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Se l’Iva è rivista

L’Italia parte da un’aliquota Iva ordinaria fra le più elevate. Finisce però per avere una aliquota implicita al di sotto della media europea. Una revisione dei regimi ad aliquota ridotta permetterebbe probabilmente di raggiungere diversi obiettivi: da un lato garantire una maggiore neutralità ed equità dell’imposta. Dall’altro ottenere una parte del gettito necessario per il risanamento dei nostri conti pubblici. Dimensione e struttura di un eventuale intervento devono tener conto dell’impatto redistributivo e sul tasso di inflazione.

Se l’Iva è rivista, di Giampaolo Arachi, Carlo Fiorio e Alberto Zanardi

Iva è un’imposta armonizzata a livello europeo, tuttavia permangono tra paesi membri significative differenze riguardo alla platea di contribuenti assoggettati all’imposta e alle aliquote applicate a diverse categorie di beni e servizi, con conseguenze rilevanti in termini sia di gettito, sia di distribuzione del carico fiscale fra contribuenti.

Confronto Italia-Unione Europea

Quando si confronta l’Italia con i maggiori paesi europei emerge innanzitutto un problema di gettito. Nella figura 1 viene riportato per ogni singolo paese sia il dato relativo al gettito Iva rapportato ai consumi finali (una proxy della base imponibile potenziale dell’Iva) sia il livello dell’aliquota ordinaria per il 2004. L’Italia è il paese con il gettito più basso sebbene la sua aliquota risulti fra le più elevate (ad eccezione dei paesi scandinavi caratterizzati da un livello di spesa pubblica, e quindi di pressione fiscale, nettamente superiore alla media dell’Unione Europea).
Cosa spiega un rendimento così basso della nostra imposta? Nel dibattito recente sono emerse due argomentazioni che possono concorrere a chiarire il problema. La prima, illustrata da Convenevole, da ultimo su Il Sole-24Ore del 20 maggio scorso, evidenzia come le modalità di applicazione dell’Iva in Italia rendano l’imposta più vulnerabile alle pratiche elusive e alle frodi che sfruttano il meccanismo dei rimborsi.
La seconda, avanzata da uno studio della Commissione europea , punta sulla struttura delle aliquote applicate in Italia.

La differenziazione delle aliquote

Per comprendere l’argomento proposto dalla Commissione occorre innanzitutto tener conto del fatto che la normativa comunitaria consente ancora una certa differenziazione fra paesi sia nel livello che nel numero delle aliquote. Stabilisce infatti che ogni paese debba applicare un’aliquota ordinaria non inferiore al 15 per cento, ma consente anche di applicare aliquote ridotte su particolari beni e servizi. (1) L’Italia, ad esempio, affianca a quella ordinaria del 20 per cento due ulteriori aliquote del 10 e del 4 per cento. Per confrontare tra di loro i vari paesi è quindi necessario costruire un indice che sintetizzi l’impatto delle aliquote ridotte. La Commissione propone di calcolare l’aliquota implicita Iva come media pesata delle specifiche aliquote adottate in ciascun paese con pesi dati dalla quota del valore delle transazioni a cui ciascuna aliquota si applica sul valore totale delle transazioni stesse. (2) Il divario tra questa aliquota implicita e l’aliquota ordinaria misura il peso dei regimi agevolativi previsti da ciascun sistema tributario nazionale. Nella figura 1 sono riportati i valori calcolati dalla Commissione: è evidente come il gap sia particolarmente alto per l’Italia che, partendo da un’aliquota ordinaria fra le più elevate, finisce per avere una aliquota implicita al di sotto di quella media nella Unione Europea dei 15 (il 15 contro il 15,9 per cento).
L’esistenza di questo scarto dovrebbe condurre a un serio ripensamento sui regimi ad aliquota ridotta nel nostro paese. Una revisione porterebbe probabilmente a coniugare diversi obiettivi: si potrebbe da un lato garantire una maggiore neutralità ed equità dell’imposta – si ricordino a titolo d’esempio i problemi causati dalle diverse aliquote sui consumi di gas per cottura cibi e produzione acqua calda (il 10 per cento) e per riscaldamento (il 20 per cento). Dall’altro, si potrebbe ottenere una parte del gettito necessario per il risanamento dei nostri conti pubblici.

Gli effetti sul gettito

Dal punto di vista del gettito è difficile fornire una stima degli effetti di una revisione dei trattamenti agevolativi Iva senza aver prima definito le categorie di beni e servizi da passare ad aliquota ordinaria. Si può però facilmente calcolare che se si portasse l’aliquota implicita italiana al livello medio europeo (+ 0,9 punti di aliquota), il gettito totale crescerebbe di circa 5 miliardi di euro. Ovviamente, questo risultato potrebbe essere realizzato mediante differenti combinazioni in termini di fissazione delle aliquote ribassate (oggi 10 per cento) e super-ribassate (oggi 4 per cento) o di spostamento di categorie di beni da un’aliquota all’altra.
È del tutto evidente, tuttavia, che la scelta della dimensione e della struttura di un eventuale intervento sull’Iva non potrà basarsi esclusivamente sulla valutazione del gettito aggiuntivo, ma dovrà prendere in considerazione una serie di effetti sul sistema economico.
In primo luogo, si dovrà valutare con attenzione l’impatto redistributivo di una variazione delle aliquote. Dato che le aliquote ridotte riguardano essenzialmente alimentari, alberghi, trasporti e costruzioni, un loro aumento generalizzato potrebbe penalizzare le fasce di reddito più deboli. Occorrerà quindi puntare a una rimodulazione ragionata piuttosto che su incrementi automatici. In secondo luogo, sarà necessario tener conto di un eventuale impatto sul tasso di inflazione.

Gli effetti redistributivi

Per quanto riguarda gli effetti redistributivi, alcune indicazioni del tutto preliminari possono venire da un’analisi condotta da Econpubblica attraverso il proprio modello di microsimulazione basato sui dati dell’indagine dei consumi familiari dell’Istat integrata con la rilevazione dei redditi familiari della Banca d’Italia.
In particolare, si è tentato di valutare l’impatto redistributivo (a parità di comportamenti di consumo famigliari) di una serie di manovre sulle aliquote Iva in confronto con l’Iva attuale (tabella 1).
Le prime due manovre prevedono di aumentare di un punto rispettivamente l’aliquota super-ribassata (che quindi viene portata al 5 per cento) e l’aliquota ribassata (all’11 per cento), senza alcuna ricollocazione dei beni tra le varie categorie di aliquota. La terza simulazione considera una manovra volta a eliminare il gap fra l’aliquota implicita italiana e quella europea, incrementando tale aliquota di 0,9 punti percentuali. Sulla base dei pesi della Comunità europea l’aumento potrebbe essere realizzato, per esempio, innalzando le attuali aliquote super-ribassata e ribassata rispettivamente al 5 e al 13 per cento. In tutte tre le simulazioni non si interviene sull’aliquota ordinaria del 20 per cento.
La tabella 1 illustra gli effetti redistributivi delle tre manovre, attraverso una serie di indici sintetici (incidenza, progressività e redistribuzione) e la distribuzione dei debiti di imposta individuali per quintili di reddito disponibile (cioè al netto dell’imposizione diretta) resi equivalenti per la differente dimensione familiare. (3)


Va chiarito che l’effetto redistributivo di un’imposta può essere misurato dalla sua capacità di rendere la distribuzione dei redditi disponibili dopo l’imposta meno sperequata tra ricchi e poveri rispetto alla distribuzione dei redditi prima dell’imposta. Tale effetto redistributivo può essere scomposto in due fattori moltiplicativi: l’effetto incidenza e l’effetto progressività. Il primo cresce al crescere dell’aliquota media dell’imposta. Il secondo cresce con il grado di progressività dell’imposta, cioè con la sua capacità di concentrare il carico fiscale relativamente di più sui redditi alti che su quelli bassi.
Se applicati all’imposta attuale, questi indici confermano il ben noto risultato degli effetti sperequativi dell’Iva, dovuti innanzitutto alla sua struttura regressiva. Le tre manovre sopra descritte determinano in generale un inasprimento dell’impatto sperequativo dell’Iva (del 7 per cento nel caso della terza manovra). Esso è tuttavia riconducibile non tanto a un incremento del grado di regressività dell’imposta, quanto all’aumento della sua incidenza (soprattutto nel caso della terza simulazione) determinato dalla revisione verso l’alto delle aliquote. La distribuzione dei debiti di imposta Iva per quintili di reddito disponibile mostra come l’Iva pagata sia crescente al crescente del reddito, ma tale incremento è meno che proporzionale rispetto all’aumentare del reddito. Questa struttura regressiva si mantiene sostanzialmente invariata in corrispondenza delle manovre ipotizzate.

Gli effetti sull’inflazione

Per quanto riguarda i potenziali effetti inflazionistici, le più recenti esperienze degli aumenti di aliquote realizzati dal Governo Dini nel 1995 e dal Governo Prodi nel 1997 non consentono facili previsioni. Nel primo caso si osservò infatti un chiaro aumento dei prezzi, mentre nel secondo l’impatto sull’inflazione fu quasi impercettibile. In realtà, la domanda rilevante non è se l’aumento dell’Iva potrà produrre uno “scalino” nell’andamento dei prezzi ma se un eventuale “scalino” possa a sua volta innescare una corsa al rialzo dei prezzi a seguito di maggiori rivendicazioni salariali. Per evitare questo rischio è bene che una eventuale manovra sia preventivamente discussa e, per quanto possibile, concordata con le parti sociali.
C’è infine una questione sollevata nel dibattito che seguì le revisioni dell’Iva negli anni Novanta: un aumento dell’Iva che si traducesse in un aumento dell’inflazione potrebbe aere un effetto negativo sui conti pubblici, dovuto all’incremento dei tassi nominali sul debito. Per fortuna, però, il contesto economico è profondamente mutato: il fatto che il debito pubblico sia denominato in euro e collocato per una quota rilevante all’estero ha eliminato il legame stretto fra inflazione domestica e tassi di interesse sui nostri titoli pubblici.

Leggi anche:  Contratto fiscale tradito

(1) Il quadro completo delle aliquote è disponibile sul sito della Commissione europea http://ec.europa.eu/taxation_customs/taxation/vat/how_vat_works/rates/index_en.htm.
(2) L’aliquota implicita è quindi quell’aliquota che applicata uniformemente a tutte le transazioni consentirebbe di ottenere lo stesso gettito generato dal regime attuale di aliquote differenziate.
(3) In altri termini, le famiglie sono ordinate dalle più povere alle più ricche in base al loro reddito disponibile equivalente e suddivise in cinque gruppi di eguale numerosità.

Danimarca

Svezia

Finlandia

Austria

Olanda

Grecia

Belgio

Francia

Unione Europea (gruppo dei 15)

Spagna

Regno Unito

Germania

Italia

gettito in rapporto ai consumi (2004)

13.1%

12.1%

11.6%

10.7%

10.0%

9.9%

9.2%

9.0%

8.7%

8.1%

8.1%

8.0%

7.5%

aliquota ordinaria (2004)

25%

25%

22%

20%

19%

18%

21%

19.6%

16%

17.5%

16%

20%

aliquote implicite (2000)

25.0%

21.4%

19.9%

17.3%

14.6%

14.2%

16.9%

15.5%

15.9%

10.9%

13.7%

14.7%

15.0%

Tab.1 Effetti redistributivi di manovre sulle aliquote Iva

Imposta media pro-capite per quintili di reddito disponibile (euro)

simulazione

imposta media familiare (euro)

incidenza

progressività

redistribuzione

1° quintile

2° quintile

3° quintile

4° quintile

5° quintile

Iva attuale

3236

0.4765

-0.5107

-0.1385

1056

1133

1223

1396

1630

4% 5%

3262

0.4802

-0.5107

-0.1399

1064

1142

1233

1407

1643

10% 11%

3288

0.4839

-0.5104

-0.1413

1072

1151

1243

1418

1658

4% 5%
10%
13%

3418

0.5021

-0.5098

-0.1483

1113

1196

1292

1474

1728

Perché l’Iva funziona male, Roberto Convenevole

Nel loro intervento del 16 giugno Giampaolo Arachi e Alberto Zanardi, con il contributo di Carlo Fiorio che ha sviluppato interessanti considerazioni sugli effetti distributivi, hanno riproposto tal quali le argomentazioni pubblicate su Il Sole-24Ore del 9 giugno 2005. (1)
Un anno fa la manovra sulle aliquote Iva doveva servire a finanziare un alleggerimento dell’Irap, oggi un alleggerimento del cuneo fiscale. Lungi da me intenti polemici, vorrei precisare i motivi che rendono infondata la tesi che attribuisce la scarsa produttività dell’Iva alla struttura delle aliquote applicate in Italia.

Lo studio europeo

Lo studio della Commissione europea cui gli autori fanno riferimento espone i dati relativi all’anno 2000. (2) Incidentalmente osservo che il 2000 rappresenta il massimo storico assoluto nel rendimento dell’Iva italiana dal 1973 in poi: l’Iva di competenza essendo risultata pari al 6,5 per cento del Pil (serie Istat antecedente l’ultima revisione); nel 2005 siamo calati al 5,9 per cento (sempre vecchia serie, vedi il grafico in fondo).
Lo studio è stato condotto su dati delle contabilità nazionali dei singoli Stati membri (Sm) e non già su dati di fonte fiscale come avrebbe dovuto essere. Pertanto, per quanto concerne le proxy delle basi finali imponibili si sono utilizzati dati statistici, mentre per l’aliquota implicita si è fatto il rapporto tra un dato fiscale (l’Iva di competenza per i criteri di Maastricht) e ciò che si ritiene sia la base finale imponibile Iva. Non mi sembra sia questo un procedimento corretto da un punto di vista logico perché inevitabilmente si scambiano tra loro cause ed effetti. È cosa nota, infatti, che tutt’ora permangano seri problemi di confrontabilità dei dati statistici. degli Stati membri. Ergo, i consumi finali della famiglie dei singoli Stati possono non essere tra di loro omogenei, a prescindere dall’ampiezza dei consumi finali esenti.

Un confronto Italia-Francia

Nella tabella 2 sottostante espongo, per due Stati membri, il ragionamento che si dovrebbe fare per capire di cosa stiamo parlando. Per memoria, nella tabella 1 riporto la griglia delle aliquote legali esistenti in Francia e in Italia: le aliquote ridotte sono da noi poco meno che doppie di quelle francesi e l’aliquota normale è di poco superiore (4 decimi di punto).
Utilizzando i dati delle dichiarazioni, con riferimento al 2004 si può osservare che in Francia l’aliquota finale sulle vendite è risultata pari al 16,21 per cento mentre in Italia è stata del 18,06 per cento. In sostanza, se si considerano le operazioni imponibili spontaneamente dichiarate dai contribuenti Iva, l’aliquota finale sulle vendite è risultata in Italia superiore di circa l’11,4 per cento (1,85 punti).
Sugli acquisti con Iva detraibile, sempre spontaneamente dichiarati, l’aliquota francese è risultata pari a 16,46 per cento mentre quella italiana è stata del 19,30 per cento (2,84 punti in più, pari a uno scarto del 17,3 per cento circa). Queste sono dunque le aliquote finali medie che si sono realizzate nel sistema economico dei due Stati membri sulle vendite imponibili e sugli acquisti detraibili.
La sintesi delle due aliquote applicate ai rispettivi flussi determina un’aliquota finale del sistema, sulla base imponibile finale che rimane incisa, che è pari a 15,50 per cento in Francia e 14,80 per cento in Italia (lo scarto è di 7 decimi di punto pari a –4,5 per cento a danno dell’Italia rispetto alla Francia).
A questo punto, anche uno studente liceale capirebbe che la minor resa dell’Iva italiana (cioè il “Vat burden” di cui parla lo studio della Commissione) non dipende dalla griglia delle aliquote bensì da qualcos’altro: gli acquisti portati in detrazione.
Se, per l’Italia, il funzionario che ha redatto il rapporto, un economista dell’ufficio “Economic analysis of taxation”, non è arrivato a questa conclusione non è colpa mia. Di sicuro ha utilizzato un procedimento analitico che lo ha portato fuori strada.
L’aumento delle aliquote comunque mascherato e giustificato non farebbe che complicare la situazione, cioè il cattivo funzionamento strutturale dell’Iva, fornendo una scorciatoia illusoria più volte percorsa in passato. In sostanza, il sistema Iva italiano somiglia molto a uno scolapasta con grossi buchi: l’obiettivo dovrebbe pertanto essere quello di trasformare lo scolapasta in colabrodo (fori significativamente più piccoli).
L’unico argomento che ancora rimane a sostegno della proposta di aumento delle aliquote Iva è dunque squisitamente politico e, come tale, non assoggettabile a obiezioni di tipo logico: si tratta in definitiva della decisione di spostare potere d’acquisto da una parte della popolazione (chi si trova sotto la soglia di povertà, i pensionati al minimo, i salariati a basso reddito) verso le imprese genericamente intese.

(1) “Iva più europea per varare i tagli”, Il Sole-24Ore, 9 giugno 2005.

(2) “Vat indicators”, working paper n.2/2004.


Tabella 1: la struttura delle aliquote legali in Francia ed in Italia

• (1) aliquote (2) aliquota (3) aliquota implicita (4) divario in %

• ridotte normale media aliquota normale

• Francia 2,1 5,5 19,6 15,5 22,1

• Italia 4 10 20 15 25

• Media UE-15 – 19,4 15,9 18

Tabella 2: l’Iva sulle operazioni imponibili e sugli acquisti detraibili nel 2004

FRANCIA

volumi

imposta

aliquota

Totale operazioni imponibili

2.965.604

Totale imposta

480.806

16,21

Base finale imponibile

769.381

Imposta

119.254

15,50

Acquisti ad Iva detraibile

2.196.223

Imposta

361.552

16,46

ITALIA

volumi

imposta

aliquota

Totale operazioni imponibili

2.287.807

Totale imposta

413.188

18,06

Base finale imponibile

559.115

Imposta

84.229

14,80

Acquisti ad Iva detraibile

1.718.692

Imposta

331.641

19,30

FRANCIA / ITALIA

volumi

imposta

aliquota

Totale operazioni imponibili

129,63

Totale imposta

116,36

89,76

Base finale imponibile

135,19

Imposta

141,58

104,73

Acquisti ad Iva detraibile

127,34

Imposta

109,02

85,28

Nota bene: l’Iva sulla base finale è quella di competenza economica di fonte Istat e Insee.

Iva, aliquote e rimborsi di Giampaolo Arachi, Carlo Fiorio e Alberto Zanardi

Nel suo commento al nostro contributo del 16 giugno, Roberto Convenevole sostiene due tesi.
La prima è che il metodo seguito nello studio della Commissione Unione Europea da noi richiamato sia inadeguato, la seconda è che l’unica spiegazione per la bassa resa dell’Iva italiana sia da ricercarsi negli acquisti portati in detrazione. Riteniamo che l’argomentazione proposta da Convenevole a sostegno della prima tesi sia errata. Per quanto riguarda il problema dei rimborsi crediamo, come peraltro già evidenziato nel nostro articolo originario, che esso rappresenti una ragione ulteriore per spiegare il basso livello del gettito Iva in Italia. Tuttavia, troviamo le argomentazioni di Convenevole non del tutto convincenti.

L’aliquota implicita Iva

Premesso che il nostro intervento, inclusivo dell’analisi degli effetti redistributivi di possibili manovre sulle aliquote Iva, è il frutto della ricerca congiunta sviluppata nell’ambito di Econpubblica-Università Bocconi, il dato da cui siamo partiti nel nostro ragionamento è il basso gettito dell’Iva italiana relativamente a una proxy della base (gettito in rapporto ai consumi).
Per dar conto del basso gettito effettivo due spiegazioni sono, in linea di principio, possibili. La prima è che il gettito “potenziale” (ossia il prodotto fra le aliquote e la base imponibile che andrebbe assoggettata a imposta sulla base della normativa) sia basso. La seconda è che il gettito effettivo sia più basso del gettito potenziale a causa dell’evasione (o perché una parte dell’imposta dovuta non viene versata oppure perché una parte della base imponibile viene occultata) o dell’erosione della base imponibile. Il riferimento allo studio della Commissione Unione Europea serviva a verificare se la prima spiegazione fosse rilevante per il nostro paese attraverso il calcolo dell’aliquota implicita. A questo fine occorre una misura della base imponibile cui si applicano le diverse aliquote che, almeno in teoria, non sia affetta da evasione/erosione. I dati di contabilità nazionale, per quanto imperfetti, possono essere utilizzati per ottenere questa informazione. I dati fiscali, al contrario, scontano per definizione l’evasione/erosione e non possono quindi essere utilizzati, contrariamente a quanto sostiene Convenevole, per questo obiettivo.
Il commento di Convenevole su questo punto è forse influenzato da un errore di interpretazione del metodo utilizzato per calcolare le aliquote implicite. Scrive infatti Convenevole “(…) per quanto concerne le proxy delle basi finali imponibili si sono utilizzati dati statistici mentre per l’aliquota implicita si è fatto il rapporto tra un dato fiscale (l’Iva di competenza per i criteri di Maastricht) e ciò che si ritiene sia la base finale imponibile Iva”. In realtà, come descritto nel nostro contributo, le aliquote implicite sono una media pesata delle aliquote formali con pesi pari alle quote di consumi assoggettati alle varie aliquote. Nessun dato fiscale viene utilizzato nel loro calcolo.

Il problema dei rimborsi

Convenevole propone poi un’interessante analisi dei dati fiscali evidenziando come in Italia il volume dei rimborsi Iva appaia più elevato rispetto a quello francese e individuando in questo la causa del basso gettito italiano. Si osservi in primo luogo che, se anche la tesi è corretta, essa non è alternativa a quella della bassa aliquota implicita ma la integrerebbe, spiegando uno scostamento fra base imponibile potenziale ed effettiva.
Ma veniamo alla sostanza delle argomentazioni. Convenevole riporta i dati relativi al volume delle operazioni imponibili ed evidenzia come “(…) in Francia l’aliquota finale sulle vendite è risultata pari al 16,21 per cento mentre in Italia è stata del 18,06 per cento”. L’aliquota finale sulle vendite non è tuttavia l’aliquota sulle vendite ai consumatori finali (la base imponibile dell’imposta). Tra le vendite risultano anche le vendite di beni e servizi verso altri soggetti Iva. L’Iva versata su queste operazioni rappresenta un mero anticipo dell’imposta dovuta dal consumatore finale e l’impresa che l’ha pagata otterrà il rimborso. L’aliquota media sulle vendite ai consumatori finali è quella che Convenevole chiama “aliquota finale del sistema” e che è pari al 15,5 per cento per la Francia e al 14,80 per cento per l’Italia. Si osservi che, sebbene calcolate in un anno differente, (2004 vs 2000), queste due aliquote sono in linea (identica nel caso della Francia) con le aliquote implicite calcolate dalla Unione Europea. Si potrebbe utilizzare questo dato per sostenere che il basso gettito italiano sia quasi interamente dovuto al basso livello delle aliquote (bassa imposta potenziale) e solo in maniera molto limitata (2 decimi di punto) alla evasione/erosione.
Anche noi crediamo che i dati aggregati sui rimborsi Iva suggeriscano che un qualche problema di evasione/erosione della base imponibile ci sia. E, tuttavia, le considerazioni di Convenevole potrebbero essere ulteriormente integrate da altre osservazioni. Si consideri in primo luogo che il totale delle operazioni imponibili e il totale degli acquisti detraibili sono collegati fra loro: maggiori sono gli scambi fra soggetti Iva e maggiore sarà sia l’Iva sulle vendite sia l’Iva detraibile. Se gli scambi fra soggetti Iva sono assoggettati ad aliquote più elevate delle vendite a consumatori finali si osserveranno inevitabilmente due fenomeni: l’aliquota media sugli acquisti detraibili sarà maggiore dell’aliquota media sulle vendite ed entrambe le aliquote risulteranno superiori all’aliquota finale del sistema. Quindi i dati presentati da Convenevole non rappresentano necessariamente una situazione patologica. Le differenze fra Francia e Italia potrebbero essere determinate esclusivamente da un processo produttivo meno integrato verticalmente (più vendite fra soggetti Iva) nel nostro paese.
Più significativo appare invece il grafico che rappresenta l’andamento dell’Iva lorda (Ragioneria dello Stato) e dell’Iva di competenza (Istat e Ufficio Studi). Si osserva infatti che dal 2000 le due curve tendono ad allontanarsi: mentre l’Iva lorda resta sostanzialmente costante per poi risalire nell’ultimo anno, l’Iva netta decresce fino al 2004. Sembra più difficile spiegare tale divaricazione con modifiche nella struttura del processi produttivi italiani. È probabilmente qui che si manifesta l’effetto di pratiche di evasione/erosione volte a gonfiare il valore dei rimborsi.

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  1. Hominibus

    Non pensate che somigli ad un cane che si morde la coda la riduzione del cuneo fiscale e l’aumento dell’Iva? E poi, l’Iva non é equa perché applica diverse aliquote ma perché colpisce in modo indiscriminato, giacché non tiene conto della capacità contributiva del soggetto che compra beni e servizi. Quindi, le imposte medievali come Ici, Iva, Ire, Monopoli, Accise, Lotterie sono incostituzionali perché violano l’art.53.
    L’equità si raggiungerebbe con i seguenti provedimenti:
    1) Eliminare tutte le imposte sopra citate;
    2) Considerare la sommatoria dei redditi e rendite di qualsiasi natura, al netto degli oneri di produzione, come incremento patrimoniale da aggiungere al patrimonio mobile ed immobile, al valore corrente di mercato (ricchezza reale);
    3) Istituire la Borsa dei cespiti fiscali con obbligo di pubblicità per tutte le operazioni di trasferimento, con offerte di vendita al migliore offerente, salvi naturali diritti di prelazione;
    4) Autorizzare le offerte pubbliche di acquisto per cespiti dichiarati al fisco per valori sottostimati, allo scopo di realizzare la sinergia tra interesse pubblico e privato;
    5) Eliminare tutti i cunei sulla retribuzione e considerare i lavoratori come persone adulte, capaci di valutare la giusta remunerazione del lavoro prestato, a tariffa intera, e provvedere al proprio futuro, liberi da pastoie e gravosi tutele politiche, che generano solo sommerso e lavoro in nero.
    Insomma, parecchi testi di finanza ed economia pubbliche andrebbero riscritti !

  2. Carla Capelli

    L’analisi di Arachi, Zanardi e Florio sembra interessante…ma assolutamente identica a quanto gli stessi autori avevano gia’ avuto modo di esporre sul Sole 24 ore il 9 giugno 2005. Si deve trarre la conclusione che nulla e’ cambiato?

    L’attenzione agli aspetti redistributivi e’ pregevole ma andrebbe sostenuta da analisi ben piu’ robuste. Forse qualche riferimento piu’ puntuale ai lavori degli autori renderebbe la proposta piu’ credibile.

    Una precisazione: con indice di redistribuzione ci si riferisce all’indice di Reynold-Smolensky? L’effetto incidenza ([g/(1-g)] ?) moltiplicato per l’effetto progressivita’ (Kakwani?) non sembra portare all’effetto redistributivo indicato. Perche’?

    • La redazione

      L’analisi degli effetti redistributivi di possibili manovre sulle aliquote Iva riportate nel nostro articolo è, come peraltro chiaramente sottolineato, ancora a livello preliminare e necessita di ulteriori verifiche ed approfondimenti. In specifico, ringraziamo per l’utile commento che ha evidenziato un errore di calcolo dell’effetto di incidenza implicato dalle varie manovre proposte. Rimangono tuttavia invariate, in termini qualitativi, le conclusioni a cui giungeva il nostro intervento: rispetto all’Iva attuale, l’applicazione delle varie manovre ipotizzate (soprattutto della terza, consistente in un aumento dell’aliquota super-ribassata dal 4% al 5% e di quella ribassata dal 10% al 13%) comporta, ovviamente, un aumento dell’incidenza dell’Iva, ed è questa la componente che spiega in gran parte il peggioramento degli effetti redistributivi.

  3. Paolo Gabriele

    Bisogna dirlo l’unità monetaria è monca quando quella economica è lontana dal verificarsi. Se ogni Paese applica le imposte a modo proprio e secondo le proprie esigenze di cassa (vero italiani soggetti all’IRAP?) non si raggiungerà mai un vero e proprio punto di equilibirio e ci saranno sempre Stati che consentiranno alle imprese ed ai consumatori di avere vantaggi fiscali, e di conseguenza saranno più competitivi. Quelli come il nostro non possono permettersi, a causa dell’impossibile debito pubblico, una manovra di radicale riduzione delle imposte indirette ed in particolare dell’IVA, ma neanche l’eliminazione di una doppia imposta sul valore aggiunto come l’IRAP, giudicata da troppe parti, anche in sede europea, illegittima perchè, appunto duplicazione di imposta.
    Più complesso, invece, è il tema dell’equità dell’imposizione sul valore aggiunto, che, per sua natura, resta in capo al consumatore finale. E’ appena il caso di osservare che, tolti i consumi ordinari, quelli di auto, moto, barche ed altri beni di lusso sono indicatori di una capacità di spesa maggiore di quella di chi acquista pane e companatico. Pertanto in un sistema dove i pazienti si guaradano bene del richiedere uno straccio di fattura al medico, è forse l’unico mezzo per fa pagare qualcosa agli evasori paratotali o totali, che sono i “big spender” sul mercato dei beni di lusso o immobiliare, anche se a nome di mamme o suocere ultraottantenni. Quello che, pertanto, andrebbe monitorato, e non “spiato” è l’incremento patrimoniale ingiustificato, unico mezzo per far venire fuori le incongruenze. Accompagnato da un rigido controllo delle somme “esportate” in maniera ingiustificata attraverso spalloni reali o telematici a secondo della cultura tecnologica del soggetto.

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