L’assenza di un confronto con il mercato rischia di vanificare il risanamento di Poste italiane, proprio quando la liberalizzazione diviene ineludibile e la concorrenza inizia a essere efficacemente tutelata. Dalla riorganizzazione dei servizi postali non sono derivati guadagni di efficienza, che avrebbero potuto essere trasferiti almeno al contribuente, riducendo l’onere sulla finanza pubblica. Una seria riforma del mercato e della regolazione è indispensabile e non può essere ulteriormente subordinata alle esigenze dello Stato-proprietario.

Quando il Governo Ciampi nel 1993 iniziò la trasformazione dei servizi postali, il dubbio se fosse meglio avviare la riforma partendo dall’azienda oppure dal mercato, non si sarebbe potuto porre. L’azienda pubblica era monopolista per legge o di fatto nel mercato del recapito. Oltre tutto, un monopolista molto inefficiente, che aveva accumulato, in un terzo di secolo di passivi di bilancio, un deficit complessivo di oltre 50 mila miliardi di lire. Da qui l’urgenza di riformare l’azienda.

La riorganizzazione dell’azienda pubblica

Da allora molti passi in avanti sono stati fatti: la vecchia amministrazione postale è stata trasformata nel 1994 in ente pubblico economico e nel 1998 in spa; l’azienda è stata dotata di una gestione manageriale che ha in pochi anni profondamente riorganizzato i processi produttivi, informatizzato e messo in rete i quattordicimila uffici postali, ridotto il personale da 230 a 150mila unità, migliorato sensibilmente la qualità del recapito, introdotto nuovi servizi e accresciuto i livelli produttivi nel settore dei servizi finanziari, avviando un’accesa concorrenza col sistema bancario, raggiunto nel 2001 e incrementato negli anni successivi un buon attivo di bilancio (con un Roi del 27 per cento nel 2004). Come ciliegina su questa torta si è anche ipotizzato l’avvio di un processo di (parziale) privatizzazione.

Le condizioni per una liberalizzazione effettiva

Missione compiuta, dunque? No, perché la riforma si è dimenticata del (libero) mercato, che in Italia, di fatto, continua a non esistere, ma che inizia ad affiorare altrove.
Il legislatore europeo con una direttiva del 1997 ha creato un varco nel monopolio legale, poi allargato con una direttiva successiva, sino a pervenire con l’inizio del 2006 a un’apertura del mercato di circa il 25-30 per cento. La piena liberalizzazione è stata realizzata in Svezia e Finlandia da più di un decennio, e il 1° gennaio 2006 è entrata in vigore in Gran Bretagna, mentre in Germania e Olanda è prevista all’inizio del 2007. Tra poco meno di un anno, circa il 60 per cento del mercato postale dell’Unione Europea a quindici riguarderà Stati totalmente liberalizzati.Ed entro il 2006 l’Unione Europea dovrà confermare l’ipotesi di piena liberalizzazione nei 25 Stati per il 2009.
Queste tendenze implicano che, prima o poi, non vi potrà essere riserva legale di alcun tipo, neppure in Italia. E che i risultati del risanamento, ottenuti in regime di monopolio, debbano essere riletti alla luce di un futuro regime di concorrenza: i livelli di traffico, i ricavi e gli utili attuali sono difendibili in un mercato liberalizzato? L’attivo conseguito in un sistema protetto potrebbe rivelarsi effimero e il risanamento aziendale non fondato su basi solide.
La tendenza alla progressiva apertura del mercato non implica che debbano essere rimosse solo le barriere legali, ma richiede anche scelte, in tema di regolazione di settore e tutela della concorrenza, coerenti con la liberalizzazione. La loro mancata adozione in Italia ha favorito sinora l’apparente risanamento dei conti aziendali al costo, tuttavia, di impedire un’effettiva concorrenza nei segmenti già legalmente liberalizzati. In particolare:

i) La definizione delle norme che regolano il mercato deve essere neutrale rispetto agli interessi degli operatori, e non subordinata alla esigenze dell’azienda pubblica. Questo non si è sinora verificato: quando il Governo D’Alema recepì, nel 1999, la prima direttiva comunitaria sui servizi postali, adottò la scelta paradossale di ampliare notevolmente il perimetro della riserva legale, sfruttando l’ampiezza massima che la direttiva permetteva in via transitoria.
ii) Nei segmenti liberalizzati del mercato del recapito le barriere legali non debbono essere sostituite da comportamenti, dell’azienda pubblica o del regolatore, lesivi della concorrenza. Due esempi: il recapito di giornali e riviste è liberalizzato, ma lo Stato concede agli editori tariffe molto ridotte, con oneri a carico del suo bilancio, solo se si avvalgono dell’azienda pubblica. E la posta elettronica ibrida, che nasce in formato elettronico ed è poi convertita in formato cartaceo, è soggetta a riserva solo nella fase del recapito, ma la possibilità di un’effettiva concorrenza nelle fasi a monte, liberalizzate, è stata pesantemente ostacolata da una condotta di Poste che si è tradotta “(…) in un’estensione impropria dell’area di riserva nei confronti dei servizi liberalizzati, quali (…) la formazione e produzione della posta elettronica ibrida”, come evidenziato dall’Autorità garante della concorrenza nell’avvio di un procedimento per abuso di posizione dominante che è prossimo alla conclusione.
iii) È indispensabile attivare una regolazione tecnicamente valida, indipendente dalla politica, neutrale rispetto agli operatori e indifferente rispetto agli assetti proprietari delle aziende regolate. Si tratta, in sostanza, di affidare il compito a un soggetto indipendente, come specificamente previsto dalla stessa direttiva comunitaria e come richiesto nel 1994 dal nostro legislatore per le utilities incluse in processi di privatizzazione. Nel 1999 si è invece scelto di assegnare la regolazione al ministero delle Comunicazioni, che insieme al ministero del Tesoro è il proprietario di Poste italiane. L’arbitro, in sostanza, coincide con il titolare della squadra più forte e il suo operato è stato talmente efficace che sinora in campo non si è presentato alcuno sfidante.
iv) Lo sviluppo di servizi finanziari accanto a quelli di recapito tradizionale, di cui alcuni gestiti in regime di riserva e altri no, presuppone l’esistenza di una separazione contabile estremamente trasparente che dovrebbe essere rafforzata non solo per evitare sussidi incrociati distorsivi della concorrenza, ma anche per individuare più correttamente il costo sociale del servizio universale e permetterne forme di copertura che riducano gli oneri a carico della collettività e rendano così effettiva l’applicazione del price-cap.
v) Anche il settore dei servizi finanziari presenta aspetti delicati. Se la pressione verso il sistema bancario è positiva in quanto accresce la concorrenza, è necessario verificare che l’azienda, accanto a vantaggi di costo legittimi, non ne utilizzi anche altri distorsivi della concorrenza. Per esempio, a differenza delle banche, Bancoposta non affranca le comunicazioni inviate ai propri clienti tramite Poste-recapiti e il loro costo confluisce, per “disattenzione” del regolatore ministeriale, negli oneri del servizio universale, almeno in parte a carico della collettività. Poiché due terzi dei ricavi del Bancoposta derivano da commissioni e margini d’intermediazione per la raccolta del risparmio postale (conferito a Cassa depositi e prestiti e, in parte, al Tesoro), se lo Stato-cliente remunera tali servizi a condizioni notevolmente superiori a quelle di mercato ottiene il duplice effetto di migliorare il conto economico della sua controllata Poste, ma anche di permetterle di applicare ai propri correntisti commissioni sensibilmente più vantaggiose rispetto al sistema bancario. Il primo esempio evidenzia un possibile caso di sovvenzione incrociata dai servizi postali riservati ai servizi finanziari in concorrenza, il secondo una possibile forma di aiuto di Stato mascherato.
L’assenza di un confronto con il mercato, che una regolazione efficace poteva attivare, rischia di vanificare il risanamento nel momento in cui la liberalizzazione diviene ineludibile e la concorrenza inizia a essere efficacemente tutelata. Non sorprende quindi che sul fronte del costo dei servizi universali non si siano evidenziati guadagni di efficienza che potevano essere trasferiti, se non all’utente del servizio, almeno al contribuente riducendo l’onere gravante sulla finanza pubblica.
Mentre il processo di riforma dell’azienda pubblica non ha portato a risultati irreversibili, una seria riforma del mercato e della regolazione non è stata ancora attivata. È tuttavia indispensabile per lo sviluppo del mercato postale e non può essere ulteriormente subordinata alle esigenze dello Stato-proprietario.

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Poste e mercato viste da dentro

Da più di un anno leggo gli articoli di LaVoce che mi arrivano via email e ne condivido in pieno la linea editoriale e molte delle iniziative che in certi casi ho anche sottoscritto.

In questo specifico caso, lavorando nell’azienda di cui si parla, vorrei tuttavia fare alcune precisazioni nel tentativo di migliorare – non di contraddire – l’opinione di Arrigo e Beccatello.

• ridotto il personale da 230mila a 150mila unità..

In realtà la riduzione del personale effettuata nel periodo del risanamento è stata totalmente annullata dalla necessità di riassumere con contratto a tempo indeterminato ben 13.000 lavoratori temporanei nell’ambito della vertenza CTD (Contratti a tempo determinato) e di assicurare ad ulteriori 20.000 l’inserzione in liste speciali per l’assunzione futura.

In tutta sincerità, pur lavorando in questa azienda e constatando i vincoli che la politica impone alla gestione, non sarei in grado di dire se questo fenomeno è stato dettato da favoritismi di carattere politico – sindacale o da semplici disattenzioni nella stipula dei contratti temporanei, ma a livello di impressione propenderei per la seconda soluzione..

A conti fatti, sommando ai lavoratori risultanti alla fine del 2004 (155.000) i 13.000 di cui sopra si ottiene la cifra di 168.000 dipendenti (inclusi quelli con contratto a tempo determinato) a cui andranno aggiunti una parte dei 20.000 iscritti nelle liste.

Quindi quando si parla di concorrenza nel settore è giusto farlo tenendo conto di questo ulteriore vincolo che rende più lento e complicato il processo che è già arrivato a compimento in altri paesi.

• la riforma si è dimenticata del (libero) mercato, che in Italia, di fatto, continua a non esistere, ma che inizia ad affiorare altrove

Beh, non è totalmente esatto, perché la restrizione della riserva della Posta Ordinaria all’area 50 grammi /1.50 euro a partire dal 1° gennaio 2006 è valida anche in Italia così come sarà valida , a partire dal 2009, l’abolizione della riserva o l’applicazione di altre tappe intermedie.

• Poiché due terzi dei ricavi del Bancoposta derivano da commissioni e margini d’intermediazione per la raccolta del risparmio postale (conferito a Cassa depositi e prestiti e, in parte, al Tesoro), se lo Stato-cliente remunera tali servizi a condizioni notevolmente superiori a quelle di mercato ottiene il duplice effetto di migliorare il conto economico della sua controllata Poste, ma anche di permetterle di applicare ai propri correntisti commissioni sensibilmente più vantaggiose rispetto al sistema bancario.

Anche questo non è esatto, intanto perché le condizioni riconosciute a Poste per il collocamento dei prodotti del risparmio postale (Buoni Postali Fruttiferi e Libretti Postali) sono in linea con il mercato.

A titoli di esempio, relativamente ai Libretti Postali, la remunerazione riconosciuta di 0.90% sulla Giacenza Media è riconducibile alla remunerazione implicita che la Rete degli Sportelli di una qualsiasi grande banca italiana ottiene dal collocamento dagli strumenti analoghi (Depositi a Risparmio Bancari).

Infatti, collocando Depositi a Risparmio a tassi di interesse dell’ 1.05% le banche si garantiscono uno spread extra di 1.10% rispetto al finanziamento sul mercato interbancario (2.15% circa). Allo stesso modo, chiedendo a Poste di collocare Libretti Postali (a tassi Passivi dell’1.20%), CDP Spa finanzia parte della sua raccolta a costi inferiori rispetto al mercato interbancario ed è quindi assolutamente in linea con una logica di mercato che la differenza (2.15% – 1.20% = 0.95%) sia pagata al collocatore.

Analisi analoghe possono essere fatte per i BPF.

Diversamente per la Giacenza Bancoposta la tesi riportata nell’articolo :

• una possibile forma di aiuto di Stato mascherato

è nell’immediato più comprensibile perché fino al 31 dicembre 2004 la Giacenza Bancoposta è stata remunerata a tassi fissi amministrati (3.90% – 4.20%) che negli ultimi anni si sono situati al di sopra dei tassi del mercato interbancario.

Il che non è più vero dal 1° gennaio 2005 in quanto la Giacenza Bancoposta sarà remunerata a tassi di Mercato che simulano l’investimento in un Portafoglio di Titoli di Stato.

Ma anche relativamente al passato, per essere corretti, bisognerebbe tener conto del fatto che mentre negli anni che vanno dall’Unità Monetaria (1999) in poi i Tassi Fissi riconosciuti dal CDP o MEF sono stati superiori o più o meno in linea con quelli di mercato, per gli anni che vanno dal 1994 (data della costituzione di Poste in Ente Pubblico e quindi della sua separazione dal patrimonio dello stato) al 1998 Poste ha ricevuto una remunerazione inferiore a quella di mercato.

In maggior dettaglio, Poste ha ricevuto circa 1800 milioni di ricavi in più tra il 1998 e il 2005, ma avendo ricevuto minor ricavi per 3600 milioni circa tra il 1994 e il 1998, complessivamente ha sofferto minor ricavi per 1800 milioni.

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Conclusioni

• sono pienamente d’accordo con quanto sostenuto da Arrigo e Beccarello che : ” una seria riforma del mercato e della regolazione è indispensabile per lo sviluppo del mercato postale e non può essere ulteriormente subordinata alle esigenze dello Stato-proprietario”
• tuttavia bisogna considerare che questo processo è in Italia necessariamente lento a causa: a) della bassa penetrazione della posta fra la popolazione che rende impossibile portare il business postale a break even, b) della difficile situazione occupazionale che pesa sui conti di un’azienda che ha per lunghi anni svolto (purtroppo) il ruolo di creatore di occupazione in assenza di politiche occupazionali migliori e viceversa c) del benefico ruolo che Poste Italiane sta svolgendo nel settore dei Servizi Finanziari retail portando un po’ di concorrenza in un settore che è (spiegabilmente) tra i più protetti e oligopolistici del mondo occidentale (. . .e questo – ci tengo a specificarlo – a completo beneficio sia dell’utente che del contribuente !!!)
• . . . .su questo ultimo punto, tornando proprio oggi dal Brasile, avrei voglia di chiedere ai lettori di lavoce se secondo loro non si possa ravvisare una correlazione stretta tra il margine di redditività retail di un sistema bancario e il grado di sviluppo (o sottosviluppo) del Paese che lo ospita , . . . tanto per sapere se gli altri condividono quanto mi sembra di intuire, cioè che più sono alti i profitti retail delle banche più il paese è sottosviluppato (Italia in primis !!)

Vi ringrazio per la cortesia di avermi letto

Enrico Gallina
Poste Italiane Spa

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