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Cinque punti senza salti

La riduzione di cinque punti del cuneo contributivo sul costo del lavoro ha varie controindicazioni. Per superarle, si può ipotizzare una progressività per scaglioni del contributo: aliquota ridotta fino a una determinata soglia del salario, normale sull’altra parte. In termini di aliquota media, la riduzione contributiva sarebbe così decrescente in modo continuo al crescere del salario. Il costo della riforma sarebbe di 7,7 miliardi. Ma con effetti positivi sull’occupazione. E coinvolgendo gli autonomi, si andrebbe verso un sistema previdenziale più omogeneo.

Tra le proposte contenute nel programma del centrosinistra quella che forse ha ricevuto più attenzione è la riduzione di cinque punti del cuneo contributivo sul costo del lavoro, ferma restando l’aliquota di computo rilevante ai fini del calcolo della pensione contributiva.

Solo per bassi salari

L’obiettivo è ovviamente quello di ridurre i costi e migliorare la competitività delle imprese. Le controindicazioni sono varie: la difficoltà di reperire risorse per coprire la perdita di gettito (valutata in circa 10 miliardi), i possibili riflessi sul sistema previdenziale derivanti dalla rottura del legame tra contributi e prestazioni e gli stessi effetti sul costo del lavoro nel lungo periodo (che si annullerebbero se il beneficio si traslasse sui salari). Tutte considerazioni che spingono nella direzione di “limitare la decontribuzione soltanto ai percettori di salari bassi”.
In che modo? Una prima possibilità è ridurre l’aliquota contributiva solo per i salari inferiori a una certa soglia. Il vantaggio principale è che, potendo concentrare il beneficio, la perdita di gettito sarebbe relativamente bassa. Si potrebbe avere anche un importante effetto favorevole all’emersione del lavoro nero: dal punto di vista del datore di lavoro, perché l’aliquota sarebbe più bassa di quella attuale; dal punto di vista del lavoratore, per il sussidio alla propria futura pensione determinato dalla differenza tra aliquota di computo e aliquota effettiva. D’altro canto, non appena il salario dovesse superare la soglia prefissata si perderebbe interamente ogni beneficio: in termini tecnici si avrebbe un’aliquota contributiva marginale, in corrispondenza della soglia, superiore al 100 per cento. Ciò naturalmente determinerebbe una “trappola della povertà“, con un insormontabile disincentivo a progredire verso lavori meglio retribuiti (almeno in modo palese).

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Progressività per scaglioni

La soluzione ovvia è quella di una progressività per scaglioni del contributo: un’aliquota ridotta sui primi x euro di salario, l’aliquota normale sulla parte del salario superiore a x. La riduzione contributiva – in termini di aliquota media – sarebbe così decrescente in modo continuo, senza salti, al crescere del salario. La riforma equivale alla concessione di un sussidio in somma fissa, pari allo sgravio contributivo sui primi x euro di salario, per tutti i lavori con un salario superiore a x.
A titolo esemplificativo, abbiamo considerato una riduzione dell’aliquota contributiva sui lavoratori dipendenti dall’attuale 32,7 al 19 per cento per i primi 7.150 euro di salario annuo (ovvero 550 euro di salario mensile). Ciò corrisponde a un sussidio in somma fissa di 980 euro su base annua. L’aliquota media contributiva sarebbe del 27,6 per cento per il salario mediano e del 28,2 per cento per il salario medio, con uno sgravio rispettivamente di 5,1 e 4,5 punti. Nella proposta originaria, lo sgravio sarebbe di cinque punti per tutti i livelli di salario. Qui, invece, si avrebbe uno sgravio superiore ai cinque punti per la metà di lavoratori con i salari più bassi e inferiore per l’altra metà di lavoratori. Si avrebbe così un andamento regolare dell’aliquota media come indicato nel grafico. Secondo le nostre stime, il costo della riforma (al netto dell’incremento delle imposte sul reddito) sarebbe di 7,7 miliardi di euro.
I vantaggi sarebbero numerosi. Innanzi tutto, gli effetti sull’occupazione: secondo le teorie moderne del mercato del lavoro (che abbandonano l’ipotesi di concorrenza perfetta), una maggiore progressività conduce a una riduzione dei salari e a una crescita dell’occupazione. Lo sgravio in somma fissa nel lungo periodo si scaricherebbe, in altre parole, sul costo del lavoro e non comporterebbe un aumento del salario netto. Non vi sarebbero poi disincentivi, maggiori di quelli attuali, a dichiarare un salario più elevato di quello corrispondente alla soglia. Anzi, si eliminerebbero gli incentivi attuali a utilizzare forme contrattuali atipiche al solo scopo di pagare meno contributi. Attualmente i subordinati atipici (i co.co.co) pagano un’aliquota del 17,30 per cento che è già previsto debba gradualmente aumentare al 19 per cento.
I riflessi sul sistema pensionistico sarebbero del tutto trasparenti: la fiscalità generale darebbe un contribuito uguale per tutti i lavoratori all’accumulazione di diritti pensionistici. Il legame tra contributi versati e pensione ricevuta a livello del singolo individuo rimarrebbe ben solido ed evidente.
Il problema della copertura finanziaria potrebbe essere in buona parte risolto applicando un analogo schema contributivo, con la stessa aliquota iniziale, ma un’aliquota sul secondo scaglione inferiore, anche ai lavoratori autonomi che attualmente pagano il 17,39 per cento e ai co.co.co. Secondo i nostri calcoli una struttura a due aliquote, la prima del 19 per cento e la seconda più elevata, per il complesso del lavoro autonomo darebbe un incremento netto di gettito contributivo valutabile in circa un miliardo per ogni punto di maggiorazione della aliquota.
Si andrebbe così verso un sistema previdenziale più omogeneo: si avrebbe la stessa aliquota contributiva per le retribuzioni più basse, a prescindere dalla forma contrattuale del rapporto di lavoro; il regime contributivo ma anche le prestazioni pensionistiche per autonomi e co.co.co. si avvicinerebbero a quelle dei dipendenti. Si avrebbe caso mai un moderato incentivo verso il rapporto di lavoro dipendente poiché quest’ultimo godrebbe di un maggiore sussidio pensionistico dalla fiscalità generale.

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Aliquota contributiva media sul salario mensile

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No, il dibattito no!

  1. Bruno A.

    Per correttezza d’informazione faccio notare che i “subordinati atipici” (co.co.co.) privi di altra copertura contributiva e non titolari di trattamenti pensionistici diretti pagano attualmente (ovvero per l’anno 2006), una aliquota contributiva totale minima del 18,20% di cui il 17,70% per la sola IVS.
    L’aliquota attuale per i titolari di attività commerciali di qualunque età e per i collaboratori di età superiore ai 21 anni è il 17,79%, di cui lo 0,09% però relativo alla cd “rottamazione delle licenze” e non pensionabile.
    Le aliquote citate nell’articolo si riferiscono invece al 2004.
    Cordiali saluti.

    • La redazione

      Il lettore ha ragione, le aliquote da noi citate sono in effetti quelle del 2004. In compenso, la simulazione degli effetti quantitativi è stata condotta a partire dalle aliquote aggiornate che coincidono con quelle indicate dal lettore.

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