Gestione diretta di Anas per la Venezia-Padova. Potrebbe essere l’occasione per iniziare ad applicare tariffe determinate con l’obiettivo di promuovere l’efficienza allocativa del traffico, per ridurre la congestione, ad esempio separando il più possibile il traffico pesante da quello delle auto. Ma il rinnovo della concessione per la Cisa e la Brescia-Padova contraddice questa scelta. E ripropone la questione della riforma del settore, magari seguendo le indicazioni contenute nel Piano generale dei trasporti del 2001. Price cap compreso.

Alcune recenti decisioni dell’Anas sono indicative della mancanza di un chiaro indirizzo politico sulla gestione futura delle nostre autostrade e dell’urgente necessità di rivedere le pratiche correnti di regolazione delle tariffe e di assegnazione delle concessioni.

Subentri e proroghe

Nel caso della Venezia-Padova (che gestisce, dal 1933, poco più di 30 km) l’Anas ha deciso di subentrare nella gestione alla scadenza della concessione, a fine 2009. L’alternativa avrebbe potuto essere quella di mettere a gara una nuova concessione, assegnandola al gestore che avrebbe offerto il prezzo più alto. Osserviamo che, una volta completato l’ammortamento finanziario, i costi operativi (manutenzione ed esazione) assorbono solo una quota modesta dei ricavi, in genere attorno al 25-30 per cento; mantenendo in vigore gli attuali pedaggi si avrebbe un considerevole “extra profitto”. Mettere a gara il rinnovo della concessione, senza alcuna modifica del sistema dei pedaggi, sarebbe stato allora come vendere il flusso futuro atteso di tali extra-profitti, che non pare certo una pratica capace di tutelare i consumatori o che si raccomandi sul piano allocativo.
L’assunzione della gestione diretta da parte dell’Anas potrebbe essere invece un’occasione importante per iniziare ad applicare tariffe determinate non con l’obiettivo di coprire i costi, bensì con quello di promuovere l’efficienza allocativa del traffico, per ridurre la congestione, ad esempio separando il più possibile il traffico pesante da quello delle auto. [link Boitani 17 febbraio 2006].
Del tutto contrastante appare invece la decisione di prorogare di ventitre anni la concessione della Brescia-Padova, a fronte di nuovi investimenti per 1.357 milioni, e di ben trentaquattro anni quella della Cisa, a fronte di nuovi investimenti stimati in 1.800 milioni.

Scarsa trasparenza

I nuovi investimenti avrebbero potuto benissimo essere avviati e finanziati senza prorogare le concessioni: bastava allungare la scadenza del piano finanziario oltre quella della concessione, fissando l’indennizzo dovuto al concessionario uscente.
La giustificazione addotta è che queste opere erano già previste dalle rispettive concessioni, anche se mai inserite nei piani finanziari perché non autorizzate. Si tratta in realtà di una sostanziale violazione dello spirito delle norme europee e della stessa direttiva Costa-Ciampi del 1998, le quali impongono che concessioni relative a nuove opere vengano assegnate mediante gara.
La procedura seguita non consente una valutazione trasparente dei costi delle nuove opere, quale potrebbe aversi invece con appalti pubblici. Di quanto avremmo potuto ridurre i pedaggi, se al termine delle due concessioni, 2013 e 2010 rispettivamente, il rinnovo fosse stato messo a gara? La proroga delle concessioni è uno degli aspetti meno trasparenti della regolamentazione. Nel 1998, la direttiva Costa-Ciampi stabiliva che proroghe delle concessioni potessero essere “eccezionalmente” accordate “(…) al solo fine di risolvere transattivamente il contenzioso formalmente insorto (…) sino al 30 giugno 1998”.
In realtà, oltre che per sanare il contenzioso, quasi tutte le concessionarie sono riuscite a ottenere, nel 1999-2000, lunghe proroghe per finanziare nuovi investimenti (ancor oggi largamente incompiuti), in molti casi sulla base di programmi generici nemmeno assoggettati ad analisi costi-benefici. Ma quello che premeva alle concessionarie era proprio la proroga della concessione, per allontanare nel tempo lo spauracchio della gara.
Per finanziare i nuovi investimenti proposti dalle concessionarie sono stati concessi anni di proroga, in genere proporzionali al rapporto tra il costo (previsto) degli investimenti e il margine operativo lordo (media tre anni precedenti), criterio che era stato stabilito dalla direttiva Costa-Ciampi per sanare il contenzioso. La sua applicazione si è poi rivelata incredibilmente generosa per le concessionarie, poiché i Mol sono aumentati moltissimo, dal 2000 in poi, per l’aumento del traffico, l’inflazione e i premi di qualità.
Ma a fronte dei nuovi investimenti previsti vengono consentiti alle concessionarie anche aumenti di tariffa, che assicurano il recupero dell’investimento e un rendimento del 7-7,5 per cento: un rendimento in termini reali (i pedaggi sono indicizzati all’inflazione) che non ha l’eguale in altri settori, considerata la totale assenza di rischi. Ex post, poi, il rendimento risulta molto maggiore, per premi di qualità e per incrementi di traffico superiori alle molto prudenti previsioni dell’Anas. Non c’è da stupirsi che tutti vogliano investire in autostrade, e che le azioni delle concessionarie vengano scambiate a prezzi mirabolanti.
Una profonda riforma del settore appare necessaria e urgente. Occorre “sollevare” le concessionarie dal “rischio traffico”, sul quale non hanno alcuna influenza, e rivedere gli incentivi alla qualità, che hanno determinato continui e consistenti aumenti di tariffa senza alcun riscontro in aumenti di costo. Sembrerebbe, in sostanza, opportuno tornare alle indicazioni a suo tempo fornite dal Piano generale dei trasporti (2001), secondo cui il compenso percepito dai concessionari dovrebbe essere basato su un price cap, integrato con incentivi all’efficienza mirati a specifici aspetti della gestione sui quali il concessionario ha un effettivo controllo, mentre le tariffe all’utenza sono fissate in base a criteri di efficienza allocativa dell’intera rete autostradale e stradale di bacini di traffico individuati secondo serie e approfondite analisi dei flussi effettivi.

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Il commento di Marco Ponti

L’Opinione del prof. Ragazzi su ANAS e le concessioni, del 26-4, appare estremamente preoccupante. Segnala infatti un sostanziale aggiramento di una legge italiana, che avviene senza alcun dibattito, e senza che nessuno si opponga (il settore è al di fuori dell’ambito di intervento dell’Antitrust, trattandosi di concessioni pubbliche regolate, e manca di un’autorità regolatoria indipendente).
Si deve notare che sui media, anche specialistici, queste notizie sono apparse con minimo risalto, in poche righe palesemente frettolose. Eppure si tratta di operazioni economiche rilevantissime, che mantengono in un’area “grigia” di stretti e impropri rapporti tra soggetti pubblici e interessi privati (o pubblici che si comportano come tali) flussi di investimenti e poi di pedaggi per miliardi di Euro. Appare evidente la volontà di dare meno pubblicità possibile a queste operazioni. L’”asimmetria informativa”, usata strategicamente, anche nella letteratura economica è uno degli strumenti con cui il monopolista “cattura” il regolatore, che in questo come in altri casi, appare ben felice di farsi catturare.
Purtroppo l’anomalia del settore non si limita a quanto segnalato da Ragazzi, ma si estende anche ai criteri di definizione e di valutazione degli investimenti, che sono in qualche modo l’alibi con il quale la legge è aggirata.
Segnalerò, a titolo di esempio, l’autostrada Livorno-Civitavecchia, recentemente approvata dopo un pubblicizzato dibattito sul tracciato (interno o costiero?). Ma assai minor pubblicità è stata data alla valutazione economica e funzionale dell’opera, che può essere definita un caso clamoroso di ipocrisia per aggirare non una legge, ma in questo caso la decenza.
L’autostrada affiancherà per gran parte del tracciato la via Aurelia, poco trafficata escluso in alcuni week end estivi, con caratteristiche che consentono elevate velocità, e quasi tutta a quattro corsie di marcia. Presenta una serie di intersezioni a raso, molto pericolose proprio date le alte velocità in gioco, e manca spesso di barriere spartitraffico. E’ ampiamente sufficiente per il traffico dei decenni futuri mettere in sicurezza le intersezioni, fare le barriere metalliche dove mancano, e raddoppiare il tratto più stretto. Tanto che un’analisi indipendente ha dimostrato che un tracciato interamente nuovo presenterebbe scarsissima senso economico e funzionale, e richiederebbe un fiume di denari pubblici per finanziarsi (anche perché l’intero traffico merci userebbe il vecchio tracciato per evitare l’inutile pedaggio). Che fare? I progettisti e i promotori hanno fatto un’ analisi costi-benefici, assumendo in modo del tutto irrealistico (e “mascherando” la speciosa assunzione in poche righe del voluminoso testo), che sul tracciato esistente (quasi tutto a quattro corsie, e con scarso traffico….) siano posti limiti di velocità a 30-40 km-ora, e sia trasformato in “strada parco”. Ovviamente con questa assunzione la nuova opera si giustificherebbe.
Ogni commento ulteriore sembra superfluo…..anche perché se poi per le più che giustificate resistenze dei camionisti queste limitazioni di velocità non verranno applicate, scatteranno adeguate garanzie pubbliche sull’ammortamento dell’inutile opera. E ciò, senza neppure mettere sul tavolo le argomentazioni ambientali, forse non ingiustificate in quel territorio, uno dei più intatti del paese.

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