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Pisa e dintorni

L’importanza dell’indagine è fuori discussione. La questione vera è nel modo in cui vi si partecipa. La si può utilizzare per riflettere seriamente sulle caratteristiche del sistema scolastico italiano. Può essere lo spunto per far crescere nelle scuole competenze valutative specifiche e per costruire intorno a essa una rete di competenze di ricerca articolata a livello nazionale e locale. Sicuramente sbagliato è cercare di nascondere i problemi, magari utilizzando qualche “trucco” per migliorare i risultati degli studenti italiani nella prossima edizione.

Il 9-10 febbraio si è tenuto a Roma un interessante convegno organizzato dal Miur sui risultati del progetto Pisa. (1) Interessante perché sembra segnare un’inversione di tendenza nell’atteggiamento del ministero dell’Istruzione nei confronti dell’indagine Ocse. Il ministero non ha mai fatto mistero di non condividere affatto l’impostazione di fondo di Pisa: il livello scolastico di riferimento – i quindicenni – non rappresenta più nel nostro paese il momento terminale della scuola comprensiva, che si colloca ormai, dopo la riforma Moratti, intorno ai tredici–tredici anni e mezzo (al termine del primo ciclo dell’istruzione); l’oggetto della rilevazione sono le competenze degli studenti, che la riforma esclude esplicitamente dagli ambiti possibili della valutazione esterna, che deve limitarsi alle sole conoscenze e abilità; le prove utilizzate sono sempre state considerate troppo “anglosassoni”, qualsiasi sia il significato attribuito a questo termine.
Come interpretare questo cambiamento? Costituisce un’effettiva inversione di tendenza o è soltanto un’operazione di facciata?

La rilevanza internazionale di Pisa

È sempre più evidente la rilevanza di Pisa a livello internazionale. Di fatto, sta progressivamente assolvendo a un doppio compito: fornire dati attendibili per la comparazione dei sistemi scolastici a livello internazionale e sostituirsi ai sistemi di valutazione a livello nazionale in tutti quei paesi che stentano a dotarsi di un tale servizio. L’uso nell’ultima edizione di Education at a Glance dei risultati Pisa per la costruzione di indicatori di qualità del rendimento scolastico degli studenti, rappresenta il coronamento degli sforzi che hanno dato vita a questa indagine.
Nello stesso tempo, il concentrarsi delle risorse su Pisa (i cui costi sono comunque elevati), rischia di diventare un ostacolo per lo sviluppo di altre indagini comparative internazionali. Le difficoltà che incontra attualmente l’Iea (International Association for the Evaluation of Educational Achievement) nell’avviare nuovi progetti ne è un indice. Così come è significativo che anche a livello di Unione europea i parametri di Pisa siano stati per il momento adottati come indicatori per il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona. Di fatto, si assiste a una sorta di progressiva monopolizzazione della ricerca comparativa internazionale da parte di Pisa, con tutte le conseguenze, positive e negative, che questo comporta, in termini di omologazione progressiva dei sistemi scolastici a livello internazionale. Nei prossimi due anni, in rapporto alle caratteristiche che assumerà il nuovo ciclo di Pisa, si capirà in quale misura questa tendenza verrà confermata e quale sarà la direzione che questo processo prenderà.

Una retromarcia a metà

Nel frattempo, almeno nel nostro paese, cambia la situazione intorno a Pisa. Il convegno romano è sembrato il momento iniziale di una inversione di rotta. L’intervento centrale del convegno è stato affidato ad Andreas Schleicher, responsabile per l’Ocse del progetto Pisa. Il sottosegretario Valentina Aprea ha decisamente invitato a prendere Pisa come termine di confronto per la valutazione della qualità del nostro sistema scolastico, rivendicando la partecipazione italiana alle indagini comparative internazionali. Datandola, però, al 1985, mentre chiunque sia minimamente informato, sa perfettamente che l’Italia partecipa alle indagini comparative internazionali dall’inizio degli anni Sessanta. Nell’intervento del ministro Letizia Moratti (la cui sintesi è stata enfaticamente intitolata “decalogo”), Pisa occupa un posto di rilevanza centrale. Al convegno ha partecipato tutto l’apparato che costituisce il nostro sistema di istruzione: direzioni generali, uffici scolastici regionali, Irre, gruppi di lavoro ministeriali. Invitate, ma quasi invisibili, le associazioni professionali degli insegnanti.  In effetti, l’impressione che si ricava dall’andamento della discussione non è quella di un effettivo ripensamento sul valore di Pisa. Nessuno ha esplicitamente detto: “signori, ci siamo sbagliati. Pisa è quanto di meglio oggi sia disponibile per una valutazione comparativa della qualità dei sistemi scolastici”. Nessun accenno alla necessità di rivedere i curricoli in funzione delle competenze che gli studenti debbono acquisire; nessun impegno per una redistribuzione delle risorse all’interno del nostro sistema scolastico in funzione del riequilibrio degli scompensi evidenziati dai risultati di Pisa; nessuna seria riflessione sull’insieme dei risultati, almeno di quelli richiamati da Andreas Schleicher nella sua relazione (a proposito: verrà mai pubblicato un rapporto nazionale, come è stato fatto in tutti gli altri paesi partecipanti a Pisa? O ne faremo a meno, come già è avvenuto per Pisa 2000?).
Il convegno ha invece rappresentato l’occasione per la riaffermazione di principio della validità delle politiche ministeriali e governative, accompagnata da una raccomandazione. I problemi di fondo del nostro sistema scolastico evidenziati da Pisa saranno “inevitabilmente” risolti dalla riforma Moratti. Nel frattempo, prepariamo gli studenti alla rilevazione del 2006, se necessario anche attraverso simulazioni e somministrazioni di prove da effettuare all’inizio del prossimo anno scolastico, in modo che i risultati possano essere migliori. Da qui, l’indicazione di costruire “task force” (sic!) a livello regionale che si facciano carico del lavoro di preparazione degli studenti.

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Le Direzioni regionali

Gli Uffici scolastici regionali saranno il nucleo organizzativo fondamentale di queste iniziative. A loro è affidato il compito di sollecitare l’individuazione di referenti all’interno delle scuole, di organizzare iniziative che richiamino l’attenzione di dirigenti e insegnanti, di preparare le “simulazioni”. Ma non solo. Già in Pisa 2003, alcune Regioni avevano proposto propri campioni regionali. Nel corso del convegno, gli Uffici scolastici regionali sono stati invitati a partecipare a Pisa 2006 con propri campioni di scuole e di studenti. In che modo interpretare questo invito e la parallela disponibilità degli Uffici scolastici regionali?
Pisa è stato progettato e disegnato per la comparazione tra sistemi scolastici nazionali. I dati raccolti consentono già ora di studiare le differenze interne a tali sistemi, sulla base delle stratificazioni adottate nel campionamento. Per l’Italia, è possibile un confronto tra macroaree geografiche (come avviene per le rilevazioni nazionali) e per tipo di indirizzo di studi. Il moltiplicarsi di campioni regionali non aggiungerebbe nulla. Molte potrebbero essere allora le ragioni della richiesta, nessuna dichiarata esplicitamente e tutte di dubbia validità: presenzialismo, attivismo, voglia di “contare” (di “apparire”?). Soprattutto, nessuna è tale da giustificare le energie e le risorse necessarie.  Il sospetto è che la motivazione vera sia un’altra: che non si abbia alcuna fiducia nelle rilevazioni nazionali (progetti pilota vari e, ora, servizio nazionale di valutazione) e che si cerchi in Pisa un surrogato all’assenza di un sistema di valutazione nazionale o alla sua scarsa attendibilità.
Con un corollario: evidentemente la qualità delle prove utilizzate a livello nazionale, elaborate da gruppi di “esperti” individuati dal ministero e dall’Invalsi, è peggiore di quella delle prove Pisa, per quanto “anglosassoni” possano essere.

Le Regioni

In questa ansia di partecipazione, spesso gli Uffici scolastici regionali sono affiancati dalle Regioni che probabilmente vedono in Pisa una opportunità per preparare il terreno per ipotetici servizi di valutazione regionali, nella prospettiva della devoluzione alle Regioni di compiti esclusivi nel campo dell’istruzione. Anche in questo caso e ammettendo che la motivazione sia legittima, non si capisce perché non fare riferimento alle rilevazioni nazionali.  Una domanda potrebbe essere rivolta agli Uffici scolastici regionali e alle Regioni. La partecipazione a Pisa ha sicuramente dei costi, sia per le spese internazionali che per quelle nazionali. Non è dato sapere a quanto ammontino effettivamente, ma sicuramente si tratta di varie decine di migliaia di euro. Non sarebbe meglio impegnare queste risorse per sostenere progetti di innovazione e di formazione a livello locale, magari anche nel campo della valutazione?
L’importanza di questa indagine è fuori discussione. Anche a livello metodologico, si tratta forse di quanto di più avanzato sia stato prodotto nell’ambito delle indagini comparative internazionali. Il problema vero sta nel modo in cui si partecipa a questa indagine. La si può utilizzare per riflettere seriamente sulle caratteristiche del nostro sistema scolastico. Può essere lo spunto per far crescere nelle scuole competenze valutative specifiche. Si può costruire intorno a essa una rete di competenze di ricerca articolata a livello nazionale e locale. Il modo peggiore di parteciparvi è quello di farlo un po’ furbescamente, combinando un atteggiamento da neofiti più realisti del re e un provincialismo di cui certo nessuno sente il bisogno.

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(1) Programme for International Student Assessement. Promosso dall’Ocse è uno studio comparativo internazionale sul rendimento scolastico degli studenti quindicenni.

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  1. Corrado Truffi

    L’INVALSI sta conducendo in questi giorni nelle scuole una indagine valutativa a tappeto, che sta generando una spesso feroce opposizione da parte di docenti e genitori. Nella scuola di mio figlio un improvvisato comitato di genitori è riuscito a bloccare le prove “obbligatorie”. Sono quanto meno perplesso, e vorrei opinioni e chiarimenti in proposito, anche in relazione alle differenze fra questa valutazione INVALSI e l’indagine Pisa.
    Da un lato, mi sembra di capire che la logica di queste prove INVALSI sia troppo schematica (giudizio in sé piuttosto che valutazione per retroagire) e organizzativamente faraonica (perchè tutto l’universo quando a fini di valutazione basta un buon campione? non è che dietro c’è l’ansia di classificare e sanzionare le singole scuole?). Dall’altro, ho provato un immediato fastidio per la prontezza ideologica con la quale il “comitato” di cui sopra – e i simili comitati in giro per l’Italia – ha rifiutato per prinicpio qualsiasi idea di valutazione – a scatola chiusa, come se valutare sia male sempre, come se la conoscenza non fosse comunque utile.
    Tra l’altro, mi sembra di vedere nell’atteggiamento di molti – oltre alla paura di vedersi giudicati – una deprimente paura della statistica che, da statistico, mi lascia allibito…

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