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Due regioni, una sola economia

L’analisi comparata dei dati macroeconomici regionali mostra che l’andamento delle economie del Mezzogiorno e del Centro-Nord è stato negli ultimi anni meno differenziato che in passato. Il rallentamento della produttività è stato marcato al Centro-Nord come al Sud. E il boom dell’occupazione è stato presente in tutte e due le aree geografiche. Ciò segnala che i problemi e le opportunità riguardano l’economia italiana nel suo complesso. E forse se l’Italia tornerà a crescere finiremo per dare meno importanza alla persistenza del divario tra Centro-Nord e Sud.

“Dalla metà degli anni Novanta, il Mezzogiorno cresce qualche decimo di punto in più o in meno della media nazionale, ma non se ne distacca in maniera significativa. (…) Il Mezzogiorno dunque non decolla. (…) L’unica cosa sicura è che le previsioni di decollo del Mezzogiorno vengono smentite con regolarità ogni anno e ogni anno rinviate all’anno successivo. (…) Il Mezzogiorno d’Italia è oggi (…) il luogo dove significativo e imperdonabile rimane lo spreco di risorse pubbliche”

Così è se vi pare?

Così, senza giri di parole, scrive Nicola Rossi nel suo libro Mediterraneo del Nord. Un’altra idea del Mezzogiorno. (1) . La sua è una critica radicale ai risultati della “Nuova programmazione“, la politica di promozione dello sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno, perseguita, con inusuale continuità politico-amministrativa, dal dipartimento per la Coesione e lo sviluppo del ministero dell’Economia dal 1998 in poi.
Non tutti, però, sottoscriverebbero il sintetico riassunto di Nicola Rossi. In particolare, Fabrizio Barca, a capo in un modo o nell’altro del suddetto Dipartimento dal 1998 ad oggi, esprime, infatti, una valutazione molto meno critica dell’esperienza di questi ultimi anni di politica per il Mezzogiorno. Nel suo libro Italia frenata. Paradossi e lezioni della politica per lo sviluppo si può leggere:
“Si ha conferma che, dalla metà degli anni Novanta, il Mezzogiorno ha preso a svilupparsi più del Centro-Nord, che tale sviluppo è stato virtuoso – trainato da più alta competitività e produttività – e non dovuto a “elargizioni pubbliche”, ma che esso non ha assunto proporzioni tali da controbilanciare il quadro generale nazionale di profonde difficoltà economiche”. (2)
Viene da chiedersi: è così difficile stabilire se il Sud è andato meglio o peggio negli ultimi anni piuttosto che in passato rispetto al Centro-Nord? In ciò che segue, provo a riassumere l’evidenza empirica sulla crescita economica del Mezzogiorno degli ultimi anni, con due punti di riferimento, il Mezzogiorno nel passato e il Centro Nord oggi e nel passato. Uso solo informazioni disponibili a tutti, tratte dal file db_ediz2005_regionali_storico.xls (disponibile al sito
www.istat.it, Conti regionali). (3)
La tabella 1 presenta i dati riassuntivi sui tassi di crescita del Pil, dell’occupazione e della produttività del lavoro per il settore privato nel Mezzogiorno e nel Centro-Nord tra il 1980 e il 2004. (4) Ci sono tanti altri indicatori a cui si potrebbe guardare, come quelli relativi al “capitale sociale” (su cui Nicola Rossi presenta evidenza nell’Appendice al suo libro). I dati su Pil, occupazione e produttività del settore privato sono però gli indicatori più frequentemente impiegati per valutare la buona salute di un’economia di mercato nei confronti internazionali. Mi attengo dunque a questi.
Le medie presentate nella tabella mirano a riassumere come era la situazione prima dell’avvento della Nuova programmazione, cioè fino al 1997 incluso, e come è stata dopo, cioè tra il 1998 e il 2004, ultimo anno per cui sono disponibili i dati regionali Istat. Per questo nella tabella sono presentate medie per un lungo periodo di tempo (1980-97) e per gli anni Novanta fino al 1997, oltre che i dati per gli anni più recenti. (5)

Pil, produttività e occupazione nel Mezzogiorno e nel Centro-Nord

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Nel periodo 1997-2004, il tasso di crescita del Pil privato nel Mezzogiorno è stato pari a +1,9 per cento l’anno, contro +1,5 per cento l’anno per il Centro-Nord. Il Sud è dunque andato meglio del Centro-Nord per circa mezzo punto percentuale l’anno. Non è un risultato disprezzabile, soprattutto in considerazione del fatto che questa crescita è significativamente superiore a quella sperimentata dal Sud Italia nel 1990-97 (+1,1 per cento annuo). Tale risultato è invece sostanzialmente lo stesso di quello registrato nel 1980-97 (+1,8 per cento). C’è però da dire che, rispetto al 1980-97, è la crescita del Pil del Centro-Nord ad aver subito un rallentamento non indifferente, pari a circa mezzo punto percentuale. Dunque, se la Nuova programmazione è stata una svolta di politica economica per rispondere alla crisi subita dal Mezzogiorno nella prima parte degli anni Novanta, sembra avere conseguito almeno parzialmente i suoi obiettivi.
C’è poi da considerare il dato relativo alla composizione della crescita. La maggiore crescita del Pil del Mezzogiorno degli anni più recenti deriva da una maggiore crescita della produttività del lavoro rispetto al Centro-Nord (+0,7 contro +0,3 per cento). La crescita delle unità di lavoro nelle due aree è stata, invece, sostanzialmente la stessa (+1,2 per cento l’anno). Le osservazioni di Barca sulla “virtuosità” della crescita del Sud fanno dunque implicitamente riferimento ai dati sulla produttività. Se si guarda indietro nel tempo è però difficile gloriarsi di un +0,7 per cento di aumento annuo della produttività: nel 1980-97 (come nel 1990-97), la produttività del lavoro cresceva a un tasso medio del 2,5 per cento all’anno. Nel 1997-2004, il Mezzogiorno è andato un po’ meglio, ma solo marginalmente, del Centro-Nord da questo punto di vista.
A mio avviso, il vero elemento di novità contenuto nella tabella 1 è quello relativo all’andamento delle unità di lavoro. Tale dato indica che, a differenza che in passato, il boom occupazionale degli ultimi anni ha riguardato tutta l’Italia. Non sappiamo quanto di questo dato sia da ascrivere all’attuazione della legge Treu e delle altre misure di liberalizzazione del lavoro temporaneo e part-time di tutto il mercato del lavoro italiano. È certo che queste misure sembrano aver funzionato molto meglio per i lavoratori del Sud rispetto alle tanti leggi speciali del passato. È un messaggio semplice ma importante.
Dunque dopo il 1997, i dati aggregati indicano tre svolte, due positive e una negativa, In positivo, la crescita del Pil del Mezzogiorno accelera e supera quella del Nord. E lo fa essendo trainata dalla creazione di posti di lavoro, dopo che il funzionamento del mercato del lavoro aveva rappresentato un buco nero del passato. In negativo, la crescita della produttività del lavoro rallenta drasticamente rispetto agli anni precedenti, nel Mezzogiorno come nel Centro-Sud.
Si può inoltre aggiungere che, come evidenziato nell’ultima colonna della tabella, i dati medi per il 1997-2004 sottintendono un andamento molto differenziato tra gli anni fino al 2000 incluso e quelli successivi. Il grosso delle note positive delle statistiche presentate sopra deriva da buone notizie relative al periodo 1997-2000. Dal 2001, la situazione nel Mezzogiorno è ritornata a peggiorare, più o meno in linea con quello che è successo nel resto dell’economia italiana. La crescita delle unità di lavoro si è però solo leggermente ridimensionata. È la crescita della produttività ad essersi azzerata.
Il peggioramento dei dati macroeconomici negli anni Duemila spiega le affermazioni di Nicola Rossi sull’esaurimento della (supposta) spinta propulsiva della Nuova programmazione negli ultimi tre-quattro anni. E anche le affermazioni di cautela contenute nell’ultima parte del libro di Barca sulla necessità di un riorientamento delle politiche per lo sviluppo vanno, tra l’altro, in questa direzione.

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Conclusioni

L’analisi comparata dei dati macroeconomici regionali mostra che l’andamento delle economie del Mezzogiorno e del Centro-Nord è stato negli ultimi anni meno differenziato che in passato. Il rallentamento della produttività è stato marcato al Centro-Nord come al Sud. E il boom dell’occupazione è stato presente in tutte e due le aree geografiche.
Ciò segnala che i problemi (e le opportunità) riguardano l’economia italiana nel suo complesso, non un’area piuttosto che l’altra – una notevole novità rispetto al passato. Chissà, se la continuazione e la piena attuazione delle politiche di riforma contribuiranno al ritorno alla crescita dell’Italia nei prossimi anni, forse finiremo per dare meno importanza alla persistenza del divario tra Centro-Nord e Sud.

Tavola 1: PIL, occupazione e produttività del lavoro
Mezzogiorno e Centro-Sud, settore privato
Tassi di crescita, punti percentuali
  1997-2004 1980-1997 1990-1997 2000-2004
PIL        
— Sud

1.9

1.8

1.1

1.2

— Centro-Nord

1.5

2.1

1.6

0.8

Unità di lavoro        
— Sud

1.2

-0.7

-2.1

1.2

— Centro-Nord

1.2

0.0

-0.5

1.1

Produttività del lavoro        
— Sud

0.7

2.6

2.3

0.0

— Centro-Nord

0.3

2.1

2.2

-0.3

Fonte: www.istat.it, Conti regionali.

Note:
– i tassi di crescita nella tabella sono tassi di crescita medi annui composti che utilizzano come base i livelli dell’anno di partenza indicato. Il dato 1997-2004 è dunque relativo alla crescita degli anni 1998-2004.
– il dato del settore privato è calcolato sottraendo al valore di ogni variabile per l’intera economia quello relativo alla voce “Altre attività di servizi” che includono come voce principale le attività della pubblica amministrazione.


(1)
Nicola Rossi Mediterraneo del Nord. Un’altra idea del Mezzogiorno, Laterza, 2005, pagg. 14-17 e vii.
(2) Fabrizio Barca Italia frenata. Paradossi e lezioni della politica per lo sviluppo, Donzelli Editore, 2006, pag. 26.
(3) Non discuto invece il tema dell’adeguatezza del volume di risorse destinate al Sud. La valutazione sulla congruità allo scopo dei flussi di investimento pubblico è differente a seconda se si prenda come punto di riferimento la popolazione (come fa Barca) o il Pil (come fa Rossi). Il tema è controverso e meriterebbe un articolo a sé.
(4) La produttività del lavoro è misurata come il rapporto tra il Pil e le unità di lavoro standard totali, la misura ufficiale dell’input di lavoro secondo l’Istat.
(5) Forse non è del tutto plausibile identificare il 1998 come un anno in cui si possa già misurare l’esito della Nuova programmazione. Ma includere nel periodo di valutazione il primo anno in cui una politica viene attuata è la prassi comunemente seguita: se la performance dei presidenti degli Stati Uniti è valutata per quello che hanno saputo fare fin dal primo giorno della loro entrata in servizio, anche la Nuova programmazione e i suoi ispiratori possono essere sottoposti allo stesso criterio di giudizio.

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Le priorità della politica economica

  1. Elisabetta Marzano

    Caro Prof. Daveri, trovo molto interessante ma anche ottimistica la sua conclusione sul possibile superamento del divario Nord Sud Italia.
    Come lei ben afferma, l’attenuazione del divario negli ultimi anni è per lo più ascrivibile a un rallentamento dell’economia del centro nord Italia, eppure colpisce molto il dato sul boom occupazionale degli ultimi anni ’90, quantitativamente analogo nelle due aree del paese. In proposito, sottopongo alla sua attenzione i dati Istat sull’occupazione irregolare, qui brevemente sintetizzati. Nel periodo 2000-2003 il tasso di variazione dell’occupazione non regolare (Ula) nell’intera economia è stato negativo nel centro nord, oscillando tra il -16,5% del centro e il -20,5% del nord ovest, mentre al sud si è registrato, nel medesimo periodo, un incremento del 5,7%. Le ula totali (regolari e non regolari), invece, sono aumentate in modo piuttosto omogeneo in tutte le macroregioni: 3,91% al sud, 4,54 al centro, 3,06 al nord ovest. La sensazione è che a parità di crescita quantitativa dell’occupazione, vi sia una grossa differenziazione qualitativa tra le diverse regioni del paese. La maggiore flessibilità del mercato del lavoro, e, come evidenziato dall’Istat, le sanatorie per gli immigrati, hanno contribuito certamente a trasformare il lavoro nero del Nord Italia in occupazione regolare, ma questa sinergia non sembra aver operato al Sud Italia, dove una quota rilevante di occupazione resta irregolare.

    • La redazione

      grazie del commento. nel mio articolo, per quanto riguardail mercato del lavoro, volevo solo documentare che il boom dell’occupazione (con i caveat da Lei sottolineati) ha riguardato il Sud come il Centro Nord, a differenza che negli anni precedenti. Questo non vuol dire che non ci sia ancora molto
      da fare per ridurre il divario N-S. La cosa che mi ha colpito guardando i dati aggregati è che i risultati migliori si sono avuti non dove si incentrano da anni gli sforzi (politiche di promozione dello sviluppo per il Mezzogiorno), ma in un’area interessata da riforme “orizzontali” relative a tutto il paese come appunto il mercato del lavoro.
      Cordiali saluti,
      Francesco Daveri

  2. Domenico Laviola

    Finalmente un discorso meno scontato sul Sud. Finalmente una voce che muove da dati letti in maniera non faziosa, non semplicistica, non con i soliti toni da campagna elettorale. Il Sud è realtà complessa e variegata, e il discorso su di esso non può assolutamente esaurirsi nei soliti stereotipi che ci propina la maggior parte dei media: Sud cristallizzato, fuori del tempo, capro espiatorio perenne delle zavorre italiane. Non dico che sia tutto a posto, per carità, ma dei lati positivi e cambiamenti sostanziali da Roma in giù non se ne parla quasi mai. E invece esistono questi aspetti, così come esistono le contraddizioni e i lati incerti al Nord. Io li ho toccati con mano laureandomi e lavorando nel mitico Nord-est. Alla fine ho scelto di tornare in Puglia, la mia regione, dove lavoro e vivo avendo il quadro della situazione generale molto più chiaro rispetto a prima. E dove ascolto con piacere le rare voci come la Sua, prof. Daveri, che parlano con cognizione di causa sulla vexata quaestio dei rapporti N/S.
    cordialmente

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