Polemiche pretestuose

Ritorna puntuale la polemica sull’inflazione. A provocarla questa volta è stato un errore commesso dall’Istituto centrale di statistica nel calcolo dell’indice dei prezzi al consumo relativo a gennaio: un calo nei prezzi dei farmaci – prezzi regolamentati – è stato inizialmente imputato a questo mese anziché a febbraio. Convenzionalmente, si attribuiscono al mese di riferimento tutte le variazioni intercorse tra il 15 di quel mese e il 15 del mese precedente. Nel caso in questione, il decreto che delibera la riduzione è dell’inizio di gennaio, ma la variazione è diventata effettiva dal 16 di gennaio e pertanto deve essere attribuita all’indice di febbraio. Una associazione di consumatori ha notato l’errore, l’Istat lo ha riconosciuto e ha immediatamente modificato la statistica. Così aggiustato, il tasso di inflazione di gennaio è rimasto costante al 2.8 per cento anziché flettere al 2.7. La differenza, di per sé, non modifica la sostanza di fondo dell’inflazione italiana. L’indice errato, però, segnalava una svolta (ancorché dovuta a una riduzione di un prezzo amministrato) nella dinamica dei prezzi, che si è invece avuta in febbraio sulla base dei dati preliminari. Ma tutto ciò è stato sufficiente a riproporre critiche severe nei confronti dell’Istat e polemiche pretestuose da parte di produttori di statistiche alternative sui prezzi al consumo di dubbia qualità ( vedi Trivellato).

Rilievi sbagliati

Produrre un dato errato sull’indice dei prezzi al consumo è senz’altro un fatto grave: questo indicatore è diventato una statistica molto sensibile, non solo perché a esso sono legati numerosi contratti, ma perché alle “news” del tasso di inflazione reagiscono i mercati finanziari. Per di più, assenti le indicizzazioni, le famiglie sono diventate molto più attente all’inflazione. La sua affidabilità è pertanto essenziale. Ancor più grave sarebbe se dietro l’errore ci fosse del dolo, come alcune letture della stampa sembravano lasciare intendere. Ma non è chiaro chi in questo caso possa guadagnare dall’anticipare il punto di svolta della dinamica dei prezzi da febbraio a gennaio. È molto probabile, quindi, che si sia trattato di una svista, tanto più che gennaio, per una serie di ragioni tecniche, è un mese gravoso per il calcolo dell’indice. Più preoccupante è la critica di incompetenza rivolta all’Istituto. Avanzata anche in questa occasione, segue le critiche dei mesi precedenti sulla pretesa incapacità dell’Istat di misurare il “vero” tasso di inflazione, che sarebbe poi quello “percepito” dai consumatori. Tra i vari rilievi mossi, uno di Massimo Riva su “la Repubblica”, merita attenzione. Riva evidenzia come l’Istat rilevi i prezzi dei beni amministrati sulla Gazzetta ufficiale, anziché sul mercato come fa con gli altri beni. Questo fatto segnalerebbe la scarsa competenza dell’Istituto e la poca credibilità dell’indice che esso produce. Le cose stanno diversamente. I prezzi amministrati vengono rilevati sulla Gazzetta ufficiale, come Massimo Riva riporta. Ma è una scelta dettata dalla metodologia di calcolo dell’indice ed è inoltre motivata: sul mercato vengono rilevati i prezzi liberi, che si formano senza vincoli nel luogo dove domanda e offerta interagiscono. Sulla Gazzetta ufficiale i prezzi dei beni amministrati, che – per definizione – non rispondono a stimoli di mercato ma vengono fissati d’imperio. L’Istat li rileva, per così dire, alla fonte, perché in questo modo si ha certezza del prezzo, non si introducono inevitabili errori di misura e, fatto non trascurabile, si economizza in costi di rilevazione. Non avrebbe alcun senso, ma sarebbe molto costoso, andare in giro per le farmacie di mezza Italia a rilevare il prezzo di un farmaco soggetto a controllo pubblico. Si troverebbe che (salvo aberrazioni o errori di rilevazione) è uguale ovunque. Lo stesso vale per le sigarette, i biglietti dei treni etc.

Conclusione. La metodologia del calcolo dell’indice dei prezzi al consumo è chiaramente criticabile come qualunque convenzione su cui si fondano numerose statistiche. Ma chi lo fa deve farlo in modo serio e competente. Si finisce altrimenti per gettare discredito su una istituzione e su una statistica che dovrebbe al contrario godere della massima fiducia. Ad oggi non vi è nessuna ragione seria per pensare che l’indice dei prezzi al consumo fornisca una visione distorta della dinamica dell’indice medio del costo della vita.

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