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Le armi del Fondo

Accrescere l’autorevolezza del Fondo monetario internazionale significa assicurargli maggiore indipendenza, più risorse e una gestione volta a criteri di efficienza più che di rispetto formale di garanzie di uguaglianza di trattamento. Ma questa necessità si scontra con gli interessi di breve periodo degli stati sovrani e con una generale inerzia nel trattare problemi di architettura economica internazionale. Superare tali ostacoli richiede un rilancio del multilateralismo, invertendo la tendenza emersa negli ultimi anni.

“Il Papa? Quante divisioni ha?” La frase attribuita a Stalin viene spesso utilizzata per sottolineare la debolezza di istituzioni che non hanno una capacità di coercizione. Tra queste, si devono annoverare molte organizzazioni internazionali: l’avversione da parte di stati sovrani a delegare potere politico, le priva in genere di strumenti diretti di intervento.
Una parziale eccezione a questa regola è rappresentata dal Fondo monetario internazionale, secondo molti capace di svolgere negli ultimi trent’anni un ruolo chiave nel forgiare le decisioni economiche, soprattutto nei mercati emergenti. Un ruolo che, però potrebbe ridursi nel prossimo futuro. La comunità internazionale dovrà quindi decidere se assecondare questa tendenza o contrastarla attraverso riforme che rilancino il multilateralismo economico.

La mission del Fondo. E i suoi strumenti

L’obiettivo principale del Fmi è la promozione di politiche economiche volte alla prosperità economica dei paesi membri e, di riflesso, della comunità internazionale. L’”ingerenza” nelle politiche di stati sovrani è giustificata dal fatto che le scelte economiche di ogni paese influenzano, direttamente e indirettamente, lo sviluppo economico degli altri. Ciò è tanto più vero in un mondo sempre più globalizzato.
Il Fmi persegue questo obiettivo attraverso due strumenti. Il primo, quello per cui è forse più conosciuto, è l’attività di prestito a sostegno di politiche di aggiustamento economico. Il secondo è la cosiddetta attività di “sorveglianza”, che si concretizza in “giudizi” sulle politiche economiche dei vari paesi, espressi di norma una volta all’anno, ma in molti casi con frequenza maggiore. Il Fmi però non ha un potere sanzionatorio nei confronti dei paesi che non seguono i suoi consigli. L’efficacia della sua azione dipende quindi unicamente dalla autorevolezza con cui il Fmi riesce a parlare.
È ovvio che la capacità del Fmi di influenzare le politiche economiche è maggiore quando è accompagnata da attività di prestito: in questo caso i finanziamenti vengono erogati solo se certe politiche vengono attuate. Il numero di paesi che chiedono prestiti al Fmi si è però ridotto negli ultimi anni. Ed è una tendenza che potrebbe continuare in futuro, per due motivi. Primo, l’ampio deficit di partite correnti degli Stati Uniti ha comportato un enorme accumulo di riserve da parte di molti paesi emergenti. Tali riserve costituiscono una importante fonte di finanziamento per questi paesi in caso di shock. Secondo, alcuni dei principali paesi membri del Fmi negli ultimi anni hanno scoraggiato l’uso di prestiti, essenzialmente per la difficoltà politica di giustificare verso il proprio elettorato operazioni viste (anche se impropriamente) come mirate al salvataggio di investitori internazionali.
Di conseguenza, in futuro l’efficacia del Fmi dipenderà sempre più dall’azione di sorveglianza e, quindi, dalla sua capacità di parlare con autorevolezza. Per accrescerla, è necessario però affrontare due difficili problemi.

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Controllo politico e risorse

Il primo problema concerne il ruolo delle forze politiche nella gestione del Fmi. Un controllo politico è, ovviamente, insostituibile. Un Fmi che riflettesse unicamente posizioni “tecnocratiche” non avrebbe legittimazione e, in ultima analisi, efficacia. Oggi, tuttavia, il controllo politico sul Fmi è molto “ravvicinato”.
I rappresentanti politici dei paesi che vi aderiscono – i direttori esecutivi membri del board del Fmi – presiedono giornalmente alle decisioni. Si tratta di una struttura di “governance” atipica per una entità economica, anche se frequente nelle organizzazioni internazionali: sarebbe come se gli azionisti di una impresa partecipassero alla gestione aziendale quotidiana. Formalmente, la maggioranza dei direttori esecutivi gode di una certa autonomia rispetto al potere politico delle capitali che rappresentano. In pratica, però, è emersa negli ultimi anni una tendenza a un più diretto coinvolgimento dei governi nella gestione del Fmi. Tutto ciò comporta il rischio di perdita di credibilità nell’esprimere valutazioni che dovrebbero essere “tecniche”. È quindi necessaria una supervisione politica meno ravvicinata, basata più sulla responsabilità ex post e sulla trasparenza che sulla ingerenza diretta nella gestione quotidiana.
Il secondo problema riguarda le risorse del Fondo. La disponibilità di risorse umane al Fmi è modesta: Tipicamente, ogni paese è seguito da un paio di economisti, che spesso hanno anche altri incarichi. Come termine di confronto, si pensi che in molte banche centrali i dipartimenti che contribuiscono alle decisioni di politica monetaria e di cambio comprendono tra i cento e i duecento economisti. Il Fmi non potrà mai aspirare a una tale dotazione. Né ciò è necessario visto il supporto che gli economisti del Fmi ricevono dalle autorità nazionali. Ma la sproporzione è evidente. Aumentare in misura significativa le risorse umane del Fmi è probabilmente irrealistico. Si potrebbe però delimitare più chiaramente il mandato del Fmi (che negli ultimi anni è cresciuto rapidamente). È inoltre necessaria una maggiore selettività nella attività di sorveglianza, basata sulle caratteristiche dei paesi “sorvegliati”. Dovrebbe cioè essere possibile definire procedure di screening che consentano di individuare i paesi più a rischio (o i settori più a rischio in un paese), su cui concentrare le limitate risorse. I criteri di selezione dovrebbero essere, per quanto possibile, oggettivi, così da garantire il rispetto del principio di uguaglianza di trattamento tra paesi, essenziale per una organizzazione internazionale. Purtroppo, al momento, al fine di garantire una parità di trattamento formale, il Fmi è spesso impegnato in attività di sorveglianza con modalità simili tra paesi che fronteggiano condizioni di rischio molto diverse.
Affrontare questi problemi non sarà facile. Una maggiore indipendenza del Fmi, una maggiore devoluzione di risorse a questo organismo sovranazionale, una gestione delle risorse volta più a criteri di efficienza che di rispetto formale di garanzie di uguaglianza di trattamento si scontrano con gli interessi di breve periodo degli stati sovrani e con una generale inerzia nel trattare problemi di architettura economica internazionale. Superare questi ostacoli richiede un rilancio del multilateralismo, invertendo la tendenza emersa negli anni più recenti. In ultima analisi, il ruolo che enti sovranazionali possono svolgere dipende dalla volontà degli stati sovrani di consentirne una azione efficace.

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* Deputy Director del Policy Development and Review Department del Fondo monetario internazionale.

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Sommario 25 Settembre 2005

  1. Marco Solferini

    Assolutamente concorde, il Fondo Monetario Internazionale oltre che istituzione meritoria e progressista rappresenta una fonte di enorme prestigio, in seno all’efficienza e all’attività di controllo che sarebbe in grado di esprimere se adeguatamente fornito dei mezzi idonei. Il proseguo nel cammino riformista orientato al benessere per gli stai membri e alla reale volontà di stabilizzare un economia forte responsabile passa attravero un processo di consapevolezza che solamente istituzioni come FMI sono in grado di aggiungere, per apportare valore, garanzie e patrimonialità. Mi interrogo su come mai manchi una cultura che propenda per questa strada, a livello di insegnamento, ma anche per il tramite della pubblica opinione; esperti del FMI dovrebbero godere di maggiore autorevolezza nell’esprimere le proprie linee di indirizzo.

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