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Dalla tassa sul tubo alla “patrimonialina”

Il Governo ha varato una misura restrittiva sugli ammortamenti di alcune utilities regolate, eliminando la asimmetria tra vita regolatoria e vita fiscale degli impianti. Le reti energetiche avranno, anche a fini fiscali, ammortamenti più bassi e un reddito netto più elevato su cui pagare l’imposta. Se si è voluta colpire la capacità contributiva di imprese che hanno beneficiato di una regolazione generosa, perché fermarsi all’elettricità e al gas? Una tassa come quella imposta dal Governo inglese nel 1997 avrebbe prodotto esiti del tutto diversi.

Il Governo ha sostituito la cosiddetta tassa sul tubo, di dichiarata, ma poco credibile, finalità ambientale, con una misura restrittiva sugli ammortamenti di alcune utilities regolate, che aumenta la base imponibile. Che l’intenzione del Governo fosse quella di aumentare il prelievo su questa tipologia di imprese si era capito già da un intervento di Renato Brunetta che sottolineava la posizione monopolistica e l’elevato livello di profittabilità di queste aziende e quindi la loro capacità contributiva. (1)

La discrepanza tra aliquote

Ma vediamo la questione più in dettaglio. Per le imprese operanti nella distribuzione e trasmissione di gas ed elettricità vi era una forte differenza tra aliquote di ammortamento fiscali (più elevate) e quelle economico-tecniche utilizzate nei bilanci (più basse): in tal modo i profitti netti su cui calcolare le imposte risultavano minori grazie agli ammortamenti più elevati. Le stesse imprese procedevano poi ad accantonare nel bilancio cospicui fondi a fronte di un pagamento effettivo dell’imposta inferiore a quello riportato nel conto economico.
Questa discrepanza tra aliquote è “venuta alla luce” in occasione della revisione delle tariffe prevista alla fine del primo periodo regolatorio, nel dicembre 2003. In quell’occasione, che coincideva con la fine del primo settennato dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, si disse che il Governo aveva appoggiato la richiesta dell’Enel (e di Terna) di riconoscere un capitale investito netto allineato a quello delle imprese elettriche europee anche attraverso una modifica delle “vite utili”. L’effetto sulle tariffe fu pressoché nullo, ma il mercato azionario apprezzò la rivalutazione del capitale investito quale elemento di stabilità regolatoria. La Snam già dall’avvio della regolamentazione beneficiava di una impostazione simile.
Oggi il Governo ha deciso di eliminare la asimmetria tra vita regolatoria e vita fiscale degli impianti: quindi le “reti energetiche” avranno, anche a fini fiscali, ammortamenti più bassi e si troveranno un reddito netto più elevato su cui pagare l’imposta. Per il pagamento potranno però utilizzare i fondi patrimoniali accantonati a suo tempo: di qui la trovata, tutto sommato geniale, di aumentare l’imposizione senza ridurre i profitti netti (a meno dell’effetto dei maggiori interessi passivi dovuto alla sostituzione dei fondi di accantonamento d’imposta con debito). Né mi pare che qui, assumendo la continuità della vita dell’impresa, valga la critica che si tratta di un anticipo di imposte future. A tutti gli effetti, è una imposizione fiscale su un fondo iscritto in bilancio. Non è chiarissimo, leggendo la norma, se durerà più di un esercizio.

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Quali effetti sulle tariffe?

Due questioni si possono porre: ci sarà un effetto sulle tariffe? Si poteva fare diversamente?
Liquidiamo il primo quesito con la risposta: “dipende”. In particolare, dipende dall’Aeeg: le tariffe sono legate ai costi, incluse le imposte; sarà una scelta del regolatore se considerare l’imposta un evento straordinario che richiede una revisione tariffaria prima della scadenza del corrente periodo regolatorio oppure se le utilities dovranno attendere qualche anno.
La risposta alla seconda domanda chiama in causa l’equità. Il Governo dirà che non ha fatto altro che allineare le aliquote fiscali a quelle effettive e a quelle riconosciute dal regolatore. Permane però il dubbio che si sia voluta colpire la capacità contributiva di imprese che hanno beneficiato di una regolazione un po’ generosa. Ma allora perché fermarsi all’elettricità e al gas? La risposta (ovviamente del tutto congetturale) è che il Governo, oltre a poter variare le aliquote di ammortamento, è l’azionista di maggioranza (con i relativi poteri di nomina): le finanze dell’Enel, di Terna e della Snam non sono poi tanto “separate” dalle finanze del Governo. La ennesima riprova, ci sembra, che prima si completa la privatizzazione meglio è.

Guardando a Blair

Una tassa à-la Blair avrebbe prodotto esiti del tutto diversi. Si ricorderà che il Governo inglese nel 1997, resosi conto che gli azionisti delle imprese privatizzate e regolate avevano beneficiato o di un prezzo di collocamento troppo basso o di una regolazione troppo generosa, aveva imposto una tassa straordinaria sui profitti. Il modo in cui era stata calcolata la base imponibile era piuttosto discutibile. (2) Così come era discutibile il fatto che si tassassero gli azionisti di quel momento che potevano non coincidere con quelli che in passato avevano beneficiato di una regolazione generosa o di un prezzo di collocamento troppo basso. Anche qui, insomma l’equità (tra azionisti, non quella tra imprese che invece era rispettata) non rappresentava un punto di forza. E inoltre si incideva direttamente sulla redditività, anche se per un periodo limitato (due anni, impegno ovviamente rispettato).
Abbiamo provato a fare una piccola simulazione (parziale perché non abbiamo considerato tutte le imprese privatizzate e regolate) sia replicando il metodo inglese sia utilizzando direttamente il valore di mercato sulla base dei prezzi di Borsa.
Abbiamo trovato che l’Enel non avrebbe pagato nulla, mentre Telecom e Autostrade avrebbero dovuto tirar fuori diversi “euri”. (3)
Per le imprese esaminate risulterebbe una base imponibile (stimata come differenza tra il valore dell’impresa al momento della privatizzazione e il valore dell’impresa ai prezzi del 25 ottobre, tenendo conto della percentuale collocata) pari a circa 37 miliardi di euro: sarebbe bastata anche una aliquota modesta (3 per cento; nel caso inglese fu il 23 per cento) per ottenere introiti pari a quelli che si otterranno con la misura introdotta dal Governo. D’altra parte, l’incremento di valore di queste due imprese appare molto elevato.
Con una windfall tax pura non vi sarebbe stata, probabilmente, la possibilità della soluzione “quasi indolore” di attingere ai fondi di accantonamento d’imposta e si sarebbe inciso sui profitti. La strada del decreto, toccando anche imprese totalmente private, sarebbe stata, inoltre, assai più impervia. Insomma, chi ha lo Stato come azionista di controllo si becca la patrimonialina.

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Dati OPV

Performance 2

Base Imponibile 3

Data

Capitale 1

Incasso 4

Titolo

MIB 30

Snam Rete Gas

dic-01

40,2 %

2.202

58 %

– 1 %

1.283

3,4 %

Terna

giu-04

50,0 %

1.700

22 %

17 %

366

1,0 %

Telecom Italia

ott-97

35,9 %

11.820

193 %

39 %

22.796

61,0 %

Autostrade

dic-99

86,6 %

6.720

192 %

– 12 %

12.933

34,6 %

Enel

nov-99

32,4 %

16.550

– 16 %

0 %


1 Per Telecom Italia e Autostrade include quota ceduta al nucleo stabile (rispettivamente 6,7 per cento e 30 per cento)
2 Calcolata sulla base dell’andamento delle quotazioni dal periodo dell’opv al 25 ottobre 2005
3 Calcolata moltiplicando l’incasso dell’opv per la performance del titolo – milioni di euro
4 Milioni di euro

Fonti: Elaborazioni sulla base delle quotazioni azionarie e di informazione tratte da bilanci e siti aziendali, dalla Relazione annuale Consob del 2004 e dal Libro bianco sulle privatizzazioni (ministero Economia)

(1) Il Sole 24Ore del 7 ottobre 2005

(2) Non fidandosi del valore espresso dalle quotazioni di borsa in quanto eccessivamente oscillante (sic), il fisco inglese aveva proceduto a stimare il valore di mercato con una media dei profitti dei quattro anni successivi al collocamento “capitalizzata” sulla base di un multiplo di mercato; la base imponibile era poi valutata come differenza tra il valore dell’impresa al momento del collocamento e il valore di mercato stimato, tenuto conto della percentuale di capitale collocato.

(3) Enel ha una regolazione generosa, ma prezzo di collocamento notoriamente esoso. Qui non ne abbiamo tenuto conto, ma anche considerati i prezzi delle tranche successive e le quantità collocate, non ci aspettiamo cambiamenti significativi del risultato.

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  1. Marco Cipelletti

    Per quanto sia stata una spiacevole novita’ per gli azionisti, credo che la scelta di abolire i benefici delle imposte differite sia migliore, non solo rispetto alla strampalata tassa sul tubo, ma anche rispetto alla windfall tax inglese. Provo a elencare le ragioni: (1) le imposte differite sono una forma di finanziamento agevolato che si è rivelata ridondante per le utilities di rete, le quali già producono cassa in misura sufficiente con i flussi ordinari. (2) L’abolizione del beneficio non comporta un aumento delle tariffe, perchè queste sono sempre state calcolate dall’autorità sulla base del tax rate pieno. (3) Per lo stesso motivo, a differenza della windfall tax e della tassa sul tubo, questa misura non pregiudica la credibilita’ della regolamentazione e l’indipendenza dell’autorità: quest’ultima determina i ricavi riconosciuti sulla base di un livello teorico di profitto ritenuto adeguato, mentre invece le imposte differite sono un beneficio aggiuntivo in termini di cassa, la cui determinazione è di competenza del fisco; pertanto la loro modifica non inficia le prerogative dell’autorità di regolazione.

    In conclusione ritengo che, più che la regolazione, fosse generoso il meccanismo delle imposte differite, e che l’abolizione di queste sia da preferire a qualsiasi forma di windfall tax, che per definizione è in contrasto con il principio delle utilities regolamentate.

    Cordiali saluti

    Marco Cipelletti

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