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Fuga da Finantraz

Speriamo che Antonio Fazio, rientrato anticipatamente in Italia, prenda atto dei danni che sta arrecando all’immagine del paese. Sarebbe anche un modo per finalmente spostare l’attenzione generale sulle vere cause dell’instabilità politica che ha portato alle dimissioni del ministro Siniscalco. Il Governo ha perso il controllo dei conti pubblici. Il nuovo ministro ha cinque giorni di tempo per varare una Finanziaria che non potrà più essere elettorale. E l’opposizione deve dare segnali forti su come intende riguadagnare controllo dei conti pubblici nella prossima legislatura.

Credevamo che la Prima Repubblica avesse esaurito il campionario di sorprese negative. E’ la prima volta che a un Governatore viene tolta dal Governo la delega a partecipare ad una riunione della Banca Mondiale. È la prima volta che un ministro che controlla la spesa pubblica si dimette a dieci giorni dalla presentazione in Parlamento della legge di bilancio. Domenico Siniscalco non ha voluto firmare quella legge. La bozza presentata nelle scorse settimane doveva fissare i paletti per scoraggiare l’assalto alla diligenza. Ma era solo una confessione di impotenza, un resoconto dell’incapacità di attuare il pur eccezionalmente graduale aggiustamento concordato con Bruxelles  trovando un consenso nella maggioranza.

Conti fuori controllo

La manovra doveva essere di 22 miliardi: 11,5 per rispettare gli impegni comunitari e 10,5 per coprire tagli dell’Irap, e spese aggiuntive per investimenti pubblici, piano La Malfa e interventi a favore delle famiglie.
Ma bastano un paio di esempi per capire quando solide fossero queste coperture.
Si prevedeva il 30 per cento di riduzione dei consumi intermedi rispetto al tendenziale (che incorpora il rispetto del tetto del 2 per cento): questo significa una riduzione nominale della spesa per il funzionamento della macchina amministrativa. Vi erano poi ulteriori 6 miliardi di tagli alle spese dei ministeri (che avevano tutti richiesto incrementi dell’ordine del 10-15 per cento rispetto al 2005), anche qui in aggiunta al tetto del 2 per cento, che sembra peraltro essere stato violato, e non di poco, nel 2005 . Per non parlare poi dei 2 miliardi recuperabili dall’immancabile “lotta all’evasione” e “manutenzione della base imponibile”, nonchè  di una costellazione di interventi improbabili sulla contrattazione di secondo livello nel pubblico impiego, di cui si è perso il controllo.  Tra l’altro nel 2006 dovranno essere pagati gli arretrati dell’accordo sottoscritto a maggio (si sta procedendo a rilento nella stipula vera e propria dei contratti).
Ipotizzando molto generosamente che il 50 per cento delle coperture fossero vere, si arrivava ad una manovra che non cambiava i saldi, il che significa, alla luce delle nuove previsioni di crescita del pil nel 2005 (+0,2%) e 2006 (+1,4%), esser destinati a circa il 5,4 per cento di disavanzo nel 2006. Non sorprenda allora il fatto che, dopo le dimissioni di Siniscalco, lo spread tra i Btp e i Bund non si sia mosso: la presenza o meno del ministro al Governo era ormai ritenuta un fatto irrilevante.

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Tremonti e il ritiro dall’Irap

Ma questo non significa che un assalto incontrollato alla diligenza sarà privo di effetti. Non c’è gradualismo nella reazione dei mercati. Ci se ne accorge quando ormai è troppo tardi. Se non si vuole che lo spread si ampli, con un effetto a palla di neve sul nostro debito pubblico, bisognerà prendere impegni credibili sull’aggiustamento nel 2006. Giulio Tremonti è stato il ministro dei condoni. Bene che nei cinque giorni che ha a disposizione, non cada ancora in tentazione e non preveda coperture derivanti dal recupero di gettito nella lotta all’evasione. Non sarebbero credibili. Dovrà invece trovare vere coperture. Tremonti si è molto vantato in questi mesi di avere fatto una riforma strutturale delle pensioni. Adesso dovrà mostrare a tutti di averla fatta davvero, riducendo la spesa pensionistica prima del 2008. Dovrà anche prevedere misure che invertano la tendenza alla riduzione della base imponibile, così forte durante la sua permanenza in via XX Settembre, come la rivalutazione degli estimi catastali, oltre che presumibilmente inasprire la tassazione delle rendite finanziarie, prevedendo al contempo un ritiro molto graduale dall’Irap.

Le garanzie dell’opposizione

Gli investitori guardano con particolare attenzione anche al comportamento di chi oggi è accreditato di una maggioranza nelle intenzioni di voto (le motivazioni dell’ultima revisione al ribasso dell’outlook sull’Italia di Standard&Poor guardavano anche alle proposte dell’attuale opposizione). Sarebbe ingeneroso chiedere all’opposizione in questo momento di individuare le coperture della Finanziaria 2006 del Governo. Ma per rassicurare i mercati è essenziale che l’opposizione fin d’ora chiarisca come intende riguadagnare controllo della spesa pubblica. Il paradosso della XIV legislatura è stato quello di maggioranze solidissime in entrambi i rami del Parlamento, ministri dell’economia sulla carta potentissimi, ma incapaci di controllare i conti pubblici e di attuare riforme strutturali (se non quelle rimandate ai posteri).
L’opposizione ha oggi il compito di affrontare le ragioni di questo paradosso e di cercare di porvi rimedio. Non è solo un problema di personale politico inadeguato, ma anche di istituzioni che hanno impedito a ministri non incompetenti, come lo stesso Siniscalco, di gestire la politica economica.
È il problema di un bipolarismo imperfetto, che ci consegna maggioranze poco coese al loro interno, con troppe sigle che competono per gli stessi elettori, non avendo alcun incentivo a tenere in considerazione il vincolo di bilancio. È il problema di un federalismo a metà, che comporta sulla carta centri di spesa decentrati senza gli strumenti (e gli incentivi giusti) per gestirla, un federalismo negato nei fatti in questa legislatura dagli interventi d’imperio del centro. È il problema di una Banca d’Italia che interferisce troppo nella politica, diventando il killer dei ministri del Tesoro: la Banca d’Italia ha oggi troppi poteri ed è troppo impermeabile al controllo democratico per un paese che, facendo parte dell’unione monetaria, ha delegato la politica monetaria a Francoforte. È il problema di una Ragioneria dello Stato che non può operare in indipendenza, costretta a porre il bollino su coperture approssimative. È, infine, il problema dell’assenza di un centro di coordinamento e di controllo della finanza pubblica che non si limiti a fissare tetti finanziari alla spesa.
Per riguadagnare il controllo dei conti pubblici non basterà allora cambiare le persone. Occorrerà anche, al più presto, affrontare tutti questi problemi, essenziali per la qualità delle nostre istituzioni.

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Sommario 25 Settembre 2005

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  1. Marco Solferini

    Assolutamente condivisibile la situazione inerente ai conti pubblici, aggiungo fra l’altro, con una nota di preoccupazione, che trattasi di materia non così complessa da essere impercepibile alle menti populiste dell’Arca dell’Alleanza mediatica quale è la Pubblica Opinione, anche se in mancanza di una formazione di tipo economica. La situazione, meglio non apostrofarla problema, per non creare un Cluedo alla caccia del colpevole, è grave e di tale drammaticità si ha percezione alla luce del sole. I conti pubblici italiani non sono più una leggenda simile al mostro di Loockness. Occorre realismo, lo stesso che si evince da questo articolo.
    Forse il problema dei poteri di Banca d’Italia non è relativo al “quantum” bensì al fatto che, a differenza di altri organismi altrettanto meritori, riesce ad esercitare senza “free riding” le proprie attribuzioni e questo in un sistema affetto da molte debolezze è percipito come un eccesso di forza.

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