Tra una campagna elettorale e l’altra, il pluralismo dovrebbe essere assicurato da un mercato televisivo sufficientemente articolato tra operatori diversi e indipendenti. Ma la riforma della regolamentazione del 2004 ha permesso che il sistema televisivo rimanesse estremamente concentrato. Tuttavia, un comma della legge Gasparri lascia aperta la possibilità di una valutazione dell’esistenza di posizioni dominanti e della predisposizione di misure correttive. Vedremo se l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni vorrà ritornare su questa materia.

 

Nelle ultime settimane i telespettatori italiani hanno dovuto, volenti o nolenti, fare l’’abitudine a un ospite serale molto loquace, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, presente quasi ogni sera all’’interno dei telegiornali e in molte trasmissioni di informazione politica o di intrattenimento. Il candidato della coalizione di centrosinistra che sfiderà Berlusconi alle prossime elezioni non ha invece ricevuto una esposizione mediatica minimamente comparabile.
Questo dato, di per sé, illustra nel modo più semplice e chiaro il problema dell’’informazione e del pluralismo nel sistema dei media italiani.

Un test per la legge Gasparri

Mentre durante lo svolgimento delle campagne elettorali viene applicata una regolamentazione più stringente, la par condicio (rimando all’’altro pezzo), oggi ancora non attiva, fuori da queste limitate finestre temporali l’’informazione politica e l’’accesso ai media dipendono in buona misura dagli assetti del mercato televisivo, più o meno concentrato, e dalle regolamentazioni specifiche cui i canali Rai sono sottoposti con riferimento agli obblighi di servizio pubblico.
Tra una campagna elettorale e l’’altra, in altri termini, il pluralismo dovrebbe essere assicurato da un mercato televisivo sufficientemente articolato tra operatori diversi e indipendenti, che trovino quindi da tali forze di mercato gli incentivi a una informazione bilanciata e basata sul contraddittorio. In questo senso, il mese televisivo di gennaio 2006 è un buon test per valutare se e come la legge Gasparri, che tali materie ha riformato nel 2004, si dimostri in grado di impedire distorsioni rilevanti nell’’informazione politica.
Quanto a suo tempo scrivemmo a commento della legge rimane purtroppo confermato, dal momento che il comparto dei media non si è avviato verso una articolazione maggiore negli ultimi due anni.
Il varo delle trasmissioni digitali terrestri, che oggi convivono con quelle analogiche, ha permesso lo sviluppo di piattaforme a pagamento, tra cui spicca l’’offerta Mediaset, in competizione con la piattaforma satellitare Sky. Ma nulla cambia nel mondo delle televisioni generaliste finanziate con pubblicità, dove Rai e Mediaset continuano a raccogliere circa il 90 per cento della audience e delle risorse pubblicitarie. Questo è il segmento che raccoglie la quasi totalità dei telespettatori, ed è quindi all’interno di questo segmento che il problema della concentrazione degli ascolti, e della difesa del pluralismo, si pone.
È bene ricordare come da questo punto di vista la legge Gasparri segua principalmente un approccio che fotografa l’’esistente senza intaccare le posizioni dei due gruppi dominanti. Pone infatti due vincoli attraverso cui contrastare le posizioni dominanti: nessun operatore può detenere più del 20 per cento dei canali digitali (articolo 15.1) e delle risorse complessive del Sistema integrato di comunicazione – Sic (articolo 15.2). Questi limiti, tuttavia, si pongono rispetto al numero di canali complessivi che possono essere trasmessi in tecnica digitale (alcune decine) senza distinguere tra grandi canali generalisti e piccoli canali tematici; il vincolo sulle risorse raccolte viene poi calcolato rispetto a un aggregato amplissimo ed eterogeneo (il Sic), all’’interno del quale il predominio nel segmento che raccoglie la gran parte dei telespettatori si annacqua e scompare. (1)
La riforma della regolamentazione del 2004 ha permesso quindi che il sistema televisivo rimanesse estremamente concentrato. La mancata privatizzazione della Rai mantiene un ferreo controllo delle forze politiche e del Governo sulle nomine cruciali. La legge sul conflitto di interessi consente al più di indagare il fratello del presidente del Consiglio per qualche decoder venduto, ma non certo di valutare una legge fatta a immagine e somiglianza delle esigenze del gruppo Mediaset.

La breccia del comma 2

Con una piccola e sorprendente eccezione, che potrebbe offrire interessanti possibilità. All’’articolo 14, comma 2 della legge Gasparri si legge infatti che “L’’Autorità di garanzia delle comunicazioni, (…) individuato il mercato rilevante conformemente ai principi [comunitari] verifica se non si costituiscano, nel sistema integrato delle comunicazioni e nei mercati che lo compongono, posizioni dominanti(...)“. In altri termini, l’’articolo 14.2 lascia aperta la possibilità di una valutazione dell’’esistenza di posizioni dominanti e della predisposizione di misure correttive, aggirando la classificazione troppo ampia del Sic, dove qualunque grande operatore diviene trascurabile, per guardare ai singoli mercati (ad esempio. televisione in chiaro o raccolta pubblicitaria su mezzo televisivo) dove situazioni di concentrazione pericolose per il pluralismo esistono. (2)
Questa possibilità è stata raccolta dall’’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni lo scorso anno nell’’ultima fase della presidenza Cheli. Il procedimento istruttorio si è concluso stabilendo che “Il mercato televisivo e delle relative fonti di finanziamento continua ad essere caratterizzato da una struttura duopolistica in capo alle società Rai spa e Rti spa con la collegata Publitalia ’80 spa (AGCom, Del136/05/CONS, #145). Tuttavia, le misure correttive individuate nella decisione finale appaiono fortemente insufficienti rispetto all’’obiettivo di aprire il mercato a nuovi operatori e ridurre la concentrazione. Vorremmo quindi chiedere al presidente Corrado Calabrò, succeduto a Enzo Cheli alla presidenza dell’’Autorità, se ritiene necessario ritornare su questa materia e se intende considerare misure più incisive per la promozione del pluralismo.


(1)
La stima del valore complessivo del Sic elaborata dal ministero delle Comunicazioni per il 2005 è di 23,7 miliardi di euro. Pertanto, nessun gruppo potrà superare un fatturato di circa 4,7 miliardi di euro. Sia la Rai che Mediaset sono ampiamente al di sotto di questo valore.

(2)

Si veda in proposito l’indagine conoscitiva IC23 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato svolta nel 2004 sul settore televisivo.

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