesi europei. Tra i 25 e i 30 anni sono occupati tre giovani su quattro negli altri paesi contro i due su tre in Italia. (1)
Il Rapporto annuale Istat appena pubblicato (www.istat.it) aggiorna ulteriormente il quadro. Anche in termini relativi, rispetto all’occupazione adulta, la situazione dei giovani italiani risulta particolarmente svantaggiata. Il differenziale tra occupazione della fascia 20-29 rispetto a quella 30-54 anni è pari a circa 20 punti percentuali, ed è tra i più elevati in Europa. Inoltre, tra i paesi con valori più alti di tale differenziale, l’Italia è quella con maggiore disoccupazione giovanile (vicina al 10 per cento). Ma non è tutto. Dopo le difficoltà di riuscire a trovare il primo lavoro, ci si trova con salari di ingresso tra i più bassi. Secondo i dati Echp il reddito medio dei giovani italiani occupati di età 25-30 anni è quasi la metà rispetto ai coetanei inglesi, e del 50 per cento più basso rispetto ai pari età francesi e tedeschi.
Le condizioni dei giovani sono andate progressivamente peggiorando nel tempo, con conseguente accentuazione del processo di permanenza nella casa dei genitori e rinvio dei tempi di formazione di una propria famiglia. Sempre secondo i dati Istat (2), la percentuale di giovani uomini settentrionali che accedevano al primo lavoro entro i 25 anni era attorno al 90 per cento per le generazioni degli anni Quaranta, ed è scesa a meno dell’80 per cento per i nati negli anni Settanta. Peggiore la situazione nel Meridione: si è passati per le stesse generazioni da più del 70 per cento a meno del 55 per cento. Tra i nati negli anni Quaranta circa il 60 per cento degli under 25 aveva un lavoro a tempo indeterminato. Si è scesi attorno al 40 per cento per i nati negli anni settanta. Ma la situazione è peggiorata anche per i laureati. Nel 2004 i giovani che sono riusciti a trovare un lavoro continuativo entro tre anni dalla laurea erano il 56 per cento, contro il 63 per cento osservato nel 2001 (per i laureati tre anni prima), e ciò nonostante una sostanziale stabilità dei livelli di occupazione. Il che significa che è cresciuta la provvisorietà della condizione lavorativa senza incremento della possibilità di accesso al primo impiego. Nello stesso periodo, la crescita della partecipazione dei giovani al mercato del lavoro si è pressoché convertito in un aumento della quota di disoccupati. (3)
Disoccupazione, sottoccupazione, bassi redditi e precarietà del posto di lavoro incidono pesantemente come freno all’uscita dalla famiglia di origine. Coerentemente con il quadro appena delineato, non meraviglia allora osservare come la netta maggioranza degli ultratrentenni non occupati e oltre un terzo degli occupati indichi il miglioramento della propria condizione lavorativa come prerequisito essenziale per riuscire a conquistare una propria autonomia dai genitori. (4) Va inoltre aggiunto che oltre il 40 per cento dei giovani usciti per lavoro, si trova poi a dover tornare nella famiglia di origine. Tutto ciò crea disagio, frustrazione, scarsa fiducia nel futuro, tanto che una recente indagine, su 10 mila casi, ha messo in evidenza come siano soprattutto i trentenni oggi i più infelici in Italia, più dei pensionati e degli anziani che vivono soli. (5)
I tempi sempre più tardivi per la conquista di una piena autonomia hanno evidentemente un impatto anche sui tempi di realizzazione di alcuni importanti obiettivi di vita, quali la formazione di una propria famiglia. Il tempo che intercorre tra la fine del percorso formativo e la prima unione è tra i più elevati in Europa (mediamente dieci anni per gli uomini e cinque anni per le donne). L’età femminile e maschile al matrimonio e alla nascita del primo figlio sono tra le più elevate nel mondo occidentale. E non a caso il livello di fecondità è tra i più bassi. La quota di persone che arrivano ai 35 anni senza aver (ancora) formato una propria famiglia è andata aumentando negli ultimi decenni, raggiungendo a quote superiori al 50 per cento in alcuni grandi centri. Come indicato da varie indagini, l’età alla prima unione risulta in media posticipata di circa cinque anni rispetto alle aspettative personali. E il numero finale di figli ribassato di quasi un terzo rispetto ai desideri dichiarati dalle coppie, molte delle quali si fermano al figlio unico.

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L’aiuto dei genitori accompagna tutta la vita

I giovani italiani godono complessivamente di meno diritti di cittadinanza rispetto ai coetanei dell’Europa nord-occidentale. Le carenze del sistema di protezione sociale nei loro confronti sono però parzialmente compensate dal cruciale supporto da parte dei genitori: per i giovani italiani il vero e sostanzialmente unico ammortizzatore sociale è la famiglia di origine.
Nel percorso formativo, le risorse della famiglia di origine sono strettamente legate alla possibilità di continuare fino all’università e di frequentare o meno atenei prestigiosi, anche lontani dal luogo di origine. È ampia la letteratura sociologica che dimostra come in Italia lo status sociale dei genitori rivesta un ruolo particolarmente rilevante sul percorso formativo dei figli e sul loro destino successivo. Nelle più giovani generazioni italiane, poi, quasi una persona su tre trova lavoro grazie ad aiuti informali, come confermano i dati di una recente indagine Istat. (6) E per lo più l’aiuto proviene da familiari. In circa il 60 per cento dei casi si tratta di segnalazione o raccomandazione, a cui va aggiunto il 20 per cento e oltre di chi trova lavoro in un’azienda familiare. Più in generale, il successo professionale è fortemente associato alle caratteristiche della famiglia di origine, e in particolare al titolo di studio del padre.
L’acquisto della casa è uno degli scogli più importanti nel percorso di transizione alla vita adulta. Se quasi tutti i genitori italiani cercano di aiutare i figli ad acquistarla, non tutti possono farlo allo stesso modo.
La stessa lunga ospitalità, sempre più spesso oltre i trent’anni, nella casa dei genitori è funzionale alla possibilità di raggiungimento di un elevato titolo di studio, al sostegno nel consolidamento del proprio percorso lavorativo, all’accumulo di reddito per poter ridurre i rischi di trovarsi in difficoltà all’uscita. Ma il sostegno dei genitori risulta cruciale anche dopo l’uscita. Trovarsi in grave difficoltà economica nella primissima fase del proprio percorso di vita indipendente dalla famiglia di origine è una condizione relativamente diffusa. Colpisce più di un giovane su sette (oltre il 15 per cento) e per quasi il 30 per cento di loro rischia di diventare una condizione cronica dalla quale difficilmente si esce, e caratterizzata da problematicità multiple. Elevato è in particolare il rischio di trovarsi con reddito insufficiente ad affrontare le spese del proprio mantenimento o di quello del nuovo nucleo familiare: rappresenta quasi la metà dei casi di difficoltà. Il che significa che molto spesso, più che una causa specifica, a mettere quasi in ginocchio i giovani e le giovani coppie con entrate limitate è il complesso di tutto un insieme di spese (mutuo per la casa, costo dei figli, eccetera). Ad arrivare in soccorso sono soprattutto i genitori e altri membri della cerchia familiare. Chi non può farvi affidamento oppure ricorre ad aiuti esterni alla rete parentale, si trova spesso ad aggravare il proprio stato di difficoltà.
La solidarietà familiare intergenerazionale prosegue anche nelle fasi di vita successive. Con politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro carenti, è molto comune nel nostro paese il ricorso ai nonni per accudire i nipotini.
Il forte rapporto tra genitori e figli e la solidità della solidarietà intergenerazionale è di per sé un fatto positivo. Lo è meno quando non ci sono alternative, perché sopperisce un welfare pubblico che aiuta poco, o per niente, i giovani. Lo è ancor meno per i giovani che non hanno famiglie solide e benestanti su cui contare. La combinazione tra solidarietà familiare forte e welfare pubblico debole si rivela quindi iniqua. Comprime inoltre il dinamismo sociale e mantiene su bassi livelli il conflitto generazionale. In Italia i giovani devono infatti soprattutto ringraziare i genitori e la rete informale degli aiuti parentali per il fatto di ottenere quanto invece altrove si ha come diritto. Una società nella quale conta soprattutto scegliersi bene la famiglia in cui nascere, e poi tenersi buoni i genitori il più a lungo possibile, non è l’esatto ritratto di una società equa e dinamica. Perché i giovani francesi protestano (a torto o a ragione) per migliorare leggi che considerano sbagliate (o semplicemente a loro svantaggiose), e quelli italiani no? Non sarà anche perché i venticinquenni francesi hanno più il senso di essere cittadini (con più o meno diritti) e quelli italiani più invece quello di essere figli (con più o meno aiuti)?

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E in politica non va meglio

Esempio sintomatico del fatto che ci troviamo in un sistema socialmente poco mobile e caratterizzata da scarsa valorizzazione delle risorse giovanili, sono state le recenti elezioni. I candidati premier erano due ultrasessantacinquenni (tecnicamente “anziani”), peraltro gli stessi che si sono disputati la guida del nostro paese dieci anni fa. Anche questa è una situazione che difficilmente ha eguali negli altri paesi occidentali, come messo in luce da Gianluca Violante . Nel Governo poi c’è solo un ministro sotto i 45 anni (con un dicastero che suscita qualche perplessità nell’associare le politiche per i giovani con lo sport). L’unica nota positiva è la scelta di Enrico Letta (compie 40 anni il 20 agosto) come sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Certo, può essere del tutto casuale che l’unico under 40 nel Governo prenda il testimone dallo zio. Più che un esecutivo destinato a dare una svolta positiva nei confronti delle politiche per i giovani e adattare il sistema di welfare ai nuovi rischi e alle trasformazioni in atto, sembra piuttosto lo specchio dello status quo italiano. A contare sono però sempre e solo i fatti. E quindi aspettiamo i primi cento giorni: saremmo ben lieti di ricrederci.

(1) Livi Bacci M. (2005), “Il paese dei giovani vecchi”, il Mulino, 3/2005.
(2) Istat (2003), Indagine Famiglia e soggetti sociali.
(3) Istat (2006), I laureati e il mercato del lavoro, Informazioni n. 14.
(4) Rosina A. (2006), “L’Italia che invecchia e la sindrome di Dorian Gray”, il Mulino, 2/2006.
(5) Rapporto 2006, Voce Amica.
(6) Famiglia e soggetti sociali – 2003.

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22 commenti

  1. Alberto

    Vi prego di fare alcune considerazioni:
    1) Si arriva tardi al lavoro, perché:
    – si arriva all’università un anno più tardi rispetto agli altri europei
    – l’università dura tanto e non vale niente
    – moltissimi studenti sono laureati in materie “inutili”, quali lettere, sceinze dell’educazione o della comunicazione. Se faceste il conto su laureati in ingegneria, economia o diplomati all’ITIS o ITC i conti sarebbero decisamente diversi (molto migliori). Perché non impedire il proliferare di lauree che non aiutano?

    2) Non è né giusto né auspicabile aiutare il reddito dei giovani: qualsiasi politica di welfare AIUTA ESCLUSIVAMENTE I FIGLI DEGLI EVASORI FISCALI, che sono quelli che hanno vari tipi di esenzioni… aiutarli ancora di più?

    3) Le imprese italiane non ci sono ovunque. Dove ci sono, non sono così evolute come le altre europee. Per questo non richiedono gente con un background troppo elevato.

    4) Le case in Italia costano tanto e gli stipendi sono bassi.

    5) Avete visto cosa succede: solo i figli dei tassisti hanno diritto a fare i tassisti. Questo significa: nessuna liberalizzazione, nessun lavoro in più.

    6) Gli stipendi aumentano con l’aumentare degli anni in modo automatico. Questo spinge le aziende a non assumere i giovani, perché per ogni due giovani da assumere c’è un anziano da pagare. I contratti dovrebeero essere un po’ più flessibili e variabili a seconda della produttività.

    Secondo me, non è possibile cambiare.

  2. Davide

    Purtroppo anche le lauree “forti” iniziano a vacillare di fronte ad un sistema industriale che privilegia i costi alla qualità. I contratti di lavoro introdotti dal 97 in poi hanno creato un cortocircuito per cui chi assume con contratti a termine paga un costo del lavoro più basso ma necessariamente non investe nel lavoratore. Ora che il governo si accinge a ridurre il cuneo fiscale la situazione non può che peggiorare visto che questa boccata d’ossigeno non farà altro che tenere in vita tutte quelle aziende che competono non sulla qualità ma sul costo del lavoro. A meno che la riduzione del cuneo non sia rivolta solo ai contratti a tempo indeterminato e che i contributi dei contratti a termine aumentino fino ad avvicinarsi ai contratti a tempo indeterminato. Certamente il costo della vita è aumentato molto più degli stipendi. Infatti se fino a 20 anni fa occorrevano 10 anni di lavoro per acquistare casa, oggi ne occorrono almeno 25/30. Mutui di 30 anni per tutti? No grazie. Piuttosto vado a vivere in una baracca di legno.

  3. Alessio Calcagno

    Sono d’accordo con l’analisi. Scarsa mobilità sociale, influenza determinante dell’ambiente familiare, altissima correlazione degli studi pregressi nella prosecuzione del proprio percorso formativo. A proposito c’è un importante saggio di G. Catalano (“Chi paga l’ istruzione universitaria ? : dall’ esperienza europea una nuova politica di sostegno agli studenti in Italia) dato addirittura 1993. Il modo per uscire c’è, però. L’idea di una scuola modulare: un percorso unico per tutti di materie di base a cui poi “montare” moduli personalizzati, eviterebbe la precoce autoselezione dei giovani italiani già in tenera età tra percorsi di serie A (licei) e percorse di serie B (scuole professionali e istituti tecnici). Promuovere dei prestiti univerisitari per pagarsi gli studi, legato a redditi futuri per il calcolo della restituzione del capitale. Dare ad ogni studente dei vaucers, equiparando le scuole pubbliche con quelle private (non necessarimente confessionali), aumentandone la presenza sul territorio e quindi la concorrenza globale del sistema. Incentivare con borse di studio mirate gli indirizzi scientifici, evitando finanziamenti a pioggia che non servono a nessuno. Introdurre il numero chiuso all’università, garantendo però a tutti un uguale punto di partenza non influenzabile da fattori esterni quali la famiglia di orgine o la residenza geografica. Svecchiare l’apparato buracratico clientelare anche nelle stesse università, nella quali molti di quelli che in questo sito scrivono sono professori (si parla di politici vecchi. Ma avete mai preso in considerazione la classe dei professori a cui voi appartenete? I metodi “a umma a umma” con cui si accede ad un dottorato o ad specializzazione?). Insomma il destino di noi giovani italiani (ho 25 anni) è il riflesso dell’Italia che voi ci avete costruito. Ce ne accorgeremo quando a 70 anni dovremo andare da mamma e papà ad elemosinare la paghetta settimanale perché la pensione sarà un miraggio di entità ridicola.

  4. Eleonora

    Vorrei portare una piccola testimonianza personale. Io mi sono laureata in fisica (indirizzo nucleare e particellare) lo scorso novembre. Grazie al cielo ho fatto la tesi in un istituto molto serio e con delle persone fantastiche, il che mi ha permesso di continuare il lavoro che avevo cominciato con la tesi per altri 3 mesi, come Co.Co.Co…poi mi sono trovata di fronte alla scelta di dove fare il dottorato. Ebbene, non e` stata una scelta difficile. In Italia potevo cercare di prepararmi per un concorso dove si conoscevano gia` i nomi dei vincitori (tra cui non c’era il mio) per lavorare 3 anni come portaborse di qualcuno, facendo ricerca per meno della meta` del tempo e con dei mezzi tirati per i capelli e vecchi di anni. Guadagnando, pero`, la bellezza di 780EUR /mese (lordi o netti fa poca differenza, per fortuna). Oppure potevo scegliere di andare all’estero. Sono stata fortunata e ho vinto in diverse nazioni europee. Alla fine ho scelto di venire in Olanda, da dove vi scrivo. Qui il mondo e` diverso. Ci sono i mezzi, la voglia di fare, si viene pagati bene (giusto il doppio, e per 4 anni), con tanto di contributi, ferie pagate, malattia…I giovani vengono considerati una risorsa, non “materiale a basso costo”….vorrei tornare in Italia dopo il dottorato, speriamo che le cose cambino.

  5. alfredo

    Le statistiche non mentono e la situazione è davvero difficile. Ma la scelta, come ebbe a dire un noto editorialista, di far pagare il prezzo ai giovani, è una scelta eminentemente politica.
    E allora un dubbio: quali genitori andrebbero ringraziati? quella generazione di baby pensionati a casa già ben prima dei 50 anni?quella generazione ingessata su privilegi sindacali spazzati via dalla concorrenza globale?
    il familismo italiano presenta l’ennesimo aspetto iniquo, ben difficile da correggere in quanto mascherato da tanta apparente solidarietà (oltre che per diritti acquisiti impossibili da intaccare).
    Stiamo condannando l’Italia. Ci sarebbe bisogno di un manifesto, perchè il collasso delle giovani generazioni è il collasso dell’Italia stessa. Chi lo scrive?

  6. Alessandro

    Le cifre riportare sono drammatiche e sono sicuramente corrette, ma quanto dipende da noi e quanto dipende dal sistema? Siamo proprio sicuri che non si possa cambiare? Perchè si finisce cosi?

    Ho avuto la fortuna di frequentare un MBA a Columbia per gli scorsi 2 anni e guardo alla mia esperienza US come un periodo irripetibile ma quando vedo i miei coetanei di 25-30 vedo più colpevoli che persone schiacciate dalla società.
    Eleonora dice che emigrare è possibile, io lo sottolineo e lo urlo con forza, ma perchè ho dovuto lottare con la mia ex ragazza affinchè scegliesse di non continuare in università dopo la laurea in Chimica? Perchè quasi nessuno dei miei amici fa un percorso di carriera simile al mio? Perchè nell’azienda dove lavoro adesso ci sono giovani di 23 anni che lavorano 12h al giorno mentre il “giovane medio” non lo farebbe mai?
    I giovani non saranno anche un po’ colpevoli?

  7. Andrea Gandini

    Si è vero, i docenti, i politici della mia età (50-60 anni) parlano molto ma fanno poco per i giovani. E bisogna riconoscere che le pensioni che abbiamo in Italia (di cui noi ci avvantaggiamo) non sono neppure pensabili in paesi forti. Il mio amico Jhon olandese diceva che sua moglie andrà in pensione a 62 anni, mentre da noi anche gli uomini ci possono andare a 57. Eppure hanno i conti pubblici messi molto meglio di noi. A pagare così sono i giovani.
    Almeno all’Università di Ferrara da 5 anni abbiamo avviato una sperimentazione che piace molto ai giovani laureandi e che consente di laurearsi facendo un mese di lezione, tre mesi di stage e un anno di lavoro pagato in regola, avendo in cambio anche crediti formativi. Quest’anno abbiamo allocato 70 laureandi in altrettante imprese. Il progetto si può trovare anche sul sito della provincia di Ferrara e sull’università (percorso pil). Da quest’anno anche Verona e Camerino dovrebbero adottarlo. Mi auguro che anche qualche altra Università o città lo faccia proprio.

  8. FRANCESCO

    Concordo pienamente con l’autore dell’articolo e mi fa piacere sapere che c’è qualcuno che capisce la nostra condizione di giovani. Io ho 32 anni, vivo al sud ,ho lavorato al centro italia per 3 anni, ho dovuto fare un accordo per uscire dall’azienda dove ero e sono dovuto tornare in famiglia. Attualmente mi sto preparando all’esame di consulente di lavoro. dopo un praticantato “gratuito”.
    Come faccio io a sposarmi con la mia ragazza?
    Come faccio io a rendermi autonomo?
    Se ne rendono conto i politici che in questa maniera nessuno potrà spender soldi?
    Spero in questo governo, perchè altrimenti l’unica via d’uscita, secondo me, consiste in un emigrazione di massa verso l’estero ( dove c’è lavoro “buono” di tutte le persone dai 18 a 50 anni. Lo so, divento antiitaliano, ma , visto che nessuno ci vuole aiutare, almeno ci aiutiamo da noi!!!
    GRAZIE!!!!!!!!!!!

  9. Cleto Romantini

    Analisi impietosa ma quanto mai realistica. E la cosa più brutta è che senza spargimenti di sangue (non sto scherzando purtroppo) le cose in Italia non cambieranno mai. Sembra persino ovvio e scontato citare l’esempio dei tassisti. Ma fate un po’ voi…

  10. Milena

    La mia è una testimonianza. Io ho 29 anni ed ho effettuato la scelta del dottorato dopo la laurea pur consapevole del fatto che in una città come Roma, dove studio e vivo con il mio compagno, 827 € siano veramente pochi; infatti sono sufficienti solo per l’affitto dell’appartamento. Ci siamo spostati a Roma dopo la mia laurea perché nei primi anni di convivenza nel Salento, terra tanto affascinante quanto crudele con chi più la ama, l’aiuto dei parenti è stato fondamentale per non essere in balìa di quei meccanismi malati che, nonostante un livello culturale ed educativo elevato, impediscono di emergere dal mare di favori e raccomandazioni, unici mezzi per trovare un lavoro (ovviamente precario). Una volta a Roma è stato fondamentale nuovamente l’aiuto logistico dei parenti durante i primi mesi, ma ancora più lo è stato, e qui veniamo al motivo del mio intervento, il prestito d’onore che mi è stato concesso ed a cui ho attinto per ogni spesa iniziale (come le caparre degli appartamenti) e per ogni spesa straordinaria. Comunque l’importanza principale che ha avuto è stata quella di darmi finalmente, dopo anni di incertezze sul futuro, la possibilità di guardare oltre le spese del mese…e di rimandarle a tempi (si spera) migliori. Per me, che non ho alle spalle una famiglia con una situazione economica tale da permettermi di avere una vita (pseudo-)indipendente, il prestito d’onore ed i vari aiuti allo studio (borse, alloggi studenteschi, contratti di collaborazione universitaria) hanno fatto la differenza tra studiare in un dottorato, con una vita da anni fuori dal nucleo familiare di origine, ed essere ancora a casa dei miei genitori, forse con un diploma ed un lavoro e relativo stipendio molto più precari di quelli che ho ora. I prossimi passi sono un posto lavorativo che mi piaccia e mi soddisfi ed una famiglia. Spero di non dover attingere al prestito d’onore anche per questi eventi, altrimenti mi sorge il dubbio che in futuro sarò in grado di restituirlo! Saluti.

  11. nostromo

    No, non ci siamo proprio, l’analisi è sempre la stessa, l’azione in questa direzione , seppur limitata, non ha fatto altro che aggravare i problemi. All’origine dei problemi c’e’ una scuola che offre un diploma e una laurea a tutti, non una possibilità di crescere attraverso cultura e formazione.
    E’ evidente che se la scuola non fa selezione ci penserà il mondo reale a farla; e le regole di selezione del mondo sono spesso sgradevoli.
    Quindi essere bravi, impegnarsi ha valore assai relativo in questa scuola, il risultato arriva comunque per tutti indipendentemente dal valore e dall’impegno. Quelli che hanno un potenziale, che per fortuna appartengono a tutte le classi, si vedono ridotte le possibilità reali di miglioramento economico e sociale.
    Questa forma di ‘obbligo’ a mandare avanti tutti a tutti costi, deresponsabilizza la scuola e la rende sempre meno efficace.
    Chi pensa di non avere possibilità adeguate in questo paese, ne cerca all’estero dove le capacità e l’impegno vengono ben accolte ed apprezzate.
    Sono sempre i più intraprendenti e motivati ad andarsene, quei pochi che sono emersi da un sistema che non ha fatto niente per incoraggiare e premiare chi vale.

  12. andrea

    L’analisi evidenzia una situazione paradossale e per certi versi drammatica se si considera che il nostro paese è tra i più industrializzati ed economicamente più ricchi. Io devo portare la mia esperienza…sono laureato in laurea specialistica in economia e appena una settimana dopo gli studi sono stato contattato da diverse istituzioni tra le quali ho potuto scegliere. Il fatto secondo me è che noi giovani prima dell’ingresso nel mondo del lavoro non facciamo nulla, nel senso che ci affidiamo troppo alla famiglia; quello che accade è la naturale gavetta che tutti devono passare, chi prima e chi dopo…io dico soltanto che ci sono moltissime opportunità lavorative, l’importante è avere voglia di muoversi, di apprendere e di staccarsi un attimo dalla famiglia,la quale ha la funzione di ammortizzatore sociale che non incentiva i giovani a staccarsi da essa.

  13. Alberta Miele

    Mi riconosco perfettamente nel ritratto dipinto dall’articolo: ho 36 anni, sposata, un lavoro precario in un ente pubblico, mio marito grazie a Dio è assunto a tempo indeterminato sempre in un ente pubblico, ma tutti e due fatichiamo ad arrivare a fine mese, ed abbiamo un forte aiuto dalle famiglie per l’affitto ed il successivo acquisto della casa. Tutti e due abbiamo una laurea “forte”, io economia e commercio, mio marito ingegneria, e tutto sommato siamo fortunati anche se io combatto con il precariato da 10 anni perchè non avendo conoscenze o raccomandazioni ho dovuto fare tutto da sola. Vorremmo avere un bambino, ma so bene che se ciò accadesse avrei serie difficoltà con il lavoro, e poi mi chiedo che futuro può avere nostro figlio in un paese del genere. Ho molti parenti all’estero, e vedo che lì la situazione è nettamente diversa, sia per la qualità di vita, sia per le possibilità offerte nel mondo del lavoro. Pessimisticamente, penso che dovremmo aspettare la dipartita da questa terra dell’attuale generazione di ultresessantenni al potere, per vedere qualche cambiamento significativo, nella speranza che gli “eredi” abbiano conservato qualche neurone attivo..ma si sa..l’erba mala è dura a morire!!!!!

  14. Giovanni Fistetti

    Non sono d’accordo che i giovani siano colpevoli: non essere disposto a lavorare 12 ore a 600 euro netti in internship non è segno di pigrizia, bensì di rivolta contro una forma di sfruttamento. Negli ultimi anni l’alienazione, di marxiana memoria, ha colpito le schiere dei giovani laureati, non più gli operai proletari, ben tutelati dai sindacati.Va bene la gavetta.No allo sfruttamento.Si alla formazione in azienda:in Italia sembra che le aziende si aspettino dalle università dei tecnici preimpacchettati pronti per l’uso.Non è vero che l’università debba formare solo tecnici specializzati:una società avanzata ha bisogno di artisti, letterati e pensatori.Diversamente si va incontro ad un mondo dominato solo dalla tecnica e dai suoi funzionari burocrati.E non parlo da letterato, ma da neolaureato magistrale in finanza e risk management.Anche io vorrei potermi permettere un MBA negli States. Peccato che debba scegliere tra il mutuo per pagarlo e quello per acquistare tra qualche anno un appartamento.Purtroppo la conoscenza specialistica (per es.MBA) sta diventando sempre di più un bene riservato a poche elites che se la possono permettere.Così il resto dei laureati delle università statali dovrà accontentarsi di fare la gavetta per molti anni.

  15. Rudi

    Ciao,
    non per essere polemico con voi anche perchè non posso mettermi di certo alla vostra altezza.. io sono un OPERAIO e di sicuro come scrive qualcuno qui non mi sentro un gran che tutelato dai sindacati anzi anche loro guardano più a tutelare se stessi che gli interessi degli operai…
    Purtroppo la situazione del lavoro è veramente una porcheria e questo forse è anche un po colpa nostra che non sappiamo più fare le lotte vere.. ora si protesta con la solita bandierola il solito corteo inizio tot.ora fine tot.ora e con queste manifestazioni pretendiamo che le cose cambino???
    Finchè si continuerà cosi i nostri padroni continueranno a sfruttarci come non mai e sempre di più oramai ci sono i ricchi che hanno benessere casa macchinona bel conto bancario e tutto ciò che vogliono e poi ci sono i poveri coloro che sopravvivono e non riescono a vivere che sono due cose ben differenti… a questo mondo dovremmo essere nati per vivere goderci un po la vita e non sopravvivere tirando a rivare a fine mese.
    Bisogna lottare fermare le fabbriche fermare gli uffici spegnere questi maledetti computer e avere il coraggio di dire anche NO così NO.

  16. biagio dilernia

    Mio figlio, Giulio, da diversi anni lavora all’estero, un periodo a copenaghen, un periodo a dublino, adesso lavora a Praga.
    Il tipo di lavoro (sicurezza informatica nella trasmissione dei dati) comporta un continuo aggiornamento, ed un continuo cambio di Azienda.
    Il paradosso è quello che questi periodi lavorati all’estero, non verranno conteggiati, ai fini pensionistici. Le Nazioni in cui ha lavorato e lavora, pur appartenendo alla EU, non riconoscono i contributi, per cui l’ente INPS italiano , non ha corrispettivo, con gli enti di questi paesi.
    Vi sembra una cosa giusta? Mio figlio, Giulio, si troverà con dei versamenti di contributi, buttati al vento, in quanto non raggiungerà il minimo nella Nazione in cui ha lavorato e tutt’ora Lavora.
    Mio figlio è andato via di casa prestissimo, è figlio unico, e nella nostra Puglia una situazione del genere è un fatto eccezionale.
    Il ritorno nella sua terra è impossibile in quanto, in fatto di ICT, la Puglia è arretrata di 100 anni e passa.
    La situazione giovanile in Italia è tutto un piangersi addosso, darsi da fare, darsi da fare!
    Biagio di lernia
    Trani(bat)

  17. Filippo Biscarini

    L’ultimo intervento, di Alberto, tocca un punto cruciale: le liberalizzazioni. Che per me siginficano non tanto minori costi per i consumatori, ma soprattutto maggiori opportunità di lavoro per giovani e disoccupati e, quindi, maggiore equità.
    Se infatti sulla spinta della globalizzazione al (giovane) lavoratore si richiede sempre più flessibilità (disponibilità a cambiare spesso città e lavoro) dall’altra parte dovrebbe esserci un mercato del lavoro aperto, dove poter fare il tassista se si sa guidare l’auto, aprire una farmacia se si è laureati in farmacia, farsi concorrenza trasparente se si è avvocati, e non rigido come il nostro.
    In Italia quasi ogni corporazione è un piccolo feudo al quale lo stato ha concesso privilegi che si possono trasmettere ereditariamente o vendere a caro prezzo. Come si faceva qualche secolo fa con i titoli nobiliari.

  18. FN

    Indipendentemente dalle ideologie, sicuramente, esiste un incentivo ad assumere quando il costo marginale del lavoratore è minore del suo rendimento (vd Marx [Non sono ferrato]).
    Il costo deve essere omnicomprensito: deve includere costi vivi, costi figurativi e costi non figurativi.
    E’ una spirale perversa: se non si assume, non si fa conoscenza, se non si fa conoscenza, non si apprendono nozioni, se non si apprendono nozioni, maggiori saranno i costi che le aziende dovranno sostenere…!! Il problema è la formazione: basta studiare al liceo greco e latino; fateci studiare finanza, diritto! Immaginatevi uno psicologo apre un suo studio, ma non è in grado di fissare una tariffa (in maniera matematica) che sia in grado di remunerare tutti i costi che sopporta e lasci un equo margine!). Ovviamente la fissera “ad occhio”; certamente maggiore di quella equa! Diminuendo così la domanda! Questo discorso vale per tutti!

  19. luca

    Caro Alessandro, scusa se ti do del tu, ma sei il primo professore universitario, che per lavoro, ma credo anche per sensibilità personale, coglie in pieno la totale drammaticità della questione. Fin’ora, si son toccate solo problematiche inerenti a singoli settori e nessuno ha affrontato il problema in maniera complessiva, come invece hai fatto in maniera eccellente tu. Il problema a monte di tutto ciò è proprio questo: pochi tranne ovviamente i diretti interessati e qualche analista isolato ha così ben presente la situazione. fino a quando non ci sarà una vera presa di coscienza collettiva i problemi sussisteranno. conosco almeno 10 ragazzi che come me si son laureti in corso, specializzati, masterizzati ecc. ecc e che si trovano a tre anni e mezzo dalla laurea, per fortuna a soli 26 anni, senza un lavoro stabile, una retribuzione adeguata al costo della vita, senza una macchina perchè non se la possono permettere, che saltano regolarmente le ferie ecc. ecc. ecc., i quali vivono nella più totale precarietà e ovviamente con l’aiuto dei genitori perchè da soli con uno stipendio da fame a Milano o a Bologna non ci si campa. Vogliamo invertire questo trend, la politica, le istituzioni, le imprese vogliono far qualcosa o si vuole buttare al macero (o all’estero) questo bagaglio di conoscenze, competenze e qualità? Almeno dessero l’esempio! siamo stufi di dover vedere politici o amministratori che con la terza media si riempiono le tasche a spese nostre e poi si sciacquano la bocca con la retorica dei miei stivali. Non si può più andare avanti con le solite nomine degli amici o degli amici degli amici. Se non si fa una riforma complessiva in senso meritocratico, i giovani dovranno solo aspettare di diventare vecchi, di turarsi il naso e di rimettersi nelle mani del Signore di turno. IO non l0’ho fatto(-perciò faccio l’operaio) e non lo farò mai!!!

  20. sm

    dopo la laurea in ingegneria informatica ho lasciato trascorrere 8 mesi per ricevere una prima risposta di lavoro ai numerosi annunci.

    adesso lavoro in un’azienda della mia città con un contratto a progetto per 600 euro netti.

    preferisco non pensare e vivo giorno per giorno è impossibile fare progetti.

  21. federico

    http://www.under35.vi.it
    mossi da un profondo senso di disagio, che coincide, sostanzialmente, con le descrizioni fatte nell’articolo, abbiamo iniziato a muoverci, costituendo una lista che si candidi alle prossime provinciali di Vicenza. E alle comunali, l’anno prossimo.
    Le difficolta’ sono molte, in primis quella di ottenere rispetto e credibilita’. Cosa che non manca di procurarci un misto di sdegno e divertita incredulita’: molti di noi infatti sono laureati, hanno studiato all’estero, altri parlano due e piu’ lingue, mentre i nostri interlocutori “vantano” spesso una terza media e una indubbia (e putrida) cultura del “saper fare”.
    La sorpresa e’ stata nel trovare, navigando in rete, alcune altre iniziative simili alle nostre, accomunate dalle stesse sensazioni e dai medesimi obiettivi.
    Eh si’, e’ proprio dura essere giovani in Italia.

  22. pipas

    Ciao a tutti, sono nata in un piccolo paese del centro Italia e da due anni mi sono trasferita in Spagna con il mio ragazzo. Non tornerei indietro per nessun motivo, qui finalmente sono riuscita a risparmiare e quest’anno mi iscrivero’ ad un corso post-laurea, ho un lavoro con un CONTRATTO( mi hanno rinnovato il primo di sei mesi e alla prossima scadenza diventerà automaticamente a tempo indeterminato), pago per una stanza doppia in un appartamento condiviso, 390 euro al mese spese incluse e vivo a due passi dal centro, vado a lavoro in bici e mi concedo dei piccoli piaceri. Non guadagno molto, ho fatto molti sacrifici all’inizio e continuo a farli(come tutti del resto) ma, sono sicura, che in una qualsiasi citta’ italiana non sarei riuscita ad avere cio’ che ho adesso, soprattutto mi sarebbe mancata la speranza di poter migliorare il mio tenore di vita con lo studio, l’impegno e il lavoro, perche’ le opportunita’ sono pochissime, il costo della vita troppo alto e gli stipendi bassi.Potrei dilungarmi sull’argomento all’infinito, mi chiedo ogni giorno, seppur lontana, perche’ vivere in Italia sia diventato cosi’ difficile, ancor di piu’ quando mi confronto con altri stranieri e scopro, per esempio, che in Francia lo Stato aiuta i giovani a pagare l’affitto(indipendentemente dal reddito della famiglia) e le spese mediche sono tutte completamente gratuite. A proposito, anche qui ho fatto analisi e visite mediche, ho aspettato pero’ non ho sborsato neppure un centesimo. Dove finiscono i soldi dei contribuenti, ha senso parlare di stato sociale in Italia? Ne avrà ma non me ne sono accorta…

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