Su lavoce.info, il dibattito sulla linea ferroviaria ad alta velocità tra Torino e Lione è iniziato ben prima che la questione diventasse “nazionale”. E’ un’opera “strategica”? I contrari ritengono che i costi sarebbero ben più alti dei benefici. E che altre infrastrutture sono ben più urgenti. D’altra parte, il progetto potrebbe essere rimodulato in funzione della sola domanda merci, riducendo così i rischi di una domanda insufficiente. Anche perché non è affatto certo che riesca a liberare le valli piemontesi dai Tir. Ma c’è anche chi sostiene che con la Tav si avrebbe un miglioramento delle condizioni ambientali, mentre rinunciarvi comporta una perdita di competitività e di quote del commercio mondiale.

Dalla gomma alla ferrovia: la velocità non è tutto, di Romeo Danielis e Edoardo Marcucci (19-12-2005)

Il dibattito sulla Tav Torino-Lione sembra spostarsi dalla preoccupazione per gli effetti ambientali dell’amianto e dell’uranio presenti nel viscere della montagna alla reale possibilità di spostare quote rilevanti di trasporto dalla gomma alla ferrovia, liberando le valli dall’altrettanto preoccupante presenza dei Tir. Quest’ultimo aspetto, assieme al contributo alla maggiore integrazione dell’Italia nel mercato europeo, potrebbe rappresentare uno degli elementi centrali tali da rendere la Tav un’opera infrastrutturale “strategica”.

Le determinanti della scelta modale

Sulla capacità di redistribuzione modale della Torino-Lione si citano le cifre più diverse senza che venga adeguatamente chiarito come sono state calcolate. Fortunatamente, il tema è uno dei più intensamente dibattuti nella letteratura trasportistica, in particolare in quella di impostazione economica, con l’attenzione che si incentra soprattutto sulle determinanti della scelta modale. Può essere utile riassumere alcune delle conclusioni più consolidate:

1. la scelta del modo di trasporto viene effettuata di concerto tra l’azienda che ha prodotto il bene, l’azienda che lo compra e l’insieme degli operatori che organizzano il trasporto (spedizionieri, operatori logistici, eccetera).
2. la velocità del trasporto – ovvero il tempo che la merce impiega dal punto di partenza a quello di destinazione, noto come door-to-door transit time – è solo uno dei criteri impiegati per decidere la modalità. Altri criteri importanti sono il costo complessivo del trasporto, l’affidabilità in termini di possibili ritardi nelle partenze o negli arrivi, il rischio di danni o ammanchi, la flessibilità (nel senso della possibilità di variare con facilità le modalità organizzative del trasporto) e la frequenza con cui il servizio è offerto. Si noti altresì che il tempo (inverso della velocità) della tratta ferroviaria rappresenta solamente una parte, spesso modesta, del tempo complessivo door-to-door, in quanto quasi sempre va aggiunto il tempo per trasportare tramite camion le merci alla stazione di partenza, quello per trasportarle dalla stazione di arrivo alla destinazione finale e i tempi del carico e scarico ai terminali.
3. Le verifiche empiriche (alcune effettuate anche in Italia), tramite dati osservati o ricavati da interviste alle imprese, mostrano che la variabile tempo door-to-door (velocità) non è la più importante. Pur non essendoci, né potendo esserci, una conclusione unica – molto dipende, ad esempio, dal tipo di merce trasportata -, uno studio recente da noi condotto ha dimostrato che per il trasporto dei prodotti meccanici e per l’arredamento prevale la variabile costo, seguita dal rischio di danni e ammanchi, dall’affidabilità e solo in quarta posizione dal tempo di viaggio.
4. La scelta della modalità di trasporto dipende dalla distanza del viaggio. È un’affermazione quasi ovvia, più volte modellizzata dalla teoria economica dei trasporti, ma spesso dimenticata nelle discussioni giornalistiche. Ha poco senso stimare le quote di redistribuzione modale senza precisare per quali tipi di relazioni. Su relazioni brevi la ferrovia non ha chance, su relazioni lunghe può averne.
5. Il tipo di bene trasportato è determinante. Ci sono beni “a vocazione ferroviaria”, altri decisamente “a vocazione stradale” in relazione alla loro sensibilità alle variabili di costo, tempo di viaggio, affidabilità, rischi di danni e ammanchi, e così via. I secondi tendono a prevalere sui primi.
6. Il passaggio dalla strada alla ferrovia necessita, oltre che qualità nell’offerta di trasporto ferroviario che è indubbiamente legata alla caratteristiche dell’infrastruttura, anche di un cambiamento organizzativo e di investimenti adeguati nelle aziende di produzione e nelle aziende che organizzano il trasporto. Il trasporto stradale rappresenta il modo più semplice, flessibile e, molto spesso, economico, di trasportare le merci. Ma è anche quello che sfrutta meno le economie di scala, consuma più energia e produce maggiore impatto ambientale.

Un insieme di scelte pubbliche e private

Discutere seriamente di potenzialità di redistribuzione modale a seguito della Tav significa dunque precisare ciascuno di questi elementi: per quali relazioni, per che tipo di beni e quali sono le aziende che accetteranno di passare alla ferrovia nell’acquisto o vendita dei loro prodotti.
Naturalmente, il quadro delle convenienze e delle decisioni descritto è facilmente alterabile dagli strumenti fiscali e regolamentari a disposizione degli organi di governo: basta citare ad esempio le imposte sul trasporto merci applicate in Svizzera e in Germania. Le politiche dei trasporti che si intendono adottare nel breve e medio periodo rappresentano quindi l’ultima variabile da precisare nel delineare gli scenari possibili di redistribuzione modale.
In conclusione, la quantità di merce che si sposterà dalla strada alla ferrovia a seguito dell’eventuale costruzione della Tav dipende dall’insieme di scelte pubbliche e private che verranno effettuate.
È importante che nel dibattito vengano adeguatamente chiarite le scelte che ci si impegna a fare. In particolare, il regolatore pubblico deve precisare se e quali politiche di promozione della redistribuzione modale si impegna ad adottare. È poi compito dei tecnici, tenendo conto dell’insieme delle scelte a disposizione delle imprese manifatturiere e degli operatori logistici, stimare in modo scientificamente corretto l’effettivo potenziale di trasferimento dei Tir alla ferrovia. Solo in questo modo le cifre che appaiono sui giornali si trasformeranno da pure opinioni o auspici in progetti e ragionamenti credibili.

Sulla Torino-Lione una pausa di riflessione produttiva di Giuseppe Berta, Andrea Boitani, Claudio De Vincenti, Luciano Gallino, Bruno Manghi, Pippo Ranci, Marco Ponti, Carlo Scarpa, Francesco Silva (19-12-2005)

La sospensione dei lavori di scavo del tunnel di Venaus, che il Governo e le parti interessate hanno concordato nei giorni scorsi, può essere l’occasione per una riflessione seria sul progetto di linea ad alta velocità tra Torino e Lione e, più in generale, sulle grandi opere di collegamento tra l’Italia e la rete europea dei trasporti.
È possibile, in questa fase, andare al di là di un dibattito polarizzato tra chi rifiuta totalmente il progetto per il suo forte impatto ambientale sulla Val di Susa e chi lo difende strenuamente in nome della modernità, dello sviluppo economico e del collegamento internazionale dell’Italia; andare al di là dell’analisi di impatto ambientale dell’opera così come è stata progettata finora e ragionare sulle possibili alternative. Modifiche eventuali che fossero volte a rendere l’attuale progetto più accettabile, sotto il profilo ambientale, per le popolazioni della Val di Susa rischiano di generare un’opera ancora più costosa di quella attualmente prevista, senza che i benefici economici aumentino significativamente (si ricorda che le analisi ufficiali di tipo costi-benefici, che danno risultati sostanzialmente negativi, tengono conto dei costi ambientali).

Utilizzare previsioni ragionevoli

Questo periodo di riflessione dovrebbe servire soprattutto a compiere una valutazione pacata dei costi e dei benefici del collegamento tra Torino e Lione, che assuma previsioni di traffico prudenti e previsioni di costo realistiche, tenendo conto che l’esperienza internazionale mostra come, di solito, per questo tipo di opere, i costi superino di gran lunga le previsioni mentre i traffici siano inferiori a quelli previsti di percentuali analoghe. Nel caso specifico, la più ottimistica previsione è che nel 2020 ci sarà una domanda pari a circa un terzo della capacità che sarà disponibile realizzando l’opera (40 milioni di tonnellate contro almeno 120 milioni), mentre i costi di competenza italiana potrebbero lievitare dai 13 attualmente prevedibili (per la linea nuova, compresa la penetrazione a Torino e il potenziamento di quella storica, comunque necessario a far fronte agli aumenti di domanda prima che la linea nuova sia disponibile) ai 17 miliardi di euro, al lordo dei contributi che potranno venire dall’Unione Europea. Certo è invece che attualmente il traffico merci tra Italia e Francia è in diminuzione e la linea attuale è sottoutilizzata.
Va inoltre notato che le previsioni di traffico cui si è accennato sono effettuate ipotizzando una consistente tassazione dei passaggi dei camion per i valichi stradali. Secondo le stime ufficiali del Gruppo di lavoro intergovernativo italo-francese (1996-2000), infatti, l’opera non contribuirebbe comunque a uno spostamento “spontaneo” di traffico dalla strada alla rotaia: gli aumenti di traffico sulla linea ferroviaria Torino-Lione, se i camion non venissero tassati, sarebbero assai minori di quelli previsti e si avrebbero solo come effetto di spostamento di treni da altre linee ferroviarie.
Il beneficio ambientale e di decongestionamento delle arterie stradali dovuto direttamente al traforo sarebbe quindi molto limitato, se non proprio nullo. Inoltre, sono ovviamente incerti tra venti anni sia gli sviluppi della domanda che delle tecnologie, che su strada o in aereo potrebbero ridurre l’impatto ambientale, soprattutto in presenza di prezzi del petrolio elevati o crescenti.
L’ipotesi di tassare il trasporto stradale per dirottarlo sulla ferrovia appare costosa per le imprese, che già oggi – nonostante l’elevata tassazione dei camion e i sussidi altrettanto elevati alle ferrovie – scelgono in larghissima misura il modo stradale. Una tassazione molto pesante sulle relazioni stradali internazionali, infine, appare incongrua rispetto ai costi ambientali unitari del traffico merci nelle aree urbane e metropolitane, maggiori di un ordine di grandezza, a causa dell’impatto antropico, rispetto a quello di camion pesanti su percorsi extraurbani.
La imminente disponibilità ferroviaria del Loetchberg, e l’avanzato stato dei lavori nel Gottardo potrebbero essere colti come opportunità di riduzione dei costi di investimento per l’Italia, e non come spunto di una competizione persa in partenza sui tempi di realizzazione, anche tenendo conto del fatto che per oltre metà dei traffici verso il Nord-Ovest dell’Europa (una delle direzioni a cui il traforo italiano è rivolto), il percorso dei nuovi valichi svizzeri è più corto di circa 50 chilometri rispetto a quello del Frejus, anche dopo la costruzione del collegamento ad alta velocità.

Una scala di priorità tra progetti

Infine, bisogna considerare che il Governo italiano ha inserito tra le reti europee anche il secondo tunnel del Brennero, l’alta velocità Milano-Genova, le autostrade del mare, il Ponte sullo Stretto.
È necessario fare una scala di priorità, perché lo stato della finanza pubblica italiana lascia prevedere che non ci siano risorse pubbliche per tutte queste opere, mentre non è ragionevole aspettarsi che tutte ricevano il co-finanziamento europeo. Tra le opere citate, il collegamento Torino-Lione ad alta velocità presenta il massimo costo, i più lunghi tempi di realizzazione ed è inoltre l’unica opera che richiede perfetta sincronizzazione tecnica e finanziaria con uno Stato estero per divenire funzionale: una sua realizzazione parziale, per come l’opera è progettata attualmente, non sarebbe utilizzabile.
È invece del tutto possibile, come del resto suggerito dallo stesso “auditing” del ministero francese competente, rimodulare il progetto di collegamento tra Torino e Lione in funzione della sola domanda merci (visto che la domanda passeggeri prevista è comunque esile, come sottolineato anche dallo stesso assessore ai Trasporti della regione francese Rodano-Alpi), e della sua realizzazione graduale nel tempo. Rinunciando all’alta velocità (sostanzialmente inutile per le merci), i costi sarebbero molto ridotti, così come i rischi di una domanda insufficiente. La capacità per le merci infatti può agevolmente essere aumentata ben al di là di quella, già notevole, ottenibile con il semplice ammodernamento della linea esistente, attraverso interventi gestionali, tecnologici e infrastrutturali mirati a tale scopo e articolabili nel tempo in funzione dell’andamento della domanda (interventi sull’alimentazione, i moduli di stazione, il segnalamento, il materiale rotabile, il modello di esercizio). Una simile revisione del progetto potrebbe, naturalmente, tener conto delle esigenze di raddoppiare i binari nelle vicinanze di Torino al fine di accrescere il numero di tracce disponibili per i treni dei pendolari. In ogni caso, i costi sarebbero inferiori di un ordine di grandezza rispetto al progetto di alta velocità.
Dopo la sospensione dello scavo a Venaus, è necessario procedere a un esame pubblico e aperto a tutte le alternative – condiviso nella metodologia e affidato a soggetti indipendenti dagli interessi in gioco – dell’intero progetto di collegamento ferroviario tra Torino e Lione, nell’ambito dell’insieme degli altri grandi progetti infrastrutturali inseriti nelle reti europee.

I benefici della Tav, di Giuseppe Pennini e Massimo Centra (19-12-2005)

Le polemiche delle ultime settimane sul traforo nella linea ferroviaria ad alta velocità, realizzata con il sostegno dell’Unione Europea, per il collegamento transalpino Torino-Lione non hanno tenuto conto degli aspetti chiave di analisi economica e ambientale. Inoltre, hanno sottovalutato il ruolo che il progetto ha nell’ambito del posizionamento strategico del nostro paese all’interno della gerarchia trasportistica europea: l’Italia è un paese trasformatore, la competitività dei cui prodotti dipende in modo cruciale dall’efficienza del sistema di trasporto.

Un progetto che parte da lontano

Il progetto è stato definito alla fine degli anni Novanta, quando era in carica il Governo Amato e il dicastero dell’Ambiente era guidato da un ministro “verde”, Edo Ronchi, la cui commissione per la valutazione d’impatto ambientale ha vagliato, ed elogiato, il progetto. Il Governo italiano dell’epoca lo presentò all’Unione Europea perché venisse incluso nell’elenco di progetti ad altissima priorità delle grandi reti transeuropee, i Trans European Networks.
Gli obiettivi del progetto, e in particolare del tunnel di cinquantadue chilometri che prosegue per altri trentadue nella circonvallazione di Bussoleno, erano, e sono, due: a) riduzioni dei tempi di percorrenza (e aggancio dell’Italia agli altri principali Net); b) miglioramento delle condizioni ambientali, sia nell’immediato sia soprattutto in prospettiva, riequilibrando il trasporto merci (e, in una misura minore, quello passeggeri) a favore della rotaia “in ragione dell’esigenza di tutelare l’ambiente nelle aree in cui si è registrato un forte aumento del trasporto delle merci su gomma”.
Naturalmente, come qualsiasi grande opera infrastrutturale, la fase di attuazione avrebbe provocato discontinuità e disagio per chi vive, abita e lavora nei pressi dei cantieri. Ma gli obiettivi del progetto e le sue componenti, soprattutto il tunnel, sono stati discussi a lungo nella fase di allestimento dell’investimento e successivamente. (1)
Non sappiamo quale informazione sul progetto, aspetto chiave del processo decisionale, sia stata presentata e discussa con gli stakeholder della Val di Susa. (2)
La divergenza tra le loro reazioni e quelle degli abitanti dell’altro versante delle Alpi, che soprattutto per motivi ambientali insistono perché l’opera non abbia ritardi, può indicare un difetto di comunicazione nei confronti delle autorità locali, e da parte di queste ultime verso ai cittadini. Ciò si sarebbe verificato soprattutto nella seconda metà degli anni Novanta quando il progetto era in fase di allestimento e prima della sua inclusione nella “quick list” dell’Unione, avvenuta nell’autunno 2003 al termine di un lungo negoziato durante il quale tanto il Governo centrale quanto la Regione, la provincia e i principali comuni si sono adoperati perché la Tav Torino-Lione (e relativo tunnel) rientrasse in quell’elenco.

Due analisi costi benefici estese

Occorre sottolineare che i benefici ambientali per la riduzione di inquinamento da traffico su Tir riguardano direttamente gli abitanti delle aree in prossimità del tunnel, sia italiane sia francesi. I benefici in termini di riduzione dei tempi di percorrenza (nonché di incidenti stradali) si spalmano su un territorio molto vasto e su vari Net, principalmente sul corridoio Parigi-Colonia, quello a più alta intensità di traffico in Europa.
Negli scenari controfattuali elaborati negli anni Novanta, si è potuto toccare con mano come senza la Tav Torino-Lione, il sistema Italia, e non solo la Regione Piemonte, sarebbe stato fortemente danneggiato in termini di perdita di competitività e di quota del commercio mondiale a ragione dei più elevati costi di trasporto derivanti dal mancato collegamento con i Net del resto d’Europa.
Dati gli alti costi del tunnel, un’analisi economica convenzionale dava risultati marginali ove non negativi in termini di valore attuale netto (Van) ai tassi di attualizzazione normalmente adottati dall’Unione Europea (tra il 5 e l’8 per cento), anche tenendo conto di elevati benefici ambientali. Per questo motivo, in un primo momento, la Commissione europea, allora presieduta da Romano Prodi, non aveva ritenuto di includere il progetto nella “quick list”. A titolo di cronaca, vale la pena ricordare che allora i comuni della Val di Susa erano insorti contro la Commissione Prodi, accusata di non essere sensibile alle opportunità di sviluppo che il progetto avrebbe portato ai loro territori.
Tuttavia, un’analisi convenzionale poco si adatta a infrastrutture a lunga gestazione, a rilevante impiego di risorse tali da comportare scelte irreversibili in un contesto di incertezza. (3)
Occorre fare ricorso all’analisi costi-benefici estesa alle opzioni reali, in grado di tenere conto delle opportunità di guadagno, o di riduzione delle perdite, offerte dalla volatilità delle variabili in gioco. Nel caso specifico, il progetto consente un riequilibrio tra le modalità di trasporto – ossia rende possibile accedere ai vantaggi della multimodalità.
Sono state pubblicate almeno due analisi costi benefici estese della Tav Torino-Lione. (4) Condotte con tecniche leggermente differenti, esplorano con rigore quantitativo opportunità, ossia opzioni, anche esse differenti.
La prima analisi non tiene conto dei benefici ambientali, ma unicamente di quelli trasportistici. In termini di Van, il valore del progetto per la collettività diventa significativo se si quantizza, sotto un’ampia gamma di ipotesi di volatilità, l’opzione di flessibilità – ossia l’opportunità di sopperire alle esigenze di domanda straordinaria in caso di shock temporanei dovuti a determinanti quali la saturazione dei valichi alpini, la congestione di alcuni modi di trasporti alternativi, una crescita dell’Est europeo più dinamica di quanto oggi prevedibile.
La seconda incorpora, oltre a considerazioni trasportistiche, gli aspetti ambientali sotto due scenari di effetti forti e deboli e studia, in particolare, le opzioni di espansione (il tunnel a due tubi del progetto esecutivo quale definito) e di differimento (incorporando così il ruolo dell’attesa in termini di informazioni a disposizione del decisore). Come è possibile verificare dalle tabelle riportate in basso, pure in presenza di un tasso di attualizzazione dell’8 per cento, il Van esteso è positivo in caso di effetti ambientali pronunciati, mentre è negativo nell’ipotesi di una stima moderata degli effetti ambientali. L’opzione di differimento è considerata con segno negativo poiché la realizzazione del primo collegamento, e quindi la rinuncia alla possibilità del differimento, rappresenta un costo per il progetto. L’opzione di espansione rappresenta un beneficio a cui invece si accede attuando il progetto. Tenendo conto degli effetti ambientali e delle opzioni associate al progetto, il bilancio complessivo può dirsi positivo, anche in presenza di un tasso di attualizzatone dell’8 per cento. (5)
Entrambi i lavori basati sull’analisi costi-benefici estesa dimostrano che i valori di opzione che il progetto è in grado di generare, non sono trascurabili e confermano il ruolo strategico del collegamento. Il difetto di comunicazione consiste proprio nel non averne adeguatamente illustrato gli obiettivi ambientali e nell’aver trascurato gli effetti di opzione, di difficile quantificazione all’interno delle analisi tradizionali.

Valore attuale netto esteso nell’ipotesi di effetti ambientali “deboli”

(valori in milioni di euro)

Progetto I Tunnel

(VANE)

Opzione di differimento

Opzione di espansione

VANES

Interesse

5%

8%

5%

8%

5%

8%

5%

8%

Volatilità

5%

405,24

-399,20

-502,93

-4,65

471,92

305,70

374,23

-98,15

8%

405,24

-399,20

-503,69

-33,75

472,94

316,28

374,49

-116,67

20%

405,24

-399,20

-622,53

-216,60

607,47

500,03

390,18

-115,87

Fonte: nostre elaborazioni

Valore attuale netto esteso nell’ipotesi di effetti ambientali “forti”

(valori in milioni di euro)

Progetto I Tunnel

(VANE)

Opzione di differimento

Opzione di espansione

VANES

Interesse

5%

8%

5%

8%

5%

8%

5%

8%

Volatilità

5%

871,21

-187,96

-968,90

-43,76

521,83

426,09

424,14

194,37

8%

871,21

-187,96

-969,07

-95,35

522,43

428,92

424,57

145,61

20%

871,21

-187,96

-1121,31

-309,37

643,17

582,88

393,07

85,65

Fonte: nostre elaborazioni

* Massimo Centra, economista, è assistente del presidente di Trenitalia spa. Questo articolo è stato scritto a titolo personale e non impegna né l’azienda né i suoi amministratori.

(1) Ad esempio, è stata riservata all’argomento una sessione del congresso scientifico dell’Associazione italiana di valutazione, Aiv, tenuto a Milano nel marzo 2003.
(2) De Filippi G. “Informazioni, news e valutazione” Rassegna Italiana di Valutazione Anno IX, 2005 , n. 32 pp.45-53.
(3) Ad esempio, in materia della possibilità di innovazioni tecnologiche che portino al funzionamento di Tir non inquinanti tra tre-quattro lustri quando la Tav Torino-Lione sarà in piena vita economica.
(4) Pennisi G., Scandizzo P.L. Valutare l’incertezza: l’analisi costi benefici nel XXI secolo Torino, Giappichelli 2003 pp.346-355. E Centra M. “Analisi costi benefici con opzioni reali: un’applicazione al settore dei trasporti ferroviari” Rassegna Italiana di Valutazione Anno IX, 2005 , n. 32 pp. 97-116.
(5) Un tasso di attualizzazione dell’8 per cento è elevato rispetto, ad esempio, al 6 per cento utilizzato per i fondi strutturali europei e, per implicazione, per gli investimenti a concorrere su fondi Cipe.

Il valore d’opzione della Tav, di Marco Ponti (19-12-2005)

Il concetto di “valore di opzione” deriva dall’analisi finanziaria, ed è rilevante merito scientifico di Giuseppe Pennisi e Lucio Scandizzo averne promosso l’uso anche nella valutazione degli investimenti pubblici. Tuttavia, vi sono ragioni per ritenere che, nel caso del collegamento ad alta velocità tra Torino e Lione, un uso più esteso e strategico di quell’approccio darebbe risultati diametralmente opposti a quelli presentati dallo stesso Pennisi e da Massimo Centra su lavoce.info.
Secondo gli autori, l’”opzione” essenziale, che farebbe passare da negativo a positivo il valore sociale dell’investimento nel collegamento alta velocità Torino-Lione, deriva dall’accresciuta possibilità di usare modi diversi di trasporto, con la conseguente possibilità di espandere l’offerta in caso di eventi imprevisti.
Verissimo, ma l’analisi andrebbe estesa a progetti alternativi meno costosi. Il che, tra l’altro, è “buona pratica” internazionale, di validità generale. Si pensi per esempio ad approcci del tipo “analisi di valore aggiunto”, usati da Lanfranco Senn sia per la linea Av Torino-Milano che per il Ponte sullo stretto di Messina. Ovviamente, tendono a produrre risultati più favorevoli dell’analisi costi-benefici (e per questo sono politicamente molto più gradite): assumono infatti implicitamente nullo il costo sociale del capitale e del lavoro. L’assunzione, in sé non certo condannabile, dovrebbe essere estesa all’analisi di schemi alternativi di spesa pubblica, altrimenti si garantiscono quasi automaticamente risultati “apologetici” per i progetti analizzati.
E lo stesso vale per le considerazioni sul “valore di opzione” del progetto Tav: espandere la capacità stradale, introducendo forti vincoli ambientali sui veicoli merci, costerebbe una frazione della soluzione ferroviaria, e consentirebbe di fronteggiare altrettanto bene “shock di domanda”. Considerazioni identiche, poi, possono essere estese ai servizi aerei, per quanto concerne la (modesta) domanda passeggeri prevista sulla tratta Torino-Lione.

Shock tecnologici e altre modalità di trasporto

Lo “shock” potrebbe essere anche generato da fattori energetici o ambientali, che renderebbero impossibile (o costosissimo) il transito sul tracciato di mezzi a propulsione basata su fonti petrolifere. Ma se questo scenario si verificasse, verrebbe meno gran parte della stessa domanda di trasporto: l’energia spesa da aerei e veicoli stradali sul valico è una frazione piccolissima di quella totale spesa dalla mobilità merci e passeggeri (si pensi che sul corridoio V il traffico di lunga percorrenza non supera il 5 per cento del totale). Si tratta dunque di uno scenario estremo, che ridurrebbe drasticamente le attività economiche. (1) E non sembra comunque confortato da considerazioni energetiche: con il prezzo del petrolio oltre i 60 dollari al barile, già oggi molte fonti energetiche alternative risultano competitive. Né tale prezzo sembra destinato a scendere, accelerando così sia il progresso tecnico nei consumi unitari dei veicoli, che la produzione di carburanti di origine non fossile.
Curiosamente, Pennisi e Centra trascurano le modalità di trasporto alternative più significative, proprio dal punto di vista del loro “valore di opzione”: la strada e l’aereo. Intrinsecamente tali modalità si presentano molto più flessibili nello spazio e nel tempo di quelle ferroviarie: i veicoli stradali e aerei sono assai più “fungibili” di quelli ferroviari, che sono legati a infrastrutture specifiche da questioni di alimentazione elettrica, pendenze delle linee, eccetera. Tutto lascia supporre dunque che un’analisi che includa il “valore di opzione”, ma che fosse estesa a tutti i modi di trasporto, “premierebbe” le tecnologie più flessibili, coeteris paribus, e non il contrario.
Se poi nell’analisi immettiamo un ulteriore elemento innovativo rispetto al tradizionale approccio costi-benefici, il “costo sociale” dei fondi pubblici, il quadro cambia ulteriormente a sfavore della soluzione ferroviaria. Nel contesto dell’Unione Europea, il “costo sociale” è strettamente legato al vincolo di bilancio, ed è tanto più elevato quanto più elevato è il deficit pubblico. L’applicazione di questo elemento all’analisi economica di un progetto pubblico non fa che quantificare l’ovvia considerazione che tra due progetti identici in termini di costi e di benefici socio-economici, è da preferire quello che presenta maggiori rientri finanziari. Non necessita di commenti quanto peserebbe questo ovvio fattore confrontando progetti stradali, che generalmente hanno ritorni finanziari netti positivi o moderatamente negativi, con il progetto Tav, che con ogni probabilità ripagherà a malapena i costi di esercizio.

I costi aggiornati

Last but not least, il costo ufficiale dell’alta velocità Torino-Lione sembra molto lontano dalle più realistiche stime attuali (anche tenendo conto, come è ovvio, dell’inflazione). Le stime ufficiali attuali sono arrivate a 13 miliardi di euro per la sola quota italiana, mentre per quella francese sembra si sia ancora lontani da una valutazione attendibile. Per l’ultima tratta della linea, verso Lione, manca persino un progetto definitivo: sono più di 100 km, ed estendendo i valori di costo della linea Milano-Torino, si può tranquillamente parlare di almeno 5 miliardi di euro.
Sarebbe interessante verificare i risultati dell’analisi con questi valori, anche considerando che generalmente i costi a consuntivo in opere del genere superano di molto quelli a preventivo. La sistematica sottostima iniziale avviene ovunque per ovvie ragioni di opportunità politiche dei promotori dei progetti di spesa, ma non costituisce certo una buona prassi valutativa.

(1) La ferrovia non è un sistema, al contrario della strada, infatti postula servizi stradali alle estremità degli spostamenti.

Come migliorare la linea storica, di Marco Brambilla, Stefano Erba e Marco Ponti (19-12-2005)

In questo articolo proponiamo alcuni possibili interventi tecnici e tecnologici per potenziare la attuale linea ferroviaria Torino–Lione, come alternativa alla realizzazione del tunnel di base previsto dal progetto di collegamento ad alta velocità. Al di là degli elementi puramente tecnici, dovrebbero comunque emergere i contorni di un progetto altrettanto efficace per soddisfare la domanda di traffico merci, ma assai meno costoso dell’alta velocità.
La pausa di riflessione di sei mesi, recentemente decisa, potrebbe essere utilizzata anche per un esame approfondito di queste proposte.

Gli interventi possibili

L’offerta di trasporto nello scenario di adeguamento della linea storica, che si dichiara essere insufficiente per far fronte agli incrementi futuri del traffico ferroviario merci (che oggi è in fase di riduzione), si basa su due assunti: medesima composizione dei treni attuali per il traffico merci; rilevanti aumenti di offerta di sevizi passeggeri (treni più frequenti) sia nella tratta più abitata del tracciato, che nella tratta dell’alta valle. Occorre invece sviluppare un programma di interventi mirati a incrementare radicalmente la capacità della linea attuale, agendo anche sull’offerta di servizi di trasporto e non solo sull’infrastruttura, secondo standard internazionali consentiti dalla tecnologia attuale.
Tali interventi possono così essere riassunti:
1. Adeguamento degli impianti di trazione elettrica tramite il potenziamento delle sottostazioni (aumentando il numero di sottostazioni o potenziando le esistenti è possibile aumentare il carico assorbito dai treni in linea e quindi aumentare il numero di treni od il carico dei treni stessi); passaggio al sistema monofase francese (25kv – 50Hz) nella tratta Modane–Torino Orbassano, che consente treni più pesanti degli attuali con minori problemi legati al contatto pantografo – catenaria (problemi di usura e captazione dell’energia).
2. Adeguamento dei moduli di stazione (aumentando il numero dei binari di precedenza e la loro lunghezza, definendo un modulo standard per l’intera direttrice sia in territorio italiano che in territorio francese) e incremento dei punti di passaggio da un binario all’altro. Ampliamento delle sagome delle gallerie attuali.
3. Nuovo sistema di segnalamento, tramite l’introduzione del blocco mobile o di sezioni di blocco brevi (ad esempio, 450m) allo scopo di massimizzare la capacità della linea.
4. Eliminazione di tutte le interferenze residue con la viabilità stradale (con cavalcavia e sottovia) e messa in sicurezza di banchine di stazioni e fermate
5. Utilizzo generalizzato di materiale di trazione politensione (adatto a circolare sia sotto la rete francese che italiana), allo scopo di eliminare le manovre e le operazioni di cambio macchina nella stazione di confine, fonti di perditempo e possibili ritardi, migliorando così sia la puntualità che la velocità commerciale dei servizi merci.
6. Esercizio merci a trazioni multiple intercalate, ottenuto realizzando “supertreni” più lunghi unendo due o più treni in scali merci posti alle estremità della tratta di valico (ad esempio, Torino-Orbassano); in tal modo si realizzano meno treni ma più lunghi con costi di manipolazione delle unità di carico circa nulli e con la possibilità di spezzare in tempi rapidi il “supertreno” al termine della tratta di valico consentendo così ai due treni originari di raggiungere le destinazioni finali (si noti come non sia necessario l’aggancio automatico, potendosi agganciare manualmente i due treni con gli organi di aggancio attuali); la trazione intercalata elimina i problemi di sforzo al gancio. Le problematiche di assorbimento energetico di tali “supertreni” sono risolte dagli interventi di cui al punto 1. Anche se il carico assiale non aumenta, sarà necessario verificare la necessità di interventi su alcune strutture per il carico dinamico.
7. Circolazione omotachica in alcune fasce della giornata con precedenza nella progettazione dell’offerta e nell’assegnazione delle tracce ai treni merci (sembra possibile individuare alcune fasce orarie – centro mattina, sera, notte – in cui è possibile attivare una circolazione perfettamente omotachica su tutta la direttrice o su porzioni rilevanti della stessa, a una velocità idonea per treni merci – esempio 70km/h – allo scopo di massimizzare la capacità della linea; in tali fasce orarie, i treni passeggeri circolano alla velocità di impostazione dei treni merci; è cosi possibile ottenere frequenze di un treno ogni cinque minuti per senso di marcia). Quindi anche per i servizi pendolari si possono ottenere elevate frequenze nelle ore in cui se ne presenti la necessità.
8. Sostituzione dei servizi passeggeri ferroviari locali in alcune fasce orarie a bassa frequentazione con autoservizi, almeno nella tratta Susa–Modane; nelle fasce orarie in cui non circolano treni passeggeri veloci (attualmente, tre coppie/giorno) i treni passeggeri regionali circolano alla velocità commerciale dei treni merci. La capacità del materiale rotabile per i servizi pendolari e per i passeggeri di lunga distanza può essere aumentata, sia in termini di composizione che di caratteristiche (carrozze a due piani), qualora analisi dettagliate ne dimostrassero la necessità.
9. Realizzazione di barriere antirumore o anche di coperture scatolari (integrali), con mitigazione ambientale radicale nelle tratte urbane o prossime ad insediamenti residenziali od aree di pregio ambientale, paesaggistico e naturalistico
10. Eventuale realizzazione di un terzo binario in affiancamento alla linea attuale tra Torino e Susa, qualora necessario per consentire la circolazione di treni merci e passeggeri regionali/internazionali nella tratta della bassa Val Susa, tratta dove sono maggiormente necessari i servizi passeggeri (l’ipotesi di un raddoppio della linea nella bassa valle va analizzato con realistiche previsioni sull’andamento della domanda di passeggeri).

Quante tonnellate si possono trasportare

Da alcuni calcoli preliminari, assumendo valori estremamente prudenti (“on the safe side”), sembra possibile ipotizzare un traffico servibile di duecento treni merci da 800 tonnellate di carico utile al giorno per trecento giorni (si noti, solo con trazione multipla, ma con circolazione omotachica molto limitata). Tali valori generano 48 milioni di tonnellate all’anno, superiori alle previsioni di traffico più ottimistiche, anche di lungo periodo (che comunque assumono uno scenario di pesante tassazione dei camion). Sulla linea attuale del Gottardo, che ha caratteristiche simili a quella del Frejus, circolano già oggi treni in trazione multipla di più di mille tonnellate utili (i maggiori costi delle trazioni multiple sono di fatto quelli riconducibili agli interventi di cui al punto 1).
La prudenza del semplice calcolo sopra fatto è dimostrabile rammentando che, con circolazione omotachica “spinta” e treni da 1000 tonnellate di carico utile, si potrebbe arrivare addirittura a superare agevolmente i 100 milioni di tonnellate annue. Tutto ciò, ovviamente, a tecnologie date; nell’arco di un decennio potrebbero però divenire disponibili nuove possibilità di incremento delle prestazioni della linea.
Si ricorda infine che le ferrovie italiane non si sono mai trovate in condizioni di dover aumentare la capacità standard per le merci, in quanto finora la domanda è stata statica o declinante, e comunque sempre molto lontana dalla saturazione della capacità delle linee di valico.

Ad alta velocità verso l’immobilismo, di Andrea Boitani e Marco Ponti (18-11-2005)

Il collegamento ferroviario ad alta velocità (Av) tra Torino e Lione sta attirando molta attenzione sulla stampa per le proteste degli abitanti e dei sindaci della Val di Susa, che temono un impatto ambientale dell’opera devastante. Molti politici nazionali, di maggioranza come di opposizione, dicono invece che la Tav Torino-Lione si deve fare comunque e che non si può permettere agli interessi particolari dei valligiani di prevalere su quello nazionale di realizzare un’infrastruttura così strategica per il futuro dell’Italia. Stimati giornalisti temono il prevalere di una deleteria “cultura del non fare” o, peggio, il ritorno di un “piccolo mondo antico italiano”. (1)
Lasciamo da parte le preoccupazioni ambientaliste e gli esasperati localismi (ignobilmente cavalcati dall’estremismo politico) e cerchiamo di capire se, al di fuori della retorica, l’alta velocità Torino-Lione sia veramente così strategica per l’Italia o se vi siano altre grandi opere ferroviarie più urgenti. E di valutare se proprio l’avvio dell’opera non possa esso sì configurarsi come un caso di “piccolo mondo antico italiano” e non finisca per contribuire alla “cultura del non fare” e, peggio, alla “pratica del non fare” (le cose giuste). (2)

Dove e quando

Partiamo da qualche fastidiosa informazione tecnica, di quelle che i sostenitori della strategicità tendono a ignorare. Il progetto Tav Torino-Lione si compone, in realtà, di tre parti. Quella al centro dell’attenzione in questi giorni è solo la tratta di valico o parte comune italo-francese, di 79,5 km. Quasi interamente in galleria (64 km), collegherebbe St. Jean de Maurienne in Francia e Bussoleno in Piemonte.
In queste due località vi sarebbe la connessione con la linea storica, almeno finché le tratte tra Bussoleno e Torino e tra St. Jean e Lione non saranno completate. E qui si può fare la prima osservazione: date le caratteristiche del progetto, la parte di valico sarà fruibile solo quando sarà del tutto completata, cioè secondo le previsioni ufficiali, tra il 2018 e il 2020. Fino ad allora, i treni continueranno a percorrere per intero la linea storica, dal momento che si è deciso di realizzare le due tratte di adduzione dopo e non prima della tratta di valico. Quanto è lecito che sia differita la disponibilità di un’infrastruttura per continuare a definirla strategica? E quale ritardo nel completamento dei lavori è tollerabile per la strategicità, tenendo conto che i tempi di realizzazione sono nella maggior parte dei casi molto più lunghi di quelli previsti?

Quale domanda di traffico?

Secondo le stime del Gruppo di lavoro intergovernativo italo-francese , lo stato della domanda di traffico sulla tratta ferroviaria Torino-Lione (nel 1997) era così riassumibile: 10,1 milioni di tonnellate di merci e 1,3 milioni di passeggeri per anno, di cui il 60 per cento in transito notturno. Nel 2004 il traffico merci è sceso a 8,5 milioni di tonnellate/anno. Il traffico passeggeri era ed è rimasto irrisorio. La concorrenza dei voli low cost tra Roma, Genova, Milano o Torino e Parigi rende prevedibile un’ulteriore diminuzione del traffico. Pochi sono e pochi rimarranno i viaggiatori che vanno soltanto da Torino a Lione e viceversa.
Ancora in virtù delle stime ufficiali del Gli, tenendo conto della realizzazione dei valichi ferroviari svizzeri del Gottardo di base e del nuovo Loethchberg, il traffico merci sulla linea storica per il valico di Modane salirebbe a 12,1 Mtonn/anno nel 2015. Ma tale previsione non poteva tenere conto della diminuzione di traffico negli anni più recenti e quindi va ritenuta ottimista. Con il potenziamento della linea esistente, la capacità della tratta potrebbe arrivare a 20 Mtonn/anno. Se tale potenziamento venisse realizzato e ogni camion in transito per i valichi stradali venisse tassato per ulteriori 100 euro, la domanda ferroviaria per Modane potrebbe salire fino a 16,9 Mtonn/anno nel 2015.
Con la realizzazione del progetto Av, e mantenendo la tassa sui camion, la domanda potrebbe arrivare fino a 21,1 Mtonn/anno. Su queste previsioni di domanda bisogna, però, fare la tara: non tengono conto che la domanda tende a crescere in valore, ma non altrettanto in peso. (3)
La capacità della nuova linea sarebbe di 40 Mtonn/anno, da aggiungere alle 10 della linea storica così com’è o delle 20 della linea storica potenziata. Inoltre, si sta raddoppiando la linea ferroviaria costiera con la Francia, che non è molto distante dalla Val di Susa. Si realizzerebbe, dunque, un’opera per far rimanere inutilizzata dal 58 al 65 per cento della capacità.
Sempre secondo le stime del Gli, l’opera non contribuirebbe a uno spostamento “spontaneo” di traffico dalla strada alla rotaia, che rimarrebbe intorno al 39 per cento del totale, contro il 38 per cento del 1997: gli aumenti di traffico sulla linea ferroviaria Torino-Lione si avrebbero a scapito di altre linee ferroviarie. I benefici ambientali (aggregati) e di decongestionamento delle arterie stradali sarebbero nulli o vicini allo zero. Dunque, la strategicità non sta nel cambio modale.
Del resto, ponendo vincoli “a termine” molto stringenti sulle emissioni dei camion si potrebbe ottenere un risultato migliore dal punto di vista ambientale attraverso il progresso tecnico dell’industria motoristica.

I costi e i finanziamenti

Il costo della sola tratta di valico stimato dalla società Ltf – Lyon-Turin Ferroviarie, aggiornato al 2003, è di 6,7 miliardi di euro, con una crescita dal 2000 del 17 per cento (stime del Gli). Applicando lo stesso tasso di crescita medio annuo, oggi le previsioni dovrebbero arrivare a 7,46 miliardi di euro. In base al “Memorandum di intesa” del 5 maggio 2004, l’Italia si farà carico del 63 per cento dei costi non coperti dall’Unione Europea e la Francia del 37 per cento. Per la tratta esclusivamente italiana (Bussoleno-Torino), dovrebbe aggirarsi sui 4,6 miliardi di euro, cui vanno aggiunte le spese per adeguare il nodo di Torino e quelle per il potenziamento della linea storica, necessaria a far fronte ai previsti incrementi di domanda da adesso al 2020.
Le previsioni più accreditate ritengono che il costo per il bilancio pubblico italiano dovrebbe aggirarsi intorno ai 13 miliardi di euro. Ma l’esperienza internazionale insegna che, in media, i costi delle opere ferroviarie sono più alti di un buon 30 per cento rispetto alle previsioni. In questo caso, il costo per il bilancio italiano salirebbe a circa 17 miliardi di euro.
Non c’è forse il rischio che un costo così ingente porterà con sé ritardo nei finanziamenti e quindi ritardo nella realizzazione dell’opera, allontanando nel tempo la sua utilità economica?
Anche dando ampio peso alle esternalità ambientali, tutte le analisi costi-benefici condotte dal Gli, sotto diverse ipotesi, conducevano a risultati negativi. (4)
Secondo quali criteri può definirsi strategica un’opera i cui costi (probabilmente sottostimati) superano largamente i benefici, pur stimati molto generosamente? Sarebbe ragionevole attendersi che chi afferma la strategicità fornisse qualche giustificazione un po’ più robusta di quelle basate su uno “sguardo alla cartina geografica”. (5)

Ci sono opere più utili?

Trascuriamo alcune opere stradali e le infrastrutture delle grandi città, che pure appaiono tra le più urgenti . Rimaniamo alle grandi opere ferroviarie inserite nella Legge Obiettivo. Tra queste c’è il valico del Brennero che appare di grande interesse. Una prima analisi costi-benefici condotta da ricercatori del Politecnico di Milano in base a ipotesi molto prudenti sull’evoluzione della domanda e sui costi, cioè sottostimando la crescita della domanda e sovrastimando i costi, come è sempre doveroso negli studi di fattibilità seri, ha mostrato che il valore attuale netto per la collettività dell’opera sarebbe positivo, anche tenendo conto del costo opportunità dei fondi pubblici. In effetti, il quadruplicamento dell’asse ferroviario del Brennero, ha costi finanziari assai più limitati della Torino-Lione: nel 2003 si stimava un costo complessivo di 2,6 miliardi di euro per il 50 per cento di competenza italiana. Anche rivalutandolo allo stesso tasso annuo con il quale si è rivalutato il costo della Torino-Lione, si arriverebbe ai 3 miliardi di euro. E l’abituale extra-costo del 30 per cento porterebbe a 3,9 miliardi. Inoltre, già oggi, la domanda sia per le merci che soprattutto per i passeggeri è assai più elevata e ha un più alto tasso di crescita sulla tratta Verona-Monaco che non sulla Torino-Lione. Infine, l’opera potrebbe essere completata nel 2011 e non nel 2020, fatti salvi i ritardi consueti.
Ma se tante risorse pubbliche verranno impegnate per la Torino-Lione cosa resterà per il Brennero? Qualcuno, naturalmente dirà che bisogna fare l’una e l’altra opera e altre ancora. Ma, date le limitatissime risorse a disposizione per investimenti pubblici
, questo significa dispersione dei finanziamenti e quindi rallentamento delle realizzazioni, anche delle opere utili e urgenti. È questo il trionfo vero del non fare, nella peggiore tradizione del “piccolo mondo antico italiano”.


(1)
Guido Gentili su Il Sole 24 Ore del 16 novembre 2005.

(2) A tali fini e utilizziamo soltanto dati ufficiali (ove possibile aggiornati), contenuti nel Rapporto del 2000 del Gruppo di lavoro intergovernativo (Gli) italo-francese incaricato quasi dieci anni fa di analizzare la fattibilità dell’opera: “Nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione”, dicembre 2000.

(3) Si commerciano beni più pregiati e meno materie prime. Inoltre, come riconosceva il Gli nel suo Rapporto, per il 54 per cento dei traffici verso il Nord-Ovest l’alternativa di passare per i valichi svizzeri significa, in realtà, accorciare il percorso in media di 50 km. Ciononostante, nelle previsioni il 90 per cento del maggior traffico è stato attribuito al valico ferroviario di Modane.

(4) Così conclude sulla Torino-Lione la commissione francese incaricata dell’audit di vari progetti di investimento ferroviari:«Bien que fondés sur des présupposés méthodologiques discutables, les résultats actuellement disponibles montrent que ce n’est clairement pas sa rentabilité socio-économique qui peut conduire à justifier ce project. Le nouvelles études de Ltf fondées sur des trafics voisins tendent à confirmer ce résultat en adoptant des hypothèses raisonnables de valorisation des effets externes». Rapport d’audit sur le grandes projets d’infrastructures de transport. Le projets ferroviaires, Annex F1, Paris, fevrier, 2003.

(5) Il già citato Guido Gentili su Il Sole 24 Ore del 16 novembre 2005.

Questo tunnel non s’ha da fare, di Francesco Ramella (28-07-2005)

La chiusura temporanea del traforo autostradale del Fréjus dopo l’incidente dello scorso mese ha fatto sì che da più parti si levasse la richiesta di un’accelerazione dei tempi di realizzazione della linea ferroviaria ad alta capacità fra Torino e Lione. Due ostacoli sembrano però frapporsi alla costruzione della nuova infrastruttura: da un lato, la contrarietà di una parte rilevante degli abitanti della Val Susa; dall’altro la difficoltà a reperire le risorse pubbliche per il finanziamento dell’opera.
Vediamo in breve le motivazioni a sostegno della realizzazione dell’opera. E come possono essere confutate.

Pro e contro il tunnel ferroviario

Si è sostenuto che la fattibilità di un’infrastruttura non può essere valutata con gli stessi criteri adottati per un investimento privato. Vero. Infatti, gli studi trasportistici realizzati non si limitano all’analisi finanziaria dell’intervento, ma fanno ricorso alla consolidata metodologia dell’analisi costi-benefici che consente di valutare le ricadute positive e negative per l’intera collettività. Ma, secondo quanto riportato nel documento “Relazione del gruppo di lavoro economia e finanza” redatto dalla commissione intergovernativa franco-italiana per la nuova linea ferroviaria Torino-Lione” (Cig), qualora non si prendano in considerazione gli aspetti ambientali, i benefici complessivi attualizzati della linea ferroviaria Torino – Lione sono negativi, pari a -2.378 milioni di euro (con tasso di attualizzazione del 5per cento; -3.734 con un tasso di attualizzazione dell’8 per cento).
Questa conclusione non dovrebbe stupire se si considera che la realizzazione dell’opera non comporterà alcun trasferimento di traffico merci dalla strada alla ferrovia, ma esclusivamente un “dirottamento” di traffici ferroviari che, in assenza della linea, sarebbero istradati via Svizzera (vedi Tavola 1). Il trasferimento potrebbe avvenire solo in presenza di interventi politici volti a ostacolare o vietare il traffico stradale.
Si è sostenuto che per decidere in merito alla realizzazione della infrastruttura non è possibile fare esclusivo affidamento a studi trasportistici. Sembrerebbe di poter dedurre che tali analisi sottostimino i benefici della realizzazione di un’opera. La realtà è però diversa. Come documenta un recente studio del danese Bent Flyvberg, le stime contenute negli studi trasportistici sono ottimistiche sia relativamente alle previsioni di traffico (in media sovrastimato del 100 per cento) che per quanto concerne i costi di realizzazione (in media sottostimati del 50 per cento). Il rapporto fra i benefici e i costi di un’opera viene quindi in via approssimativa stimato pari a quattro volte quello reale. Si è evidenziata la possibilità di attrarre i traffici fra l’Europa orientale da un lato e la Francia centro-meridionale e la penisola iberica dall’altro: in assenza della nuova infrastruttura, verrebbero instradati a nord delle Alpi. I traffici di transito sono in realtà pressoché inesistenti. Gli attuali interscambi commerciali fra i paesi dell’Est e le regioni dell’Europa sud-occidentale sono pari a circa 1,5 milioni di tonnellate per anno che equivalgono a un traffico medio giornaliero di trecento Tir. Si stima che nell’arco dei prossimi trent’anni, gli scambi fra questi paesi possano triplicare: il flusso di mezzi pesanti si dovrebbe quindi attestare intorno alle mille unità. Un valore del tutto marginale rispetto agli attuali traffici sull’asse Trieste–Torino, pari in media a svariate decine di migliaia di veicoli al giorno con punte superiori ai centomila veicoli sulle tangenziali e non può avere alcuna rilevanza sulla decisione di realizzare o meno una qualsiasi infrastruttura.
È stato ripetutamente detto che i trafori esistenti sono prossimi alla saturazione. L’affermazione non trova riscontro nella realtà. Per quanto riguarda la ferrovia, transitano oggi al Moncenisio circa dieci milioni di tonnellate all’anno a fronte di una capacità stimata (prudenzialmente) da Rfi pari al doppio (Tavola 2). Qualora l’evoluzione dei flussi registratasi finora dovesse proseguire nel futuro, il traforo non sarebbe saturato fino a dopo il 2050. Per quanto riguarda i traffici stradali, al Monte Bianco e al Fréjus, si può ritenere che, indicativamente, la capacità disponibile sia utilizzata per non più del 50 per cento, mentre il numero di veicoli pesanti in transito nel 2003 è stato pressoché identico a quello registrato dieci anni prima. Si è affermato che il miglioramento dei collegamenti ferroviari è condizione necessaria per il rilancio economico del Piemonte il cui PIL è cresciuto nel periodo 2001-2004 di un misero 0,2% a fronte del pur modesto 2,4% a scala nazionale. Per dubitare di tale affermazione è utile confrontare la crescita economica recente della Francia, che dispone della migliore rete ad alta velocità in Europa, e quella di Regno Unito e in Irlanda, due paesi “periferici” e dotati di reti ferroviarie di livello qualitativo assai modesto (tra l’altro, il sistema ferroviario francese di alta velocità movimenta oggi solo lo 0,3 per cento del traffico totale di quel paese, a fronte di enormi investimenti).

Un’alternativa ragionevole

È dunque opportuno valutare attentamente la possibilità di adottare una soluzione alternativa al traforo ferroviario, che potrebbe meglio contemperare la necessità delle merci italiane di accedere ai mercati esteri in condizioni ottimali pur in presenza di eventi eccezionali e l’esigenza di limitare l’impatto sulla popolazione locale oltre che quello sul bilancio statale. Questi tre obiettivi potrebbero essere conseguiti qualora si procedesse al raddoppio del tunnel stradale.
L’investimento richiesto sarebbe in tal caso pari a circa il 20 per cento di quello necessario per la realizzazione del tunnel ferroviario e il costo potrebbe essere interamente sopportato dagli utenti dell’infrastruttura che si gioverebbero di un miglior livello di servizio e di un più alto grado di sicurezza rispetto a oggi. La ricaduta sul territorio sarebbe assai più limitata. Non sarebbe infatti necessario realizzare nuove opere lungo la Val Susa: l’autostrada è infatti in grado di assorbire un flusso di traffico assai più elevato di quello attuale. Il mancato trasferimento del traffico pesante dalla strada alla ferrovia non comporterebbe inoltre un impatto negativo molto forte sotto il profilo dell’inquinamento atmosferico. Le emissioni inquinanti dei veicoli di recente costruzione sono assai più contenute di quelle dei mezzi più vetusti. Basti pensare che le emissioni di un solo mezzo a norma Euro 0 equivalgono a quelle di circa dieci mezzi Euro 5. Sebbene fortemente attenuato, l’impatto ambientale del traffico non sarebbe tuttavia annullato. Appare quindi corretto prevedere che gli abitanti delle zone attraversate dell’autostrada vengano compensati economicamente per tale danno. Le risorse da destinare a tale fine dovrebbero essere raccolte tramite un incremento dei pedaggi che sia proporzionale alle emissioni inquinanti dei veicoli. Si tratta di un principio che sarebbe peraltro opportuno applicare non solo in questo al caso: far pagare chi inquina è assai più equo e più efficace (in termini di incentivazione dell’innovazione tecnologica) che non tassare gli inquinati per sussidiare chi inquina meno.

Tavola 1 – Stima dei traffici giornalieri veicoli pesanti al 2015 con e senza la linea ferroviaria Torino – Lione

Fonte: elaborazione su dati CIG

Tavola 2 – Traffico e capacità del traforo ferroviario del Moncenisio

Fonte: elaborazione su dati RFI

Quel tunnel tra Torino e Lione, di Giuseppe Pennisi (28-07-2005)

L’articolo di Francesco Ramella sul collegamento ferroviario Torino-Lione, ed in particolare sul tunnel per attraversare la catena alpina, nella “Newsletter” de La voce.Info del 29 luglio, ha un titolo apodittico: “Quel tunnel non s’ha da fare”. Il contenuto è parimenti apodittico in quanto l’analisi costi benefici- Acb (dicotomica per sua natura) viene presentata in una sua accezione molto semplice senza specificare né di quale tipologia di analisi si tratti (se finanziaria, dal punto di vista dei vari soggetti coinvolti oppure unicamente dal punto di vista di chi dovrà gestire l’investimento, o se economico-sociale, ossia dal punto di vista della collettività) e senza specificare metodo e tecniche per la derivazione di funzione obiettivo e di prezzi ombra. In breve, ci viene mostrata la punta dell’iceberg (un valore attuale netto negativo) senza delinearne il resto e senza suggerire i risultati di un’analisi di reattività e di rischio (tramite, ad esempio, una simulazione di Montecarlo). Qualche decennio di esperienza con la materia mi hanno consigliato ad essere molto più cauto prima di giungere alla formulazione di un giudizio così netto, specialmente quando si è alle prese con un investimento di grandi dimensioni e con caratteri di irreversibilità.

Due opzioni reali

Ad una Acb “tradizionale” economico-sociale probabilmente il valore attuale netto risulterebbe negativo anche ove venissero specificati correttamente sia funzione obiettivo sia metodi e tecniche di derivazione dei prezzi ombra. Tuttavia, proprio le dimensioni e la natura irreversibile dell’investimento impongono di chiederci se il calcolo nudo e crudo dell’indicatore di convenienza (il valore attuale netto) sia sufficiente o se si debba invece tenere anche conto delle opzioni reali che il progetto apre e chiude per le numerose parti in causa (gli stakeholder). Un’Acb estesa alle opzioni reali è, senza dubbio, più complessa, ed anche più costosa, di un mero computo secondo tecniche tradizionali. E’ anche, però, molto più ricca, sotto il profilo delle informazioni che fornisce a chi ha l’onere di decidere se effettuare l’investimento, se posticiparlo (in attesa di studi più approfonditi), se allestirlo in modo differente dallo schema iniziale e via discorrendo.
Proprio del tunnel per la linea ferroviario tra Torino e Lione esistono due Acb estese alle opzioni reali. La prima è uno dei casi di studio nel libro Giuseppe Pennisi e Pasquale Lucio Scandizzo “Valutare l’incertezza- L’analisi costi benefici nel XXI secolo” Giappichelli 2003; la seconda è uno studio di Massimo Centra in corso di pubblicazione nel n. 32 della Rassegna Italiana di Valutazione. Pur seguendo tecniche leggermente differenti, i due lavori arrivano a conclusioni simili: se si tiene conto delle opzioni reali (specialmente di quella di flessibilità, anche per valori moderati della volatilità), il valore attuale netto esteso, diventa positivo ed il progetto merita di essere accettato.
Con ciò non si vuole dire che i calcoli di Ramelli sono errati, ma che prima di giungere a conclusioni occorre un’Acb maggiormente articolata. Il caso del tunnel, anzi, potrebbe il punto di avvio per un dibattito, nella professione, sulle nuove frontiere della valutazione.

La controreplica, di Francesco Ramella (28-07-2005)

Vorrei proporre quattro riflessioni alle obiezioni poste dal Professor Pennisi:

1) I dati riportati nell’articolo non derivano da un’analisi dell’autore ma sono contenuti nella “Relazione del gruppo di lavoro Economia e Finanza” della Commissione integovernativa franco-italiana per la nuova linea ferroviaria Torino – Lione (dicembre 2000).

2) Come indicato nell’intervento, non si tratta di analisi finanziaria ma di una valutazione costi-benefici che consente di calcolare le ricadute positive e negative per l’intera collettività.

3) La cautela suggerita dal Professore Pennisi nel valutare i risultati delle analisi costi-benefici è assai opportuna. Infatti, quasi sempre, in particolare nel settore ferroviario, i costi preventivati sono largamente sottostimati mentre sono sopravvalutati i benefici.

4) L’analisi condotta dai proff. Pennisi e Scandizzo, così come sintetizzata dagli stessi Autori in un articolo apparso sul quotidiano Italia Oggi (6/11/2003) ed in un’intervista al quotidiano Avvenire (12/11/2003), differisce da una valutazione costi-benefici tradizionale per un unico importante elemento rappresentato dal fatto che il nuovo tunnel ferroviario creerebbe “una capacità di offerta di servizi che non sarà saturata per lungo tempo, e quindi una maggior flessibilità per l’intero sistema dei trasporti”. La tesi non è di per sé infondata. Ma, come evidenziato nell’articolo, lo stesso risultato si può conseguire grazie al raddoppio del tunnel stradale con un investimento pari a circa il 20 per cento di quello necessario per la realizzazione del tunnel ferroviario e senza gravare sul bilancio pubblico. Di questi tempi forse non è poco.

Grandi infrastrutture e granitiche certezze, di Marco Ponti (12-07-2004)

Uno dei cardini del programma dell’attuale governo sono stati, e sono tuttora, i grandi progetti infrastrutturali, quasi tutti di trasporto. Per accelerarne l’iter, è poi stata varata la “Legge Obiettivo”.

Grandi, costose e inutili

Le risorse finanziarie pubbliche disponibili sono apparse da subito largamente insufficienti, quindi si è molto puntato sul ruolo dei privati (“Project Financing”). Ma anche su questo versante sono sorti immediatamente gravi problemi, poiché i traffici (reali) previsti sono risultati modesti.
Si è ricorso allora a “privati” che tali non sono, come Fs o Fintecna, e ad ampie garanzie pubbliche per gli investitori, garanzie che di fatto rappresentano una spesa pubblica “mascherata”. Oppure si sono tassati in modo occulto tutti gli utenti, come nel caso degli investimenti di Autostrade per l’Italia, attraverso il rialzo generalizzato delle tariffe su tutta la rete.
Che in tutto il mondo i “grandi progetti” cari ai politici abbiano generato risultati economici generalmente disastrosi, è d’altronde cosa nota agli studiosi del settore. (1)
Tuttavia, nessuno nel governo ha preso spunto da queste vicende per mettere in dubbio la necessità di molte di queste opere (pur essendo lo scarso traffico un forte segnale in tal senso). Gianfranco Miccichè, viceministro per il Mezzogiorno, è stato l’eccezione quando ha dichiarato alla stampa che “(…) il ponte sullo stretto di Messina non è prioritario (…)”, ma solo per il breve spazio di un mattino.
Alcune Regioni, come Umbria e Toscana, non vogliono le opere che le riguardano, perché le giudicano inutili. Le ferrovie hanno tentato invano di proporre al Cipe una soluzione meno costosa del prolungamento dell’alta velocità fino alla Sicilia, perché ritengono che non ci sarà mai abbastanza domanda.
I francesi hanno acconsentito a partecipare alla linea alta velocità Torino-Lione solo dopo che l’Italia, molto generosamente, si è accollata il 63 per cento dei costi (hanno valutato insufficiente il traffico). L’Europa ha accettato di includere il ponte sullo Stretto tra le opere prioritarie solo dopo straordinarie pressioni politiche. Il motivo del diniego era ancora una volta il traffico insufficiente.

Alcuni studi indipendenti fatti dal Politecnico e dall’Università Cattolica hanno dimostrato che per molte opere il rapporto tra costi e benefici è fortemente negativo. Una recente indagine tra gli imprenditori del Mezzogiorno ha confermato il loro scarso interesse per le grandi infrastrutture.
Negli ultimi tempi, però, al governo si è affiancata Confindustria, richiedendo che per le grandi opere non valgano i vincoli di Maastricht (la cosiddetta “golden rule”). Incredibilmente anche l’Ulivo si è unito al coro: per bocca dell’ex ministro dei Trasporti, Pier Luigi Bersani, ha tacciato di inefficienza il governo, e ha promesso molte più grandi opere in caso di vittoria.

Una tentazione irresistibile

La tentazione del cemento si dimostra irresistibile non solo in Italia: la Commissione Van Miert ha presentato uno studio “rigoroso”, da cui risulta che qualsiasi opera è giustificata purché piaccia ai promotori politici.
Perché la tentazione del cemento è così irresistibile? Cerchiamo di capirlo.

· Nessuno saprà che l’opera è uno spreco di preziose risorse: ci vogliono anni a finirla, poi si inaugurerà, e qualcuno la userà (magari il governo è cambiato eccetera). Cioè: visibilità politica immediata, e problemi di efficienza occultati o comunque dilazionati nel tempo. Basta definire “strategica” qualsiasi sciocchezza tecnica.
· Anche i politici locali in genere son contenti (le eccezioni citate confermano la regola). E così le banche che costruiscono i programmi finanziari garantiti, e ovviamente le imprese di costruzione, spesso “vicine” ai politici locali (il settore non è “foot loose”, non si possono acquistare ferrovie o strade già pronte).
· Gli utenti sono comunque contenti (anche se sono troppo pochi per giustificare la spesa).
· Il settore è uno dei pochissimi rimasti in cui si possono spendere molti soldi per il consenso politico, senza incappare in quei noiosi vincoli europei agli aiuti di Stato.

Ma è poi così grave costruire un po’ di opere di dubbia utilità? Prima o poi serviranno comunque. Non sarebbe grave se i soldi pubblici fossero abbondanti, o non vi fossero destinazioni alternative della spesa. O se questa spesa avesse un importante impatto anticiclico, oppure incentivasse straordinariamente il progresso tecnologico del paese, o ne valorizzasse le preziose risorse ambientali.
Ma non esiste nessuna di queste condizioni. I soldi sono scarsissimi, le destinazioni alternative molto più promettenti anche in termini strettamente economici (ricerca, patrimonio artistico-ambientale, e così via). I “picchi” di spesa e di occupazione arriveranno tra molti anni (quando, si spera, il ciclo non continuerà a essere negativo). Il settore delle opere civili è tecnologicamente maturo, molte grandi opere hanno impatti ambientali perlomeno discutibili.
C’è infine il rischio di cantieri aperti con fondi insufficienti a finire le opere con devastanti “stop and go” (cantieri chiusi e riaperti) per anni a venire.
La distruzione di ricchezza realizzata da opere di scarsa utilità economica vanifica ogni contenuto reale di eventuali ricorsi alla “golden rule”.
Ma nessuno lo saprà. L’opposizione apra almeno un confronto serio sulle priorità di spesa e sui modi per valutarle, invece di riproporsi in sciagurati “inseguimenti”.


(1)
Vedi per esempio due recenti ricerche, una tedesca di Werner Rothengatter e una americana di Alan Altshuler. Ma le stesse traversie finanziarie del tunnel della Manica, fallito di fatto due volte per traffico insufficiente, sono un caso emblematico.

Torino-Lione: 13 miliardi spesi bene?, di Andrea Prat (13-05-2004)

13 Maggio 2004

Dopo una serie di false partenze, i Governi di Francia e Italia hanno finalmente firmato l’accordo per la ferrovia ad alta velocità tra Torino e Lione.
Sarà un’opera faraonica con un tunnel di cinquantadue chilometri sotto le Alpi.
Il costo previsto è di tredici miliardi di euro. Ne vale la pena? (1)

Chi userà la nuova linea?

Il risultato principale della nuova linea sarà di fare risparmiare un paio di ore a chi si sposta tra Torino e Lione. Il tempo di percorrenza previsto sarebbe di 1 ora e 45 (anziché le 3 ore e 50 attuali). Per andare a Parigi, ci si metterà circa 3 ore e 30 da Torino e più di 4 ore da Milano
Proviamo a fare un paio di calcoli mettendoci nei panni di un utente che debba scegliere tra aereo e treno. Utilizziamo come confronto l’Eurostar, che collega Londra con Parigi (in 2 ore e 45) e con Bruxelles (in 2 ore e 20).
Se guardiamo al totale dei viaggi aerei o ferroviari, Eurostar controlla una quota del 60 per cento della tratta Londra-Parigi e meno del 50 per cento su Londra-Bruxelles. È ragionevole supporre che, se il tempo di percorrenza del treno è intorno alle 2 ore e 30, alcuni utenti sceglieranno la ferrovia, altri l’aereo.
Ipotizziamo che per tempi di percorrenza minori gli utenti scelgano la ferrovia e optino invece per l’aereo se il collegamento ferroviario è più lento.
Vediamo cosa succederebbe sulla Torino-Lione sotto tali ipotesi.
Con i tempi di percorrenza dell’alta velocità, chi deve spostarsi tra Torino e Lione sceglierà senz’altro il treno. Invece sulle tratte Torino-Parigi e Milano-Lione, treno e aereo si divideranno il mercato, mentre presumibilmente chi va da Milano a Parigi continuerà a prendere l’aereo.
Proviamo a quantificare la domanda potenziale. (2)
Al momento attuale non esiste un collegamento aereo tra Torino e Lione – segno che la domanda di spostamento tra queste due capitali regionali è trascurabile.
Esistono invece trentatré collegamenti aerei settimanali tra Torino e Parigi, per un totale di 188mila passeggeri all’anno (fonte Sagat). I passeggeri tra Milano e Lione sono invece circa 200mila. (3) Se metà dei passeggeri di queste due tratte comincia a utilizzare il treno, avremmo meno di 200mila passeggeri all’anno. Se prendiamo un tasso di sconto del 5 per cento, questo significa spendere 3.750 euro per ogni viaggio di sola andata. E questo solo di investimento fisso. (4)

Questo risultato non va preso alla lettera, ma può farci riflettere sull’ordine di grandezza. Moltiplichiamo pure per dieci il numero di passeggeri previsto sopra: ipotizziamo che la Torino-Lione attiri 2 milioni di passeggeri (quando la Londra-Bruxelles ne ha solo 1.500.000!). Sono ancora più di 350 euro a passeggero per sola andata – una cifra che non ha nessun senso economico in tempi in cui RyanAir ci porta in giro per l’Europa a poche decine di euro.

Meglio una galleria o una università?

Ma allora perché si vuole fare la Torino-Lione?
Le parole chiave sono “prestigio” e “rilancio”. Si pensa che un’infrastruttura di queste dimensioni sia destinata a ridare prestigio a Torino e contribuire al rilancio dell’economia piemontese.
Il fine è lodevole (almeno dal mio punto di vista di torinese), ma siamo sicuri che il modo migliore di ottenere questo risultato sia scavare una galleria di cinquanta chilometri? E se usassimo i tredici miliardi (o anche solo la quota di sei miliardi dell’Italia, più alta del fondo in dotazione al Mit) per creare a Torino un’università a vocazione internazionale?
Con una somma di quel genere, potremmo attirare a Torino i migliori ricercatori europei e ottenere ricadute immense sia in termini di prestigio internazionale che di rilancio economico.


(1)
Si vedano anche i dubbi espressi su lavoce.info a proposito del corridoio Lisbona-Kiev e delle grandi infrastrutture in generale.
(2) La nuova linea potrebbe essere utilizzata anche per il trasporto merci, ma è difficile vedere che differenza possano fare in questo caso due ore in più o in meno.
(3) Dati estrapolati dai primi tre mesi del 2004, fonte Aeroporto di Lione. Per “passeggero” si intende un viaggio di sola andata. Un passeggero che fa andata e ritorno conta doppio.
(4) A giudicare dalle difficoltà finanziarie di Eurotunnel, anche il costo di gestione non è trascurabile.

Torino- Lione: Un po’ di metodo e quattro conti, la replica di Giuseppe Pennini (13-05-2004)

Giuseppe Pennisi

L’articolo di Andrea Prat sulla ferrovia ad alta velocità Torino-Lione (La voce.info del 14 maggio 2004) suscita perplessità di metodo e di quantizzazioni . Sotto il profilo del metodo, è difficile comprendere come e perché raffrontare i 13 miliardi (costo stimato della ferrovia) con un ipotetico impiego alternativo delle risorse quale l’istituzione a Torino di un’università a vocazione internazionale tale da attirare i migliori ricercatori internazionali. Tale raffronto può essere, al più, una mera boutade giornalistica priva di fondamento di analisi economica. Come è noto, infatti, l’analisi costi benefici (l’approccio a cui Prat fa riferimento) è dicotomica: fornisce risposte o negative o positive nei riguardi di un progetto (od una politica specifica) oppure (con alcune varianti tecniche) di alternative di disegno progettuale. Non può essere utilizzata – è un limite dello strumento- per raffrontare progetti o politiche alternative in settori differenti.

Altre perplessità sorgono ad un esame delle quantizzazioni “economiche” ipotizzate da Prat: le cifre paiono riferirsi ad un’analisi finanziaria relativa ad una sola categoria di utenza non ad un’analisi economica basata su calcoli (più o meno elaborati) del soprappiù del consumatore per differenti categorie di utenti. Lo conferma il fatto che i calcoli non includono voci pertinenti quali le esternalità tecnologiche e le interdipendenze.

Altre perplessità vengono dal fatto che Prat pare non conoscere la vasta letteratura sulla materia ed in particolare le analisi della ferrovia Torino-Lione effettuata tramite il metodo delle opzioni reali – ossia un approccio che tiene conto delle opportunità di lungo periodo derivanti dal progetto. Secondo stime pubblicate da Pasquale Lucio Scandizzo e da me nel libro “Valutare l’incertezza” , Giappichelli 2003 (a pp. 346-355) , mentre gli indicatori di convenienza economica risultano negativi ad un’analisi costi benefici tradizionale, essi risultano molto positivi ad un’analisi estesa alle opzioni reali; i calcoli sono disponibili, oltre che nel libro, in articoli ed interviste apparsi sulla stampa quotidiana (ad esempio, “ItaliaOggi”, “Avvenire”, “Il Giornale”). Seguendo un percorso leggermente differente, arriva a conclusioni analoghe uno studio dell’economista Massimo Centra, presentata al recente Congresso Scientifico dell’Associazione Italiana di Valutazione (Aiv) e disponibile sia al sito dell’Aiv sia a quello della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione (Sspa).

E’ di certo auspicabile un dibattito sui meriti economici delle grandi infrastrutture: a mia memoria l’ultimo che ha interessato i media risale al lontano 1987 e riguardava la conversione della centrale termonucleare di Montalto di Castro. Se si confondono i lettori con battute prive di fondamento metodologico, non si fa un servizio utile a nessuno.

La controreplica di Andrea Prat (13-05-2004)

(1) Ma certo: la mia analisi e’ solo una rozza approssimazione — tanto per avere un’idea degli ordini di grandezza. Pero’, come Pennisi sapra’, una seria analisi costi/benefici esiste. E’ stata fatta dall’Ispettorato Generale delle Finanze del Governo Francese (che ha un’enorme esperienza di grandi progetti ferroviari). Lo studio consiglia di lasciare perdere, almeno nel breve-medio termine, proprio perche’ non sembra esserci sufficiente domanda. Il testo completo e’ disponibile in francese

(2) Non capisco la critica metodologica all’idea di confrontare i benefici di spendere N miliardi per una ferrovia e N miliardi per un’universita’ (o per qualsiasi altro impiego alternativo). Ovviamente e’ un confronto difficile, ma proprio per questo va fatto. Andiamo pure al di la’ della “boutade giornalistica”, ma per favore cerchiamo di capire qual e’ l’impiego migliore per questi 13 miliardi!

In alcuni commenti si sostiene che uno dei vantaggi della To-Lione sarebbe quello di aumentare la capacita’ di trasporto merci via ferrovia tra l’Italia e i paesi transalpini. Pero’, al momento l’offerta e’ di gran lunga superiore alla domanda. Il gia’ citato rapporto del governo francese (p. 36, “Les projets ferroviaires”), dopo avere esaminato i dati disponibili, conclude: “E’ dunque molto improbabile che le infrastrutture esistenti siano saturate entro il 2015 ed e’ ancora troppo presto per prevedere quando la saranno”. Quindi, per quanto e’ dato sapere, sarebbe sorpendente se la nuova ferrovia recasse grossi benefici dal lato del trasporto merci.

Grazie ancora,

Andrea

La leggenda del corridoio Lisbona-Kiev, di Marco Ponti (27-03-2003)

Lo sviluppo di infrastrutture di trasporto “degne di questo nome” nella Unione europea è considerato strategico in termini funzionali, per sviluppare cioè efficienti catene di trasporto per le imprese e i consumatori. In presenza dei vincoli di Maastricht (1991), si tende anche ad assegnare una funzione anticongiunturale alla realizzazione dei grandiosi investimenti infrastrutturali e tecnologici necessari ad aumentare la capacità e ad adeguare gli standard di sicurezza e ambientali dell’insieme dei sistemi di trasporto della Unione europea.

Le difficoltà incontrate nella realizzazione dei quattordici progetti di Rete transeuropea (Ten, Transeuropean network) individuati come prioritari nella conferenza dei Capi di governo della Ue (Essen, 1994) sono rimaste sostanzialmente irrisolte (per non dire amplificate per quanto riguarda le effettive capacità di finanziamento) nello sviluppo della decina di corridoi multi-modali individuati dalla conferenza pan-europea di Helsinki (1997) in contemporanea con l’avvio del processo di allargamento della Unione ad Est.

Senza entrare in questa sede nel merito del ruolo dell’Unione europea a supporto degli investimenti nei trasporti in assenza di capacità di prelievo e spesa (tutte saldamente in mano agli stati membri), quanto segue analizza il concetto stesso di corridoio applicato al Corridoio V di Helsinki, originalmente concepito per collegare Trieste-Lubiana-Budapest-Leopoli (con diramazioni Rijeka, e Ploce) e poi progressivamente trasformatosi in “corridoio Lisbona Kiev”.

La nozione di corridoio

La nozione di corridoio è assolutamente ragionevole al fine di garantire che le scelte di investimento dei diversi Paesi interessati siano coerenti (per esempio, per evitare che un Paese costruisca una ferrovia verso un valico mentre il Paese confinante realizza un’autostrada). Detto questo, i “corridoi” non hanno in sé senso funzionale. Infatti i traffici che li interessano sono per il 95 per cento interni ai Paesi coinvolti, quindi non transfrontalieri. I problemi eventuali dei traffici di lunga distanza sono in grandissima parte generati dalla congestione sulle reti regionali (il passante di Mestre nel caso del Corridoio V) e dunque la loro soluzione passa per miglioramenti nelle reti regionali. Ma i traffici di transito non giustificano di per se stessi investimenti “interni” ai singoli Paesi.

Perché i traffici “di lunga distanza”, che motiverebbero il concetto di corridoio, sono particolarmente irrilevanti sull’asse Lisbona-Kiev? Proviamo a elencarne analiticamente le ragioni.

Il traffico passeggeri di lunga distanza, oltre che essere esiguo rispetto ai movimenti interni a un Paese o a una regione, si muove e si muoverà in aereo. Oltre i 500 km neppure le ferrovie ad alta velocità sono competitive con l’aereo, soprattutto in un contesto liberalizzato, cioè con tariffe “low cost” e non più con le attuali tariffe delle iperprotette compagnie di bandiera che ancora dominano l’offerta per questo tipo di utenza.

I traffici merci di lunga distanza sono anch’essi esigui e tali rimarranno: il Portogallo e l’Ucraina avranno comunque scambi modesti in volume. Per questo traffico la ferrovia è la soluzione ideale (anche per ragioni ambientali). Ma per i servizi ferroviari merci la velocità non è un requisito (si veda il successo delle ferrovie statunitensi, con velocità commerciali di trenta km/h). Gli itinerari possono essere i più svariati e i costi aumentano in modo non proporzionale alla distanza. Inoltre, sull’asse Lisbona-Kiev l’alternativa marittima è fortemente competitiva a quella ferroviaria.

I traffici “di breve distanza” cioè “transfrontalieri” sulla intera estensione di un corridoio sono certo molto più consistenti. Ma ciò costituisce proprio la smentita funzionale del corridoio. Sono traffici consistenti tra ogni coppia di Paesi, in ogni direzione: per l’Italia anzi dominano i traffici nord-sud, ortogonali a quelli del Corridoio V. Meglio sarebbe quindi considerare l’opportunità di realizzare “maglie” europee imperniate sui singoli Paesi, anziché su “corridoi”.

Fondi europei e infrastrutture italiane

Ma allora perché questo furore nazionalistico, perché paventare un’alternativa di corridoio a nord delle Alpi come una barriera in grado di isolare l’Italia dall’Europa?

La ragione è semplicissima, e ha a che vedere con il timore che vengano meno i fondi europei per gli investimenti italiani nel corridoio, specificatamente per il nuovo valico ferroviario del Fréjus (per il quale i francesi hanno emesso recentemente una valutazione di scarsa priorità) e per la linea alta velocità Torino-Trieste, cioè per infrastrutture che interessano tutt’al più noi, non certo gli scambi Lisbona-Kiev.

Non è una motivazione ignobile. Tuttavia, sarebbe assai più efficace dimostrare la validità delle infrastrutture che ci interessano (qualsiasi ne sia l’orientamento geografico) con accurate analisi economiche e finanziarie, e richiedere che le scelte europee siano basate su queste. Esistono, tra l’altro, solidi modelli di previsione di traffico per l'”Europa estesa a Est”, che consentono valutazioni non arbitrarie delle priorità infrastrutturali.

Altrimenti, c’è da chiedersi perché limitare il corridoio alla provinciale dimensione europea? Non è più efficace parlare di un corridoio Lisbona-Pechino? In termini funzionali, i contenuti non sarebbero molto diversi.

Per saperne di più:

il Parlamento italiano l’anno scorso ha ratificato l’accordo tra Governo italiano e Governo francese per la realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino-Lione fondamentale per la realizzazione del corridoio V. Il 26 marzo il Governo ha dato l’annuncio che “un primo tratto italiano della linea ferroviaria ad alta velocita’ Torino-Lione avra’ presto il suo via libera con l’apertura della galleria di Venause, ultimo paese della Val di Susa”.

visitate il sito dell’ Unione Europea attività trasporti, dove si trova anche un link al Libro bianco con gli ultimi orientamenti sulla politica dei trasporti

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