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Una riforma in dieci punti

La riforma costituzionale incide sul 40 per cento degli articoli della Costituzione vigente. Diminuiscono deputati e senatori. Ma sono previsti almeno tre procedimenti legislativi. Il Senato è sottratto al circuito fiduciario Parlamento-Governo. Nei rapporti tra Stato e autonomie locali alle norme pro-devolution si affiancano quelle anti-devolution. Nuove funzioni per il Presidente della Repubblica. E con il premierato si instaura un modello costituzionale inedito, che elimina alcuni dei sistemi di pesi e contrappesi tra esecutivo e legislativo.

Il testo di legge costituzionale approvato in seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, recante modifiche alla Parte II della Costituzione, in Gazzetta ufficiale del 18 novembre 2006, n. 268, è nella storia repubblicana italiana la riforma costituzionale più estesa che sia stata mai approvata dal Parlamento.

1. Su che cosa interviene la riforma?

Da un punto di vista meramente quantitativo, la riforma incide sul 40 per cento degli articoli della Costituzione vigente, modificando i cinquanta articoli della Parte II della Costituzione e aggiungendo tre ulteriori articoli (il 98 bis, il 127 bis e il 127 ter) e cinque disposizioni transitorie. Di queste modifiche, la parte predominate è sul Parlamento (il 40 per cento della revisione costituzionale), seguono le Regioni e gli enti locali (il 23 per cento), il Presidente della Repubblica (il 15per cento), il Governo (meno del 10 per cento). Il resto tocca altri aspetti come ad esempio interventi sugli organi di garanzia (la Corte costituzionale e il Consiglio superiore della magistratura).

2. Come si è giunti alla riforma?

L’entità della riforma è dunque tale da poter parlare non tanto di un processo di revisione bensì di un processo di tipo costituente, per giunta a vocazione extraparlamentare dato che prende vita e forma fra i “saggi” del centrodestra riuniti in una baita a Lorenzago nell’estate 2003. Da quel momento, le procedure e i metodi seguiti lungo l’iter di approvazione sono stati di volta in volta il frutto di equilibri e compromessi tutti giocati internamente alla maggioranza.
Anche nel 2001, la riforma fu votata dalla sola maggioranza di centrosinistra. Ma quella riforma era il risultato di un testo discusso tra la maggioranza e l’opposizione nella Commissione bicamerale. Né si può dimenticare che Regioni e enti locali si erano espressi favorevolmente, al contrario di quanto è accaduto in questo caso.

3. Che cosa cambia per il Senato?

Viene modificato il bicameralismo perfetto e previsto un Senato federale. Tuttavia, al di là del nome, questo Senato, non ha gradi di somiglianza con gli altri sistemi federali esistenti, dove la rappresentanza territoriale si realizza prevalentemente mediante un’elezione di secondo grado o con una partecipazione mista dei governi locali. (1)
Nel caso italiano, il Senato sarà costituito da 252 (e non più 315) senatori eletti direttamente dai cittadini, con una ripartizione dei seggi che si effettua in proporzione alla popolazione della Regione (articolo 57). Il rischio è una situazione che replichi quella attuale, e che di conseguenza il Senato federale sia poco rappresentativo dei territori. Al Senato federale partecipano, ma senza diritto di voto, rappresentanti delle Regioni e delle autonomie.
Per assicurare meglio la rappresentanza territoriale la riforma prevede ulteriori requisiti per essere eletti senatori: i) le elezioni dei senatori devono essere contestuali alle elezioni dei consigli regionali; ii) sono eleggibili gli elettori che hanno ricoperto o ricoprono cariche pubbliche elettive in enti territoriali locali o regionali, all’interno della Regione; iii) risiedono nella Regione alla data di indizione alle elezioni. Anche queste previsioni non sembrano assicurare sufficientemente la rappresentanza territoriale.
Altri aspetti da rilevare: si abbassa l’età per essere eletti senatori; i senatori a vita sono sostituiti dai deputati a vita (compresi i Presidenti della Repubblica dopo la fine del mandato); il senato federale viene sottratto dal “circuito fiduciario Parlamento-Governo” e non può essere sciolto anticipatamente in caso di fine anticipata della legislatura. Al contrario, sulla base del criterio della con testualità, il Senato verrebbe rinnovato a “pezzi” (con possibili mutamenti delle “maggioranze” durante ogni legislatura): “I senatori eletti in ciascuna Regione o Provincia autonoma rimangono in carica fino alla data della proclamazione dei nuovi senatori della medesima Regione o Provincia autonoma” (articolo 60).

4. Che cosa cambia per la Camera dei deputati?

Anche per la Camera dei deputati è prevista una riduzione dei componenti: 518 deputati anziché 630, di cui 18 eletti nella circoscrizione “estero”. Si aggiungono i deputati a vita e gli ex Presidenti della Repubblica. Viene previsto un quorum (maggioranza dei tre quinti) per l’adozione del Regolamento. Si aggiunge un comma all’attuale articolo 64 in forza del quale “Il regolamento della Camera dei deputati garantisce le prerogative del Governo e della maggioranza e i diritti delle opposizioni» riservando a quest’ultimi la presidenza delle Commissioni”. Di per sé, è una previsione che potrebbe contribuire positivamente a correggere la recente prassi (soprattutto dell’ultima legislatura).

5. Che cosa cambia per il sistema di formazione delle leggi?

Il nuovo procedimento legislativo consegue dalla trasformazione in senso federale del Senato e dall’abbandono del bicameralismo perfetto. La nuova disciplina è dettata dall’articolo 70. Si prevedono tre (o più) procedimenti legislativi:

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1) un procedimento a prevalenza Camera, nell’ambito delle materie a competenze esclusive dello Stato, su cui il Senato può solo proporre modifiche alla Camera che comunque decide in via definitiva;

2) un procedimento a prevalenza Senato, nell’ambito delle materie a competenza concorrente fra Stato e Regioni. E in questo caso è la Camera a fare osservazioni, ma il Senato a decidere;

3) un procedimento in cui (come ora) la funzione legislativa è esercitata congiuntamente. Tale procedimento copre un’area molto ampia e indistinta di materie (ad esempio, la tutela della concorrenza, e le materie che toccano i diritti fondamentali). In caso di confitti di competenza, la questione è rimessa nella mani dei presidenti delle due Camere, che convocano una commissione paritetica.

A questi tre procedimenti, si aggiungono altre varianti. Ad esempio, quando su materie di competenza concorrente il Governo ritiene che propri interventi siano essenziali alla realizzazione del suo programma.
Il sistema soffre di ovvi inconvenienti: c’è il rischio che il procedimento legislativo ordinario diventi lentissimo e molto farraginoso; c’è grande confusione nell’attribuzione di competenze tra Senato e Camera, e non è chiaro come si procederà a “spezzettare” il procedimento legislativo tra Camera e Senato quando un’iniziativa legislativa tocca contemporaneamente materie di competenza dell’una e dell’altra; il Senato è per un verso sottratto alla logica del “meccanismo di sfiducia” da parte del premier, ma per un altro verso gli sono riservate competenze importanti nel circuito legislativo e potrebbe diventare quindi un elemento di ostruzione all’attività della maggioranza o del Governo.

6. Cosa cambia per i rapporti tra Stato e autonomie locali?

Si tratta di proposte di completamento o estensione della riforma del Titolo V del 2001.
Viene modificato l’articolo 117. Si mantiene l’attuale tripartizione di competenze con l’elenco delle competenze esclusive dello Stato, delle competenze concorrenti tra Stato e Regioni e infine delle competenze che non sono comprese nei due elenchi precedenti e rientrano nelle competenze regionali, ma se ne modificano alcuni contenuti. Da una parte, si vuole ridurre le competenze regionali arricchendo l’elenco delle competenze esclusive dello Stato sottraendole dall’elenco delle competenze concorrenti; dall’altra si aumentano le competenze regionali sostituendo l’ultimo comma (relativo alle competenze residuali delle Regioni) il seguente testo: “Spetta alle Regioni la potestà legislativa esclusiva nelle seguenti materie: a) assistenza e organizzazione sanitaria; b) organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche; c) definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione; d) polizia amministrativa regionale e locale; e) ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”.
Analizzando il nuovo comma, non è immediato stabilire se le competenze regionali aumenteranno. Qui basti solo rilevare che le competenze che ora si vogliono attribuire alle Regioni, erano già di fatto loro anche nella precedente riforma, perché non comparivano in nessuno degli elenchi.
Alle disposizioni “pro-devolution” si aggiungono quelle “anti-devolution”. Viene abrogato l’attuale articolo 116 che consente alle Regioni di ottenere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia e si reintroduce il limite “dell’interesse nazionale” alle leggi regionali e che invece la riforma del 2001 aveva abrogato.

7. Che cosa cambia per il Presidente della Repubblica?

La sua elezione spetterebbe a una “Assemblea della Repubblica” (articolo 83) presieduta dal presidente della Camera dei deputati e costituita dai componenti delle due Camere, dai presidenti delle giunte regionali e delle province a statuto regionale, da due delegati dei consigli regionali (uno per la Val d’Aosta e per il Trentino-Alto Adige/Sudtirol) e da un numero non ben precisato di delegati eletti dalle assemblee regionali, in ragione di un delegato per ogni milione di abitanti nella Regione. L’articolo 87 introduce le nuove funzioni del Presidente che “rappresenta la Nazione ed è garante della Costituzione e dell’unità federale della Repubblica”. L’articolo attribuisce al Presidente nuovi poteri (ad esempio, il diritto di nomina dei presidenti delle Autorità e del Cnel), ma gliene toglie altri: il Presidente della Repubblica non può più “indicare” il capo del Governo, ma può solo nominarlo sulla base dei risultati delle elezioni della Camera dei deputati; non può più esprimere preferenze o “consigliare” il primo ministro sulla nomina dei ministri; non può più sciogliere anticipatamente il Parlamento; indica solo quattro (e non più cinque) giudici della Corte costituzionale di sua nomina, e diventano al massimo tre i deputati a vita che può nominare.

8. Che cosa cambia per il presidente del Consiglio?

È la parte della riforma che suscita tra gli studiosi le maggiori preoccupazioni; prende corpo infatti un modello costituzionale inedito che elimina alcuni dei sistemi di pesi e contrappesi tra esecutivo e legislativo che caratterizzano le democrazie liberali occidentali.
Il presidente del Consiglio assume il nome di primo ministro e viene di fatto eletto direttamente dal corpo elettorale: “la candidatura alla carica di primo ministro avviene mediante collegamento con i candidati” (articolo 92) in analogia dunque con i “modelli presidenzialisti”. (2) Tuttavia, in quei modelli la maggioranza parlamentare non necessariamente coincide o esprime l’orientamento politico del capo del Governo. Nel caso italiano, invece, i due orientamenti (della maggioranza della Camera dei deputati e del capo del Governo) necessariamente coincidono perché la “legge disciplina l’elezione dei deputati in modo da favorire la formazione di una maggioranza, collegata al candidato alla carica di primo ministro” (articolo 92).
Il primo ministro nomina i ministri e può anche revocarli a sua discrezione; determina (e non dirige) la politica generale del Governo e ne è responsabile. Non necessita della fiducia da parte del Parlamento, è sufficiente che la Camera dei deputati si esprima con un voto sul programma. In aggiunta, la Camera non ha effettivi margini di manovra per eventuali propositi di opposizione al primo ministro, pena il suo scioglimento. Infatti, il capo del Governo ha il potere di sciogliere il Parlamento: “Il Presidente della Repubblica decreta lo scioglimento della Camera dei deputati e indice le elezioni (…) su richiesta del primo ministro che ne assume la esclusiva responsabilità” (articolo 88). Tuttavia, “in qualsiasi momento la Camera dei deputati può obbligare il primo ministro alle dimissioni con una mozione di sfiducia” (articolo 94); il primo ministro si deve dimettere anche nel caso in cui la mozione di sfiducia “sia stata respinta con il voto determinante di deputati non appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni” (articolo. 94). Questa ultima disposizione è una “norma antiribaltone“; pregiudica però, in caso di crisi del Governo, qualsiasi spazio di mediazione parlamentare e soprattutto il confronto con le opposizioni. L’articolo 94 prevede un’altra possibilità di dimissione del presidente del Consiglio: “qualora sia presentata e approvata una mozione di sfiducia, con la designazione di un nuovo primo ministro, da parte dei deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni in numero non inferiore alla maggioranza dei componenti della Camera”. Anche in questo caso di “sfiducia costruttiva” le opposizioni non hanno nessun ruolo da giocare (ad esempio, in Germania con la sfiducia costruttiva non si pongono vincoli a quale maggioranza la possa votare) e non è difficile ipotizzare che il “controllo” da parte del primo ministro anche di un piccolo gruppo di deputati della maggioranza è di per sé sufficiente a impedire il raggiungimento della maggioranza dei voti necessaria per la sfiducia costruttiva.
Non meno importanti sono i nuovi poteri sulla vita del Parlamento in merito alla determinazione dell’agenda. Sia l’articolo 64, laddove si stabilisce che «il regolamento della Camera garantisce le prerogative del Governo e della maggioranza”, sia alcuni commi dell’articolo 72, consegnano al potere del Governo le decisioni sull’ordine del giorno della Camera e del Senato, in altri termini le priorità legislative del Parlamento.

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9. Che cosa cambia per gli organi di garanzia?

Per quanto riguarda la Corte costituzionale ci sono due principali novità. Rimane invariato il numero dei giudici che la compongono, ma aumentano da cinque a sette i giudici eletti dalla Camera dei deputati e dal Senato. Di conseguenza, il Presidente della Repubblica e la suprema magistratura ne possono nominare soltanto quattro. Cresce in altri termini il numero dei giudici a più diretta derivazione politica e partitica. L’altra novità è che potranno ricorrere alla Corte, per eventuali conflitti di attribuzione o di competenze, anche i comuni, le province, le città metropolitane.
Per il Consiglio superiore della magistratura si introducono due modifiche: si introduce un meccanismo di elezione differenziata tra Camera e Senato per i membri eletti dal Parlamento e, più importante, la scelta del vicepresidente spetta al Presidente della Repubblica.

10. Cosa implicano le norme di transizione?

Tempi lunghi per l’entrata in vigore delle nuove norme relative all’elezioni delle due Camere e alla riduzione del numero parlamentari, il 2011. Sul fronte dei poteri di entrate delle autonomie locali, l’articolo 119 rimane invariato, ma tra le disposizioni transitorie si introduce un norma su “Federalismo fiscale e finanza statale” in base alla quale: “Entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, le leggi dello Stato assicurano l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione. In nessun caso l’attribuzione dell’autonomia impositiva ai comuni, alle province, alle città metropolitane e alle Regioni può determinare un incremento della pressione fiscale complessiva”. Rimane poco chiaro il significato di quest’ultima parte del comma, soprattutto come sia possibile modulare margini effettivi di manovra delle Regioni sulle aliquote senza che ciò determini un incremento della pressione fiscale totale.


(1)
In via generale sono gli esecutivi degli Stati o Regioni che eleggono i rappresentanti nel Senato federale.

(2) Nei “modelli del premierato”, invece, il premier è il leader del partito che vince le elezioni e non è prevista una indicazione del corpo elettorale.

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  1. Massimo Marnetto

    La democrazia si realizza nella progressiva distribuzione del potere e della ricchezza.
    Le due cose procedono sempre insieme. E quando una declina, l’altra presto si riposiziona in perfetto abbinamento.
    Le modifiche costituzionali in questione mirano alla concentrazione del potere.
    Ma non sono altro che un’involuzione democratica connessa al un processo di accentramento della ricchezza.
    Basta vedere come lo stesso Governo che vuole “modernizzare” la Costituzione abbia sempre demonizzato le tasse.
    Allora meno tesse e meno Costituzione per tutti?
    No, grazie.

    Massimo Marnetto

  2. venturoli massimiliano

    Volevo complimentarmi per l’ articolo appena letto. Sinceramente, prima della lettura dell’ articolo, ero convinto di votare SI al Referendum ( pur essendo elettore di centro-sinistra ). Ero convinto (di votare SI) per ” punire ” il Governo Prodi per l’ immobilismo, di cui stà dando prova, e perchè ha consigliato di votare NO, senza però indicare, quali riforme costituzionali ( necessarie per il Bel Paese ) produrrà durante la Legislatura.
    Leggendo, però i possibili conflitti di poteri e vuoti di potere che produrebbe la Riforma prodotta dal centro destra, mi sono convinto a votare NO. Convinto che la ” strura Istituzionale” non sopporterebbe una conflittualità istituzionale prolungata.

  3. Paolo

    Non sono un esperto, ma leggendo qualche libro (ad esempio: Viesti, “Abolire il Mezzogiorno”) ho scoperto quanto già l’OCSE osservava per l’Italia.
    Fino al 1948 avevamo una tradizione politico-amministrativa fortemente centralizzata. La previsione del costituente del 1948 (il più ampio decentramento amministrativo) si è realizzata un po’ in malo modo negli anni ’70. Il risultato non è stato affatto brillante:ampi poteri di spesa senza controllo; ampie disparità nello sviluppo economico regionale; sovrapposizione e confusione di competenze tra enti diversi, continua crescita di costi burocratici e amministrativi. Il debito pubblico è passato dal 38% del 1968 a oltre il 120% degli anni ’90. In questo periodo diverse riforme (applaudite dalla stessa OCSE) avevano ottenuto apprezzabili risultati in modi semplificati: dalla riforma dei “raggruppamenti operativi dignostici” (per la sanità); le leggi Bassanini, la c.d. “rivoluzione comunale”; creazione di imposte locali; l’abolizione dell’Intervento Straordinario etc.. Tali riforme, però, non avevano finalità ideologiche o di partito, ma affrontavano 8anche in ritardo) problemi reali.
    Gli stessi autori della riforma in votazione adesso non riescono a spiegare le reali innovazioni della riforma. Uno dei principali temi acui si affidano è quello del “ribaltone”, una comunissima crisi di governo come quelle che hanno costellato la vita della “prima repubblica”, cercando fenomeni come la “manipolazione del consenso” o la “deriva plebiscitaria”.

  4. Paolo

    Tale riforma – secondo me – supposte delle dubbie buone intenzioni, dubito possa funzionare. Ci si trova di nuovo di fronte ad un federalismo imposto dall’alto (non costruito dal basso come quello tedesco o americano e – erroneamente segnalato da Calderoli – il Parlamento della Scozia – che non fa, comunque, dell’Inghilterra uno stato federale). Le stesse regioni (Lombardia, Veneto, Sardegna) lamentano non tanto la situazione dell’autonomia normativa, quanto l’iniqua ripartizione dei fondi per gli enti locali (è in atto da tempo una specie di guerra tra Veneto e Trentino in materia), un capitolo che la riforma non tocca minimamente, con Calderoli che garantisce: in prospettiva, in futuro, più avanti…
    Non si è risolto il dibattito tra costituzionalisti: “Nuova Costituzione o nuovo patto sociale ?”, non stiamo andando verso una riduzione di privilegi e poteri discrezionali senza controllo (che hanno portato alla politicizzazione di qualsiasi cosa in Italia). Non si stanno nemmeno riducendo le diseguaglianze generate da uno stato sociale (ma anche politico) volto agli interessi di gruppi “forti” (lobbies e sindacati). Non si mette mano a problemi come i poteri di spesa e i controlli sulle spese (tipo le leggi-spesa del Parlamento in barba al vincolo della Costituzione). Giova anche ricordare che la crisi della Repubblica di Weimar (che ha aperto le porte al Nazismo in Germania) ha avuto origine da uno stato con istituzioni troppo deboli.
    Io penso sarebbe meglio buttare quest’ultima riforma (per il metodo e il contenuto) e ricominciare da capo, aprendo il dibattito ad enti locali, amministrazioni, categorie etc…

  5. Matteo Mazzarotto

    Oltre a complimentarmi con la redazione per questo esaudiente articolo volevo rispondere al sig. Venturuoli Massimo, il quale afferma che avrebbe votato “si” per punire l’immobilismo del governo Prodi. Dunque: a parte che in due mesi non è che si può trasformare l’Italia (ci vuole pazienza, meglio sforare di qualche tempo rispetto ai piani e fare una buona legge che farne dieci in dieci giorni una peggio dell’altra), io dico che non si può andare a votare ad un referendum costituzionale con l’intenzione di punire qualcuno o qualcosa. Attenzione non politicizziamo tutto. Qui si tratta di COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA! Un referendum su questi temi neanche si dovrebbe fare. Ci sono cose in cui il popolo non ha diritto di esprimersi e questa è una di queste. Come si fa a mettere nelle mani di quattro ignoranti (costituzionalmente parlando) di italiani un tema che neanche i costituzionalisti più affermati riescono a decifrare completamente??? Li abbiamo votati per qualcosa quei mister dollar man che stanno in parlamento o no? Io dico che lavorino loro su queste cose. Io non ho tempo, ho altro da fare! Non riescono a trovare una accordo? Bene allora non se ne fa niente.
    Detto questo (scusate se mi son fatto prendere un po’ la mano…) vorrei dire una cosa. Fini parla di punire Prodi votando si. E noi dobbiamo rispondere unanimamente: sig. Fini, qui si parla di costituzione, il fondamento del nostro ordinamento giuridico, per favore un po’ di contegno, grazie! Se voto no, non è perchè sono di sinistra, e neanche perchè lo dice Fassino…se voto no è perchè quando una cosa non la si conosce a fondo, è sempre meglio glissare!

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