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La tassa sul tubo

Molto più selettiva del “modello britannico”, la tassa ambientale inserita nella Finanziaria 2006 esclude le telecomunicazioni e incide solo sulle grandi reti di trasmissione dell’energia elettrica e del gas naturale. Dubbia la qualificazione di tributo ambientale. Il tributo non può essere traslato. Ma in tempi di emergenza finanziaria, sembrerebbe più appropriato colpire la vendita di energia, dove le posizioni dominanti assicurano notevoli profitti. A ostacolare una simile manovra è la presenza diretta del Tesoro come azionista di Eni ed Enel.

La legge finanziaria 2006 prevede l’introduzione di una tassa ambientale che colpisce le reti di trasmissione dell’energia elettrica e del gas naturale, sotto forma di addizionale erariale alla tassa sull’occupazione di suolo pubblico e al canone che già pagano Snam Rete Gas e Terna per trasportare l’una metano e l’altra energia elettrica in tutto il territorio nazionale.

Un precedente siciliano

La nuova tassa ha un precedente poco illustre nella tassa sul tubo, introdotta nel 2002 dalla Regione Sicilia sotto le mentite spoglie di un tributo ambientale, ma che si qualificava in realtà come un’imposta in somma fissa di tipo patrimoniale (tubatico), avendo come base imponibile il volume delle condotte della rete di trasmissione nazionale e regionale del gas naturale situate in Sicilia. La vita effettiva del tributo fu breve: Il Tar Lombardia, chiamato in causa da Snam Rete Gas per ottenere il riconoscimento della tassa nelle tariffe di trasporto da parte dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas (Aeeg) , non solo riconobbe tale diritto, ma si espresse anche contro la tassa, sostenendo che aveva effetti equiparabili a quelli di un dazio e quindi era contraria alle normative in vigore sul libero scambio. La Commissione europea, per ragioni dello stesso tipo, nel 2004 ha chiesto la soppressione della tassa sul tubo e di fronte all’inerzia dell’Italia ha presentato ricorso alla Corte di giustizia. In ogni caso, la Commissione tributaria di Palermo aveva già imposto alla Regione Sicilia di restituire a Snam Rete Gas le rate del tributo già versate, e la Regione aveva provveduto conformemente.

Dubbi sulla definizione di tributo ambientale

La nuova tassa sulle reti avrà forse vita più facile nel contenzioso tributario e amministrativo, qualificandosi come un incremento inatteso di tributi già esistenti. Tuttavia, condivide con il tributo siciliano la motivazione di carattere ambientale. Tale qualificazione pone più di un dubbio.
I tributi ambientali, per essere davvero tali, devono prevedere una relazione specifica tra base imponibile e danno ambientale: la base imponibile deve riferirsi a unità
fisiche di una sostanza che produce inquinamento. Nel caso dei grandi metanodotti tale relazione è esclusa poichè il gettito della tassa sulle grandi reti energetiche appare commisurato all’estensione dei tubi, ma le condotte sono sotterranee e il metano fluisce all’interno di esse senza dar luogo a emissioni inquinanti.
Nel caso invece della rete di trasmissione di energia elettrica una relazione potrebbe essere invocata, se si ammette la rilevanza dell’inquinamento elettromagnetico provocato da cavi e tralicci. Ma allora appare discriminatoria e immotivata l’esclusione dalla tassa sulle reti dei tralicci relativi alle telecomunicazioni.

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Divieto di traslazione

Ma veniamo ai problemi di incidenza nella nuova tassa. L’esperienza del tributo siciliano ha insegnato che l’imposizione di nuovi oneri su imprese soggette a regolamentazione è rischiosa, dal momento che le società colpite possono chiedere la traslazione del tributo in tariffa.
Le tariffe vengono infatti fissate in modo tale da garantire un rendimento costante per tutto il periodo regolatorio (di durata quadriennale) e aggiornate annualmente in base alla formula del price-cap. Proprio quest’ultima prevede che nel caso di eventi inattesi che pregiudichino i livelli di profittabilità
stabiliti all’inizio del periodo, le tariffe siano adeguate in misura tale da ripristinare il rendimento garantito. Questa possibilità appare tuttavia esclusa nel caso della tassa sulle reti che, in base al comma 3 dell’articolo 42 della legge finanziaria, dovrà restare a carico delle società di trasmissione e non potrà quindi essere traslata avanti sugli utenti delle grandi reti, cioè sulle imprese di vendita del gas che, a loro volta potrebbero poi rivalersi sui consumatori finali di energia elettrica e gas naturale. Di fatto quindi la nuova tassa sulle reti sembra configurarsi come una tassa sui profitti di Terna e Snam Rete Gas. Poichè il livello di tali profitti è stabilito da Aeeg, il Governo sembra riprendersi attraverso l’erario ciò che le imprese regolate hanno ottenuto sino a oggi grazie proprio a una regolamentazione generosa.
I prezzi finali di energia elettrica e gas, d
’altra parte, contengono già una tassa implicita sui consumatori: i loro alti livelli, originati dalla scarsa concorrenza nel settore, sono la fonte degli elevati profitti di Enel ed Eni e consentono al Tesoro, come azionista di queste stesse imprese, di accedere a lauti dividendi. Questi ultimi costituiscono un sostituto di altre fonti di contenimento dei disavanzi pubblici (minori spese e maggiori entrate) – che avrebbero costi politici maggiori – ma implicano comunque un prelievo di risorse dalle tasche dei cittadini-utenti. Dal momento però che profitti ancora più elevati di quelli che caratterizzano le attività di trasmissione si concentrano proprio nei segmenti della vendita di energia, grazie alle posizioni dominanti di Enel ed Eni, sembrerebbe più appropriato, in tempi di emergenza finanziaria, colpire tali colossi (e non le controllate) con un’imposta diretta sui profitti (imposta straordinaria su alcune società). Ma proprio la presenza diretta del Tesoro come azionista di Eni ed Enel ostacola invece una simile manovra.

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La tassa sulle reti sembra avere qualche similitudine con l’imposta sui profitti (windfall tax) che il Governo Blair introdusse nel 1997 sulle società privatizzate da Margaret Thatcher, proprio in seguito a una revisione della regolazione che aveva evidenziato la presenza di notevoli extra-profitti nei servizi di pubblica utilità. Tuttavia, mentre la manovra del Governo Blair colpiva 33 utilities senza discriminazione alcuna, la manovra finanziaria del Governo Berlusconi appare molto più selettiva: esclude le telecomunicazioni e colpisce solo le grandi reti di trasmissione dell’energia elettrica e del gas naturale. Il fatto che, poi, si concentri sulle reti e non sui segmenti dove i profitti sono maggiori temiamo la renda anche meno efficace.

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  1. giorgio ragazzi

    Concordo con l’opinione che questa imposta appare arbitraria, in quanto mancano i presupposti per il danno ambientale. Molto meglio sarebbe proporla come imposta straordinaria sugli extraprofitti delle società regolamentate che gestiscono reti in monopolio naturale. Verrebbero escluse le telecomunicazioni (dove c’è concorrenza) e si verrebbero invece a tassare gli enormi extraprofitti delle società autostradali (dove la concorrenza non c’è proprio). Profitti che non sono giustificati nè da guadagni di produttività nè da rischi assunti dai gestori. Lo Stato potrebbe così recuperare tramite l’imposta parte degli extraprofitti elargiti dall’ANAS con un’applicazione tanto “generosa” del price cap. Potrebbe essere anche un’occasione per stabilire quale debba essere il target di rendimento da assicurare ai concessionari di autostrade, tenendo conto che trattasi di rendimento in termini reali (poichè le tariffe sono indicizzate) e per di più, nei piani finanziari, calcolato al netto delle imposte!

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