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Gli esotici frutti di Bruxelles

L’accordo sul bilancio 2007-2013 dell’Unione Europea dimostra che è possibile trovare un’intesa a 25 su questioni delicate come il finanziamento solidale. Ma gli Stati membri hanno drasticamente ridotto il totale del bilancio, portandolo all’1,045 per cento del reddito nazionale lordo. E cresce il peso relativo delle spese agricole a scapito di quelle destinate a competitività e alla crescita. Come sarà possibile ora rispettare l’Agenda di Lisbona?

Le cronache del vertice europeo che, all’unanimità, ha deciso le linee guida di bilancio dell’Unione per il periodo 2007-2013, narrano che, alle due del mattino, l’ultimo accordo è stato trovato grazie alla “concessione” da parte della Germania di 100 milioni di euro di fondi, originariamente destinati ai länder tedeschi, ma poi dirottati sulla Polonia. Il neo-cancelliere tedesco Angela Merkel ha infatti ritenuto che ciò fosse “un buon investimento per il buon vicinato dei due paesi”, mentre il nuovo premier polacco, Marcinkiewicz, avrebbe commentato che si tratta di un gesto “magnifico, difficile da misurare in euro”.

I saldi netti non sono tutto

In questo piccolo aneddoto, che vede protagonisti due leader al loro primo vertice europeo, è racchiuso tutto il senso dell’accordo sulle prospettive finanziarie.
Innanzitutto, l’intesa consente all’Europa di guardare con maggiore serenità allo sviluppo delle sue politiche, avendone garantito il finanziamento per i prossimi sette anni. Con ciò si dimostra che è sempre prematuro parlare di “crisi irreversibile” del percorso di integrazione comunitaria, visto che un accordo sulla componente più delicata delle politiche comunitarie, quella del finanziamento solidale (gli Stati ricchi contribuiscono più dei poveri), lo si è trovato anche a 25 paesi, nonostante un livello di eterogeneità mai sperimentato prima in termini di disuguaglianze e di divergenti obiettivi nazionali, in una situazione di risorse limitate dovute alla bassa crescita, dopo gli incidenti di percorso sulla guerra irachena e la Costituzione, e malgrado il permanere della (assurda) regola dell’unanimità. In questo senso, la ritrovata centralità negoziale della Germania, che ha saputo formulare e far accettare sue proposte di compromesso è stata e sarà determinante per il futuro.
In secondo luogo, l’aneddoto è il migliore esempio di quanto sia profondamente errato, in termini economici, ragionare con la logica dei “saldi netti” di bilancio, ossia la differenza contabile tra quanto un singolo Governo contribuisce al bilancio comunitario, e quanto dallo stesso bilancio incassa sulla base del finanziamento delle politiche che ricadono nel suo ambito territoriale.
Infatti, mentre l’attribuzione delle diverse voci di bilancio ai diversi Stati membri, nei diversi periodi di tempo, è abbastanza ovvia dal punto di vista contabile, l’attribuzione secondo una logica di carattere economico delle voci di bilancio non è sempre chiara e lineare. Le spese del bilancio europeo, infatti, hanno per definizione un carattere sovranazionale e perciò, anche se lo Stato membro che beneficia di un certo intervento è chiaramente identificabile dal punto di vista legale, assai meno agevole risulta l’identificazione degli Stati che ne realmente ne traggono vantaggio. Vediamo qualche esempio: 1) l’evidenza contabile indica lo Stato che paga le imposizioni doganali, ma non dà alcuna indicazione dello Stato che sopporta l’effettivo peso fiscale di tali imposizioni: l’Olanda registrerà un notevole afflusso di risorse dalla tariffa esterna comune in conseguenza dell’esistenza del porto di Rotterdam (il cosiddetto Gateway Effect). Ciò farà sì che il totale ascritto contabilmente all’Olanda sia largamente sovrastimato. 2) La politica agricola comune include sia le misure di supporto alle entrate, sia le misure riguardanti i prezzi. Le misure a supporto delle entrate favoriscono chiaramente gli agricoltori; le misure a supporto dei prezzi, invece, per quanto abbiano un effetto simile alle precedenti (un prezzo unico e più elevato), variano nei diversi Stati membri. 3) I benefici delle spese strutturali non si limitano allo Stato dove tali spese sono effettuate: gli appalti per la costruzione di autostrade in Polonia potrebbero essere vinti, per esempio, da imprese tedesche. 4) Spese quali ricerca, educazione e mercato interno mirano per definizione a internalizzare una esternalità. Dal momento che i benefici da esse ricavati si distribuiscono tra i diversi Stati membri a prescindere dai contributi di ciascuno, una qualsiasi riallocazione a livello nazionale del rischio connesso a tali spese risulta arbitraria
Pensare di creare una graduatoria di vincitori e vinti sulla base dei saldi netti può essere comodo da un punto di vista giornalistico, ma è un esercizio profondamente grossolano da un punto di vista economico.

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Un bilancio esiguo

La terza considerazione riguarda invece la struttura complessiva dell’accordo finanziario, rispetto alla proposta originaria della Commissione europea del febbraio 2004.
Innanzitutto, gli Stati membri hanno drasticamente ridotto il totale del bilancio: la Commissione propose inizialmente un bilancio medio del periodo 2007-2013 pari a 1,14 per cento del reddito nazionale lordo (Rnl) europeo, la prima mediazione lussemburghese (giugno 2005) ne prevedeva una riduzione allo 1,056 per cento, mentre la decisione finale adottata dal Consiglio scende ancora, all’1,045 per cento. In valori assoluti, ciò significa una riduzione di circa 132 miliardi di euro in sette anni, ovverossia più di 18 miliardi di euro all’anno, cioè circa due volte il costo annuo dell’amministrazione dell’Unione Europea. Per comprendere l’esiguità del bilancio complessivo del periodo 2007-13, basti dire che è solo di poco inferiore (di circa 50 milioni) a quello del periodo 2000-06, a dispetto del fatto che nel periodo 2007-13 l’Unione conterà almeno dodici Stati membri in più (110 milioni di persone in più) e che il livello medio di reddito di questi nuovi Stati membri è ben inferiore alla media europea pre-allargamento.
È anche interessante valutare dove sono concentrati questi 132 miliardi di tagli. La tabella mostra che i maggiori, sia in valore assoluto che relativo, sono concentrati nelle spese destinate alla competitività e alla crescita, ma anche nelle spese per la sicurezza e in quelle destinata alle azioni esterne. Tagli importanti in valore assoluto ci sono poi nelle spese di coesione economica e sociale, mentre le spese agricole vengono mantenute pari al livello stabilito da un accordo del Consiglio del 2002, già incorporato nella proposta della Commissione del 2004, e non oggetto di ulteriore riduzione.

 

D Proposta Commissione Accordo Consiglio

Totale fondi 2007-2013

Riduzione percentuale

D Proposta Commissione Accordo Consiglio

Totale fondi 2007-2013

Riduzione assoluta

Percentuale

di ciascuna spesa nel bilancio totale

Spese per competitività e crescita

-40,7%

-49577

8,4%

Spese per coesione economica e sociale

-8,5%

-41383

35,7%

Agricoltura

Quasi Invariato (-2,6%)

Invariato (-9969)

34,0%

Cittadinanza e sicurezza

–30,2%

-4454

1,2%

Azione esterna

-20,3%

-12770

5,8%

Totale

-13,3%

131890

 

 

Ciò significa che la decisione finale del Consiglio aumenta, rispetto alla proposta iniziale della Commissione, il peso relativo delle spese agricole nel totale del bilancio comunitario (da 29 per cento a 34 per cento) a scapito di altre che vengono sensibilmente ridotte (spese di crescita da 13 per cento a 8,4 per cento e spese esterne da 9,3 per cento a 5,8 per cento). È evidente che tutto ciò poco si concilia con il profluvio di parole spese dal Consiglio europeo per suggellare, nel marzo 2000, la strategia di Lisbona, secondo la quale l’Europa sarebbe dovuta diventare l’area più competitiva del mondo basata sulla conoscenza, capace di crescita sostenibile e di più grande coesione sociale. E poco si concilia con la mid-term review del febbraio 2005, che prevedeva un ruolo esplicito per il bilancio comunitario nel supportare l’Agenda di Lisbona.
Davanti a queste cifre, francamente minime, come crede dunque il Consiglio di fare dell’Europa l’area più competitiva del mondo?
Vi sono a nostro avviso due possibili risposte a questa domanda. Da un lato, una risposta euro-ottimista, che si concentra sui due elementi genuinamente nuovi nell’accordo: il Fondo per l’impatto della globalizzazione e la clausola di revisione delle spese prevista per il 2008.
Il Fondo è molto simile alla proposta contenuta nel Rapporto Sapir e mira a lottare contro la disoccupazione generata dalla globalizzazione. L’unico neo (non piccolo) è che non è dotato di risorse autonome, ma sarà alimentato, a concorrenza di 0,5 miliardi di euro all’anno, con le dotazioni non consumate di altre voci di spesa.
La clausola di revisione prevede, invece, un nuovo appuntamento nel 2008-9 per ridiscutere delle spese, delle entrate e della struttura del bilancio comunitario. Ciò lascia intendere che correzioni in corsa sono possibili, specialmente se di qui al 2008 l’opinione di un certo numero di paesi sulle spese agricole dovesse mutare. Riteniamo invece che le correzioni siano quasi sicure a partire dal 2014, posto che gli Stati membri abbiano il coraggio nel 2008-9 di affrontare un negoziato generale non solo sulle spese, ma anche sulle entrate del bilancio.
Dall’altro lato, vi è una risposta euro-scettica, che fa rilevare come il Consiglio abbia deciso di spogliare progressivamente la sfera comunitaria dei mezzi finanziari volti a perseguire la crescita interna e la politica estera, implicitamente dunque avocando alle capitali nazionali le azioni principali in questo ambito. In questa prospettiva può anche leggersi la decisione relativa al lato delle entrate del bilancio comunitario. Ancora una volta la decisione finale del Consiglio ha complicato fino all’inverosimile questa dimensione. La risorsa Iva è stata ulteriormente ridotta e addirittura differenziata tra paesi (Germania 0,15 per cento, Austria 0,225, Svezia e Olanda 0,10, tutti gli altri 0,30 per cento), uno sconto una tantum è stato concesso sul contributo Rnl a Olanda e Svezia, la correzione britannica rimodulata in maniera tale che risulti inferiore a quello che sarebbe stato senza modifica, ma comunque superiore a quella del periodo 2000-2006. In generale, insomma, resta un bilancio comunitario quasi interamente in mano agli Stati, che vi contribuiscono in misura percentuale al loro Pil, privando la Commissione di autonomia finanziaria: una situazione da cui sarà impossibile uscire senza una radicale revisione delle entrate comunitarie.
In conclusione, parafrasando un bell’editoriale sul Sole 24Ore dove Giuliano Amato si chiedeva se il bilancio appena approvato è in grado di offrire frutti almeno in parte diversi dai fichi secchi, noi rispondiamo che quest’accordo è comunque un frutto, e positivo visto lo stato della pianta, del terreno e soprattutto viste le avverse condizioni atmosferiche degli ultimi mesi.
Tuttavia, si tratta di un frutto per il momento ben lontano da quelli che di solito crescono intorno alla capitale europea.

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I finanzieri ribaldi e il boccone troppo grosso di Unipol

  1. Davide Fiaschi

    Essendo abbastanza digiuno della materia, ma in qualche modo del campo, mi risulta strano in generale il criterio di allocazione dei fondi comunitari, a prescindere dall’importanza della composizione settoriale della produzione.
    Quello che trovo stupefacente ad esempio, se il dato venisse confermato da voi, è che l’Italia abbia un saldo netto negativo (intorno allo -0.30) e l’Irlanda un saldo netto positivo (intorno allo +0.30), nonostante, dati Groningen Growth and Development Centre, il PIL pro capite in dollari 2002 dell’Italia sia pari a 26714 nel 2004 contro un PIL pro capite irlandese di 35021.
    Non penso che questa differenza possa essere giustificata in alcun modo con differenze nella composizione del prodotto fra i due paesi.
    Cordiali saluti
    Davide Fiaschi

    • La redazione

      I dati riportati dal lettore sono corretti. Da un punto di vista contabile, la spiegazione è dovuta al fatto che gli Stati contribuiscono al bilancio comunitario in proporzione al loro PIL, non PIL pro-capite (e dunque in assoluto l’Italia contribuisce più dell’Irlanda), mentre recuperano dal
      bilancio fondi che dipendono da politiche non necessariamente proporzionali al PIL (politica agricola e coesione, principalmente). Si determina dunque una
      asimmetria per nulla stupefacente, anzi, quasi inevitabile, tra una variabile contabile (i saldi netti) ed una legata invece ad una interpretazione economica (il PIL pro-capite).
      Una ulteriore dimostrazione di quanto sia metodologicamente inopportuno cercare giustificazioni o fare “graduatorie” dei paesi sulla base dei saldi netti di bilancio, poichè questi, per come sono calcolati, non necessariamente hanno senso da un punto di vista economico.

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