Vecchio compagno dal grande cuor vermiglio,
lo so, lo so che ti s’imperla il ciglio,
nel legger ciò che dice il tuo D’Alema:
andare a Mosca allor, non ne valea la pena.



Garriva al vento, gloriosa la bandiera,
ma or ti sembra solo una chimera,
che né il lavor, né la giustizia e il bello
potean marciare con falce e con martello.



Il grande sogno del sociale impero
rimase un sogno e mai divenne vero,
Camillo avea perciò molta ragione
nel dirlo a quel buon uomo di Peppone.



Vecchio compagno, quanto tempo è passato
dal dì che a Pisa si gridò “Morte alla Nato”.
Poi giunse un papa là nel Vaticano,
che con la croce nella stanca mano,



bussò sul ferro della gran cortina
e il brutto inganno trascinò in rovina.
Ecco così di Massimo il tormento,
che al fin si sciolse in lauto pentimento.



Un caso indubbio di virtù nostrana,
che più somiglia a un volta di gabbana!
Caro compagno che ti ritrovi mesto
tu che credevi e ti illudevi, onesto.



Addio compagno del tempo del muro
tu che guardavi al sole del futuro;
ora di te mi sentirò un po’ privo,
non più compagno, ma foglia dell’ulivo.

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